IL PRIMO STEMMA DI ANCONA
a cura di Benedetta Nicolussi
Antichissimo, risalendo alla remota antichità, è l'uso degli
emblemi come insegna simbolica gentilizia, nazionale o di città, o di grandi
personaggi. Basti qui ricordare l'aquila d'oro dei Re Magi, il Leone di Giuda,
la civetta di Atene, la sfinge di Augusto.
Quale fu il primo emblema di Ancona? Le opinioni in
proposito sono numerose e discordanti, com'è
ovvio avvenga quando esse siano spesso enunciate lavorando di fantasia e
non basandosi su sicuri dati di fatto. Così il Ciavarini (3) nel riassumere
quanto prima di lui era stato scritto in proposito, poté risalire perfino ai
mitici re d'Italia Giano e Saturno e parlare di un << capo di
Giano>>, di una << poppa di nave>> e affermare che Ancona <<
durante la confederazione picena ebbe per stemma prima un picchio, poi un
leopardo e poi un leone >> indicandone come prove quanto appare nei
<>. Stemmi i quali – sempre
secondo il Ciavarini – avrebbero preceduto quello adottato <> e, cioè, il braccio ricurvo.
Ma quando – messa da parte la fantasia, la quale non è certo
la migliore guida per lo studioso di storia – si prendono in serio, attento
esame le leggende, le fonti storiche, i documenti pervenuti fino a noi, la
risposta non può essere che questa:
il primo emblema sicuro di Ancona appare nel periodo in cui la città entrò
nell'orbita luminosa della civiltà ellenica e fu il braccio ricurvo. Cioè il
gomito, che offriva la plastica raffigurazione del territorio sul quale la
città era sorta, suggerendone, dirò così, il nome: ANCON. Nome che grecamente,
com'è noto, significa appunto gomito.
Analogamente la Sicilia dai suoi tre promontori – il Peloro,
il Pachino ed il Lilibeo – aveva derivato il nome di Trinacria ed espresso
nella Triquetra il suo emblema (4).
Se poi questo nome – ANCON – sia, come immaginò Peruzzi (5),
la traduzione in greco di altro precedente ed avente in lingua osca uguale
significato lascio ai componenti in materia di stabilire, come pure non credo
sia il caso di esaminare la fondatezza di quanto asserì Lando Ferretti nella
sua <> dove, accettata la leggenda
che la città sia stata fondata dalla Regina Fede, vedova di un re di Persia,
aggiunge che il primo nome di Ancona fu Fidefora.
Il braccio ricurvo, con in mano un ramoscello – nel quale
alcuni ravvisano la palma, altri la cerasa marina di corbezzolo, ed altri
ancora una penna (6) lo troviamo nelle poche monete superstiti di quel periodo
lontano, ma storicamente accertata, durante il quale Ancona, sotto il propizio
stimolante influsso della grande civiltà ellenica – conosciuta ed assimilata
attraverso l'immaginazione di un gruppo di siracusani – vide i suoi rustici
pagi, sorti sui colli ora detti del Guasco e dei Cappuccini, fondersi ed
assumere il rango di città. Tra la fine del sesto e l'inizio del quinto secolo
avanti Cristo.
Ormai nessuno potrebbe seriamente sostenere la tesi (
purtroppo però ancora accolta e diffusa in pubblicazioni anche ufficiali ) che
Ancona fu fondata ex novo dai siracusani fuggenti la tirannia di Dionigi il
Vecchio, o, come altri ritennero, dallo stesso Dionigi inviati a stabilirsi in
quei punti del litorale adriatico i più adatti come approdo e come centro per i
traffici commerciali della fiorente Siracusa. La tesi, del resto, era già stata
implicitamente rigettata dagli scrittori che avevano attribuito la fondazione
di Ancona alla mitica Regina Fede, come Lando Ferretti, o ai Siculi, come
Francesco Ferretti ed Augusto Peruzzi, o agli Etruschi come il Fatatio. E
l'avevano anche ripudiata Antonio Leoni nella sua << Ancona illustrata
>> nel 1832 (7); Nereo Alfieri nella << Topografia storica di
Ancona antica >> nel 1938; Mario Moretti nell' <> nel 1945; Marina Salinari Emiliani: Ancona, nel 1955 (8).
L'Alfieri aveva, inoltre, avanzato l'ipotesi che non i
siracusani, ma prima di loro i naviganti greci, avessero dato alla città il
nome di Ancon, loro suggerito dalla forma del territorio, << A graecis
dieta est Ancon >> aveva infatti scritto Pomponio Mela.
