Centro Studi di Castel d'Emilio ed Agugliano

Biblioteca Comunale di Agugliano


L'Apporto di Volumi per l'anno 2014 è stato di 5 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2015 è stato di 5 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2016 è stato di 8 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2017 è stato di 7 Volumi
LApporto di Volumi per l'anno 2018 è stato di 8 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2019 è stato di 5 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2020 è stato di 20 volumi

(info:federazione.ancona@istitutonastroazzurro.org)

Mediateca Polverigi

Biblioteca
Fondo Coltrinari
Storia Militare Contenporanea
e Storia Militare delle Marche.

L'Apporto di Volumi per l'anno 2015 è stato di 38 volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2016 è stato di 196 volumi
L'apporto di Volumi per l'anno 2017 è stato di 75 volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2018 è stato di 35 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2019 è stato di 3 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2020 è stato di
(Info: federazione.ancona@istitutonastroazzurro.org)

Società Operaia di Mutuo Soccorso Castel d'Emilio

Biblioteca

Fondo Coltrinari


L'apporto di volumi per l'anno 2012 è stato di 10 Volumi
L'apporto di Volumi per l'anno 2013 è stato di 25 Volumi
L'apporto di Volumi per l'anno 2014 è stato di 50 Volumi
L'apporto di Volumi per l'anno 2015 è stato di 35 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2016 è stato di 30 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2017 è stato di 10 volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2018 è stato di 18 volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2019 è stato di 6 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2020 è stato di ......
(info:federazione.ancona@istitutonastroazzurro.org

Biblioteca L. Radoni. Fondo Coltrinari

L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni -Fondo Coltrinari per il 2008 è stato di 965 Volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2009 è stato 983 Volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2010 è stato di 1003 Volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2011 è stato di 803 Volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2012 è stato di 145 Volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2013 è stato di 215 Volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L.Radoni - Fondo
Coltrinari per il 2014 è stato di 943 volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2015 è di 523 volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2016 è di 629 volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2017 è di 354 volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2018 è di 106 volumi
L'apporto di volumi alla BibliotecaL. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2019 è 23 volumi L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2020 è di 10 volumi (aprile) info:federazione.ancona@istitutonastroazzurro.org

Cerca nel blog

lunedì 22 giugno 2015

Ricerca sulla Origine dello Stemma Araldico di Ancona.