L'opinione dei sostenitori della tesi che Ancona fu
valorizzata, ma non creata dal nulla dai
siracusani, trovò di recente la sua conferma nelle scoperte archeologiche della
Dott. Delia Lollini sul Colle Guasco ( che il Peruzzi con felice intuizione
aveva definito << culla di Ancona >> ) e su quello dei Cappuccini
(9). Quanto la Dott. Lollini mise in luce ci diede la prova che durante la età
del ferro un notevole aggregato umano si era già insediato sui due colli,
parecchi secoli prima dell'avvento dei siracusani. Le fortunate recenti
scoperte vennero così a riallacciarsi, integrandola, a quella di una vasta
necropoli anconitana esplorata nell'ottocento e dagli archeologi attribuita al
IX-X secolo (10).
Senza essere archeologo, mi permetto di osservare che, in
verità, dall'accertata esistenza della necropoli si sarebbe già fin
dall'ottocento, potuto dedurre l'esistenza di un abitato coevo che la
alimentasse, e, conseguentemente, fai risalire al IX-X secolo anche la prima
origine di Ancona.
Quando, provenienti dalla Sicilia, in epoca che è vano voler
precisare con esattezza, come qualche cronista ha tentato, i siracusani furono
ospitati sui colli di Ancona è lecito supporre che si affiatassero e
gradualmente si fondassero con i primi abitatori del luogo.
Apportatori di una civiltà di gran lunga superiore, i nuovi
venuti dovettero imprimere all'aggregato umano del quale entrarono a far parte
un vigoroso impulso a forme elevate di vita sociale, politica ed intellettuale,
esercitando sui loro nuovi concittadini – prima dediti prevalentemente alle
rudi fatiche dei campi e delle armi – una sempre crescente benefica influenza.
Ciò dovette – penso – avvenire non per violenza conquista armata, non contro la
volontà dei preesistenti abitatori del Guasco e dei Cappuccini, ma anzi con il
loro consenso e per quel naturale processo di suggestione e di ammirazione che
costringe gli uomini, volenti o nolenti, pur tra le tenaci resistenze di
qualche misoneista, a riconoscere la superiorità altrui quando questa si
concreti in manifestazioni di valore pratico ed intellettuale che sia
impossibile negare e disconoscere.
Mi sembra possa autorizzare questa mia ipotesi la
circostanza innegabile che nella tradizione e nelle leggende, riecheggiate dai
nostri cronisti, dell'avvento siracusano non si parla mai come di un episodio
sgradito e sopportato, come di una invasione violenta, ma bensì sempre come di
una immigrazione pacificamente verificatesi ed accettata di buon grado
assegnando ai nuovi venuti il terzo dei colli che coronano Ancona: l'Astagno
(11).
Riallacciandomi perciò a quanto già riferii sull'opinione
espressa dall'Alfieri che, anche prima della colonizzazione siracusana i
navigatori ben concessero i nostri lidi ed avessero dato il greco nome ad
Ancona, mi sembra non ardito supporre che l'immigrazione siracusana sia stata
il felice epilogo d'una fitta serie di precedenti contatti commerciali che
avevano permesso ai due popoli di conoscersi e di volentieri accettare una
coesistenza politica e sociale.
La città poté così – anche con l'opera dei nuovi abitatori –
esser cinta di mura protettrici, darsi ordinamenti migliori. Le relazioni con i
popoli vicini e lontani poterono con reciproco vantaggio intensificarsi
mettendo a frutto la conoscenza che i nuovi venuti possedevano dei luoghi e dei
mezzi più idonei a favorire i lucrosi commerci.
Come è naturale, dallo svilupparsi ed accrescersi dei
commerciali rapporti presto si dovette sentire dagli anconitani la necessità di
disporre di una moneta, sempre sicuro indice di autonomia politica e di
floridezza economica. Nel batter moneta, forti dell'esperienza acquisita nella
prima patri, Siracusa, i nuovi cittadini di Ancona imitarono, com'era naturale,
i criteri e le forme della monetazione siracusana.
Processo questo di civilizzazione che nessuno forse avrebbe
potuto meglio determinare e guidare. Perché è ben noto agli studiosi quale,
all'epoca di cui parliamo, sia stato il ruolo di Siracusa tra le città greche e
della Magna Grecia.
Siracusa, - ripetendo illustri origini da Archia – che nel
735 A.C. l'aveva fondata, continuando con essa in terra italiana la grande
tradizione della nativa Corinto, famosa per artistico gusto, per genialità
inventiva, per esperienza nei commerci – era la più idonea a trasmettere ad
Ancona quella splendida civiltà che l'aveva posta alla pari, se non al di
sopra, delle maggiori città ellenizzanti come Napoli, Taranto, Segesta ed
Imera. Nel campo della monetazione siracusana basterà qui ricordare gli
stupendi decagrammi argentei di Evènto e di Cimone, con nel diritto la testa di
Proserpina circondata dai quattro guizzanti delfini e nel rovescio la veloce
Vittoria volante (12).
Così, oltre che dalle fonti storiche e delle opere d'arte
superstiti che si ammirano nel nostro Museo Nazione delle Marche, la
documentazione di questo periodo di antichissima civiltà anconitana
ellenizzante ci è offerta dalla numismatica.
Studiosi italiani e stranieri presero in esame le monete
allora coniate in Ancona. Poche ne restano, come era inevitabile trattandosi di
esemplari che risalgono ad oltre due millenni.
Alcuni numismatici, come il Garrucci ed il Castellani,
ritennero di notevole importanza questa zecca anconitana attribuendole
parecchie monete. Altri, invece, come la Cesano, credettero di poterne
minimizzare l'attività riducendola quasi ad un solo bronzetto del periodo tra
il 290 e 268 avanti Cristo (13). Mi sembra però ardito a tanta distanza di
tempo, voler stabilire l'entità di questa monetazione. Perché, oltre che della
naturale rarefazione, e forse della totale perdita di alcuni esemplari, è
doveroso tener conto del fatto che le monete, specialmente quelle di cospicuo
valore intrinseco ( coniate di solito in non molti esemplari ) possono esser
state trasformate per adattarne ad altri usi la preziosa materia. Le notizie
che abbiamo di esemplari pervenuti fino a noi ci inducono a non dividere
l'opinione della Cesano, per quanto autorevole essa sia.
Da Carisio Ciavarini apprendiamo (14) che nel 1884 il
Gabinetto Archeologico delle Marche ( che fu, dirò così, l'incunabolo
dell'attuale nostro grandioso Museo Nazionale ) possedeva << la serie
delle più antiche monete di Ancona >> avute in deposito del Medaglione
del Comune. Da cronisti e da scrittori anconitani ci sono stati inoltre
ricordati i musei ed i privati cittadini che di quelle antichissime monete
possedevano esemplari fornendocene anche la riproduzione di fedeli disegni
(15).
Possiamo così constatare che le monete appartenevano a quel
genere che i numismatici chiamano <> perché battute da
città e popoli indipendenti. Infatti esse non portano l'effige di un sovrano,
ma quella di una divinità: Afrodite ( la Venere dei Romani ) cinta il capo di
mirto, o di alloro, come qualcuno ritenne. Afrodite, protettrice della
navigazione e della nostra città marinara. Sul rovescio vediamo il gomito, del
quale ho già parlato, con in mano il ramoscello (16).
Nel campo in alto sono due stelle ad otto raggi. Cosa
rappresentano? Anche qui divergono le opinioni. Ci fu chi pensò che le stelle
fossero i segni indicatori del valore delle monete, ma, poiché nelle monete
greche quasi mai è indicato il valore, essendo questo determinato dal peso e
dal volume degli esemplari i più ritennero che le stelle rappresentassero i due
eroi gemelli – Castore e Polluce –. Anch'essi propizi ai naviganti e così
simboleggiati in due stelle che guidano il cammino, anziché, realisticamente,
come due giovani cavalcanti un unico destriero, quali li vediamo nelle monete
degli antichi Re della Siria e, più tardi, sempre a cavallo, nel primo argenteo
denaro di Roma nel periodo repubblicano.
Nell'esergo, in lettere capitali, com'era d'uso nelle monete
greche autonome, figura il nome della città: ANCON.
Di questo primo stemma di Ancona con il gomito possediamo la
documentazione anche in antiche sculture in pietra. Tre esemplari ne custodiva
il già citato Gabinetto Archeologico delle Marche (17). Di uno di essi ha
disegnato la fedele riproduzione lo Scultore Vittorio Morelli. È noto che oggi
lo stemma con il gomito è l'emblema della provincia di Ancona che volle così
ricordare l'antichissimo stemma della capitale delle Marche.
(indicazioni di riferimento nel prossimo post. contatti: studentiecultori2009@libero.it)
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