IL PRIMO STEMMA DI ANCONA

 a cura di Benedetta Nicolussi

Antichissimo, risalendo alla remota antichità, è l'uso degli emblemi come insegna simbolica gentilizia, nazionale o di città, o di grandi personaggi. Basti qui ricordare l'aquila d'oro dei Re Magi, il Leone di Giuda, la civetta di Atene, la sfinge di Augusto.
Quale fu il primo emblema di Ancona? Le opinioni in proposito sono numerose e discordanti, com'è  ovvio avvenga quando esse siano spesso enunciate lavorando di fantasia e non basandosi su sicuri dati di fatto. Così il Ciavarini (3) nel riassumere quanto prima di lui era stato scritto in proposito, poté risalire perfino ai mitici re d'Italia Giano e Saturno e parlare di un << capo di Giano>>, di una << poppa di nave>> e affermare che Ancona << durante la confederazione picena ebbe per stemma prima un picchio, poi un leopardo e poi un leone >> indicandone come prove quanto appare nei <>. Stemmi i quali – sempre secondo il Ciavarini – avrebbero preceduto quello adottato <> e, cioè, il braccio ricurvo.
Ma quando – messa da parte la fantasia, la quale non è certo la migliore guida per lo studioso di storia – si prendono in serio, attento esame le leggende, le fonti storiche, i documenti pervenuti fino a noi, la risposta non può essere che             questa: il primo emblema sicuro di Ancona appare nel periodo in cui la città entrò nell'orbita luminosa della civiltà ellenica e fu il braccio ricurvo. Cioè il gomito, che offriva la plastica raffigurazione del territorio sul quale la città era sorta, suggerendone, dirò così, il nome: ANCON. Nome che grecamente, com'è noto, significa appunto gomito.
Analogamente la Sicilia dai suoi tre promontori – il Peloro, il Pachino ed il Lilibeo – aveva derivato il nome di Trinacria ed espresso nella Triquetra il suo emblema (4).
Se poi questo nome – ANCON – sia, come immaginò Peruzzi (5), la traduzione in greco di altro precedente ed avente in lingua osca uguale significato lascio ai componenti in materia di stabilire, come pure non credo sia il caso di esaminare la fondatezza di quanto asserì Lando Ferretti nella sua <> dove, accettata la leggenda che la città sia stata fondata dalla Regina Fede, vedova di un re di Persia, aggiunge che il primo nome di Ancona fu Fidefora.
Il braccio ricurvo, con in mano un ramoscello – nel quale alcuni ravvisano la palma, altri la cerasa marina di corbezzolo, ed altri ancora una penna (6) lo troviamo nelle poche monete superstiti di quel periodo lontano, ma storicamente accertata, durante il quale Ancona, sotto il propizio stimolante influsso della grande civiltà ellenica – conosciuta ed assimilata attraverso l'immaginazione di un gruppo di siracusani – vide i suoi rustici pagi, sorti sui colli ora detti del Guasco e dei Cappuccini, fondersi ed assumere il rango di città. Tra la fine del sesto e l'inizio del quinto secolo avanti Cristo.
Ormai nessuno potrebbe seriamente sostenere la tesi ( purtroppo però ancora accolta e diffusa in pubblicazioni anche ufficiali ) che Ancona fu fondata ex novo dai siracusani fuggenti la tirannia di Dionigi il Vecchio, o, come altri ritennero, dallo stesso Dionigi inviati a stabilirsi in quei punti del litorale adriatico i più adatti come approdo e come centro per i traffici commerciali della fiorente Siracusa. La tesi, del resto, era già stata implicitamente rigettata dagli scrittori che avevano attribuito la fondazione di Ancona alla mitica Regina Fede, come Lando Ferretti, o ai Siculi, come Francesco Ferretti ed Augusto Peruzzi, o agli Etruschi come il Fatatio. E l'avevano anche ripudiata Antonio Leoni nella sua << Ancona illustrata >> nel 1832 (7); Nereo Alfieri nella << Topografia storica di Ancona antica >> nel 1938; Mario Moretti nell' <> nel 1945; Marina Salinari Emiliani: Ancona, nel 1955 (8).
L'Alfieri aveva, inoltre, avanzato l'ipotesi che non i siracusani, ma prima di loro i naviganti greci, avessero dato alla città il nome di Ancon, loro suggerito dalla forma del territorio, << A graecis dieta est Ancon >> aveva infatti scritto Pomponio Mela.
L'opinione dei sostenitori della tesi che Ancona fu valorizzata,  ma non creata dal nulla dai siracusani, trovò di recente la sua conferma nelle scoperte archeologiche della Dott. Delia Lollini sul Colle Guasco ( che il Peruzzi con felice intuizione aveva definito << culla di Ancona >> ) e su quello dei Cappuccini (9). Quanto la Dott. Lollini mise in luce ci diede la prova che durante la età del ferro un notevole aggregato umano si era già insediato sui due colli, parecchi secoli prima dell'avvento dei siracusani. Le fortunate recenti scoperte vennero così a riallacciarsi, integrandola, a quella di una vasta necropoli anconitana esplorata nell'ottocento e dagli archeologi attribuita al IX-X secolo (10).
Senza essere archeologo, mi permetto di osservare che, in verità, dall'accertata esistenza della necropoli si sarebbe già fin dall'ottocento, potuto dedurre l'esistenza di un abitato coevo che la alimentasse, e, conseguentemente, fai risalire al IX-X secolo anche la prima origine di Ancona.
Quando, provenienti dalla Sicilia, in epoca che è vano voler precisare con esattezza, come qualche cronista ha tentato, i siracusani furono ospitati sui colli di Ancona è lecito supporre che si affiatassero e gradualmente si fondassero con i primi abitatori del luogo.
Apportatori di una civiltà di gran lunga superiore, i nuovi venuti dovettero imprimere all'aggregato umano del quale entrarono a far parte un vigoroso impulso a forme elevate di vita sociale, politica ed intellettuale, esercitando sui loro nuovi concittadini – prima dediti prevalentemente alle rudi fatiche dei campi e delle armi – una sempre crescente benefica influenza. Ciò dovette – penso – avvenire non per violenza conquista armata, non contro la volontà dei preesistenti abitatori del Guasco e dei Cappuccini, ma anzi con il loro consenso e per quel naturale processo di suggestione e di ammirazione che costringe gli uomini, volenti o nolenti, pur tra le tenaci resistenze di qualche misoneista, a riconoscere la superiorità altrui quando questa si concreti in manifestazioni di valore pratico ed intellettuale che sia impossibile negare e disconoscere.
Mi sembra possa autorizzare questa mia ipotesi la circostanza innegabile che nella tradizione e nelle leggende, riecheggiate dai nostri cronisti, dell'avvento siracusano non si parla mai come di un episodio sgradito e sopportato, come di una invasione violenta, ma bensì sempre come di una immigrazione pacificamente verificatesi ed accettata di buon grado assegnando ai nuovi venuti il terzo dei colli che coronano Ancona: l'Astagno (11).
Riallacciandomi perciò a quanto già riferii sull'opinione espressa dall'Alfieri che, anche prima della colonizzazione siracusana i navigatori ben concessero i nostri lidi ed avessero dato il greco nome ad Ancona, mi sembra non ardito supporre che l'immigrazione siracusana sia stata il felice epilogo d'una fitta serie di precedenti contatti commerciali che avevano permesso ai due popoli di conoscersi e di volentieri accettare una coesistenza politica e sociale.
La città poté così – anche con l'opera dei nuovi abitatori – esser cinta di mura protettrici, darsi ordinamenti migliori. Le relazioni con i popoli vicini e lontani poterono con reciproco vantaggio intensificarsi mettendo a frutto la conoscenza che i nuovi venuti possedevano dei luoghi e dei mezzi più idonei a favorire i lucrosi commerci.
Come è naturale, dallo svilupparsi ed accrescersi dei commerciali rapporti presto si dovette sentire dagli anconitani la necessità di disporre di una moneta, sempre sicuro indice di autonomia politica e di floridezza economica. Nel batter moneta, forti dell'esperienza acquisita nella prima patri, Siracusa, i nuovi cittadini di Ancona imitarono, com'era naturale, i criteri e le forme della monetazione siracusana.
Processo questo di civilizzazione che nessuno forse avrebbe potuto meglio determinare e guidare. Perché è ben noto agli studiosi quale, all'epoca di cui parliamo, sia stato il ruolo di Siracusa tra le città greche e della Magna Grecia.
Siracusa, - ripetendo illustri origini da Archia – che nel 735 A.C. l'aveva fondata, continuando con essa in terra italiana la grande tradizione della nativa Corinto, famosa per artistico gusto, per genialità inventiva, per esperienza nei commerci – era la più idonea a trasmettere ad Ancona quella splendida civiltà che l'aveva posta alla pari, se non al di sopra, delle maggiori città ellenizzanti come Napoli, Taranto, Segesta ed Imera. Nel campo della monetazione siracusana basterà qui ricordare gli stupendi decagrammi argentei di Evènto e di Cimone, con nel diritto la testa di Proserpina circondata dai quattro guizzanti delfini e nel rovescio la veloce Vittoria volante (12).
Così, oltre che dalle fonti storiche e delle opere d'arte superstiti che si ammirano nel nostro Museo Nazione delle Marche, la documentazione di questo periodo di antichissima civiltà anconitana ellenizzante ci è offerta dalla numismatica.
Studiosi italiani e stranieri presero in esame le monete allora coniate in Ancona. Poche ne restano, come era inevitabile trattandosi di esemplari che risalgono ad oltre due millenni.
Alcuni numismatici, come il Garrucci ed il Castellani, ritennero di notevole importanza questa zecca anconitana attribuendole parecchie monete. Altri, invece, come la Cesano, credettero di poterne minimizzare l'attività riducendola quasi ad un solo bronzetto del periodo tra il 290 e 268 avanti Cristo (13). Mi sembra però ardito a tanta distanza di tempo, voler stabilire l'entità di questa monetazione. Perché, oltre che della naturale rarefazione, e forse della totale perdita di alcuni esemplari, è doveroso tener conto del fatto che le monete, specialmente quelle di cospicuo valore intrinseco ( coniate di solito in non molti esemplari ) possono esser state trasformate per adattarne ad altri usi la preziosa materia. Le notizie che abbiamo di esemplari pervenuti fino a noi ci inducono a non dividere l'opinione della Cesano, per quanto autorevole essa sia.
Da Carisio Ciavarini apprendiamo (14) che nel 1884 il Gabinetto Archeologico delle Marche ( che fu, dirò così, l'incunabolo dell'attuale nostro grandioso Museo Nazionale ) possedeva << la serie delle più antiche monete di Ancona >> avute in deposito del Medaglione del Comune. Da cronisti e da scrittori anconitani ci sono stati inoltre ricordati i musei ed i privati cittadini che di quelle antichissime monete possedevano esemplari fornendocene anche la riproduzione di fedeli disegni (15).
Possiamo così constatare che le monete appartenevano a quel genere che i numismatici chiamano <> perché battute da città e popoli indipendenti. Infatti esse non portano l'effige di un sovrano, ma quella di una divinità: Afrodite ( la Venere dei Romani ) cinta il capo di mirto, o di alloro, come qualcuno ritenne. Afrodite, protettrice della navigazione e della nostra città marinara. Sul rovescio vediamo il gomito, del quale ho già parlato, con in mano il ramoscello (16).
Nel campo in alto sono due stelle ad otto raggi. Cosa rappresentano? Anche qui divergono le opinioni. Ci fu chi pensò che le stelle fossero i segni indicatori del valore delle monete, ma, poiché nelle monete greche quasi mai è indicato il valore, essendo questo determinato dal peso e dal volume degli esemplari i più ritennero che le stelle rappresentassero i due eroi gemelli – Castore e Polluce –. Anch'essi propizi ai naviganti e così simboleggiati in due stelle che guidano il cammino, anziché, realisticamente, come due giovani cavalcanti un unico destriero, quali li vediamo nelle monete degli antichi Re della Siria e, più tardi, sempre a cavallo, nel primo argenteo denaro di Roma nel periodo repubblicano.
Nell'esergo, in lettere capitali, com'era d'uso nelle monete greche autonome, figura il nome della città: ANCON.
Di questo primo stemma di Ancona con il gomito possediamo la documentazione anche in antiche sculture in pietra. Tre esemplari ne custodiva il già citato Gabinetto Archeologico delle Marche (17). Di uno di essi ha disegnato la fedele riproduzione lo Scultore Vittorio Morelli. È noto che oggi lo stemma con il gomito è l'emblema della provincia di Ancona che volle così ricordare l'antichissimo stemma della capitale delle Marche. 

(indicazioni di riferimento nel prossimo post. contatti: studentiecultori2009@libero.it)



Nessun commento: