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domenica 1 novembre 2009


TEMI DI RICERCA

Insegnamenti ed attualità della repubblica Romana

Osvaldo Biribicchi


Nell’estate del 1849 cadeva eroicamente, sotto il fuoco della Francia repubblicana di Luigi Napoleone, la Repubblica Romana. Una Repubblica voluta dal popolo romano e nata senza spargimento di sangue.
Nessun governo, compreso quello piemontese, mosse un soldato o una parola in difesa della neonata Repubblica. Quella breve esperienza politica e sociale (febbraio - luglio 1849) fu vissuta intensamente dal popolo romano e dai patrioti che accorsero da ogni parte d’Italia e d’Europa. La giovane Repubblica, portavoce di libertà politiche e nuove istanze sociali, rappresentava un pericolo non solo per le potenze imperiali dell’epoca ma anche per le monarchie costituzionali che, peraltro, si facevano interpreti dei sentimenti di libertà. Quel “pericolo” andava e fu rimosso dall’intervento delle Potenze cattoliche dell’epoca (Francia, Austria, Regno delle Due Sicilie e Spagna) invocato dal Pontefice.
Particolarmente decisivo fu l’intervento militare dei francesi che attaccarono violentemente Roma, riportando nella fase iniziale un cocente e clamoroso smacco da parte dei difensori. I Napoletani da parte loro furono duramente battuti da Garibaldi a Palestrina e Velletri mentre gli Spagnoli sbarcarono nel sud del Lazio senza combattere e gli Austriaci occuparono le Legazioni, la Romagna e le Marche.
Quando la Costituente decise di arrendersi, il Triumvirato si dimise e Garibaldi lasciò la città con duemila volontari che, con una marcia leggendaria, riuscì a condurre sino a San Marino. Nel frattempo, a Roma i Francesi avevano restaurato, il 14 luglio, il potere temporale del Papa.
Mazzini, abile stratega della politica, chiamato a capo di quell’esperimento politico, si adoperò invano fino all’ultimo per evitare la guerra con i nemici naturali: gli austriaci ed i napoletani. Non prevedeva che il colpo mortale sarebbe stato inflitto da un’altra repubblica: la francese.
La sera del 29 aprile 1849, infatti, a dispetto dei tentativi di dialogo profusi da Mazzini, un contingente militare francese, agli ordini del Generale Oudinot, sbarcato con l’inganno a Civitavecchia, si acquartierò nei pressi di Roma lungo la via Aurelia.
L’Oudinot, la cui missione prevedeva di ripristinare il “legittimo” governo romano, non elaborò un vero e proprio piano militare, convinto come era di avere di fronte solo un’accozzaglia di rifugiati politici che opprimevano la popolazione.
Sulla base di questa superficiale valutazione e di un pessimo servizio spionistico, i francesi, con soli seimila uomini e dodici cannoni da campagna, ritenevano di potersi impadronire agevolmente di Roma. Ma non fu così. Nella difesa della città furono impegnati truppe pontificie, carabinieri, finanzieri, guardie nazionali, studenti, popolani e legionari garibaldini. Tutti fortemente motivati ed animati da ineguagliabile entusiasmo.
I francesi si ritirarono per riordinare idee ed uomini mentre i difensori assaporavano l’ebbrezza della gloria e il piacere sottile di aver inflitto una cocente sconfitta ad uno degli eserciti più potenti d’Europa.
Quella sconfitta sarebbe potuta essere definitiva se Garibaldi fosse stato autorizzato ad inseguire i francesi che si ritiravano disordinatamente ma il Mazzini, che ancora sperava in un ravvedimento della repubblica “sorella”, evitò di umiliare i francesi agli occhi dell’Europa complice. Il 3 luglio, i soldati francesi entravano a Roma. Terminava, nel breve volgere di pochi mesi, uno degli esperimenti politici più avanzati d’Europa.
La Repubblica Romana fu proclamata il 9 febbraio 1849 dalla Costituente convocata dopo la partenza precipitosa di Pio IX, avvenuta il 24 novembre 1848 a seguito dei disordini scoppiati a Roma. Inizialmente, fu insediato un Comitato esecutivo di tre membri: Armellini, Montecchi e Saliceti; successivamente, il 19 marzo, un Triumvirato con pieni poteri composto da Mazzini, Armellini e Saffi. Il testo costituzionale varato alla vigilia dell’ingresso delle armi straniere nella città di Roma, e mai applicato, fu un modello di chiarezza e coerenza di impostazione. Esso si articola in più parti: un preambolo, ove sono riportati i Principi Fondamentali che racchiudono l’essenza della più avanzata carta costituzionale dell’epoca, 8 Titoli e le Disposizioni Transitorie.
Già nel primo principio “La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in repubblica democratica” troviamo l’essenza profonda di quell’anelito alla democrazia che, nel 1849, ha avviato un processo storico irreversibile. La Costituzione della Repubblica Romana che affidava al popolo la sovranità e riconosceva allo Stato la forma repubblicana, annoverava, fra i suoi principi fondamentali, l’uguaglianza, la libertà, la fraternità e non riconosceva privilegi di nascita o casta. Al riguardo, anzi, propugnava, attraverso le leggi e le istituzioni, il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini, il rispetto di ogni nazionalità nonché la indipendenza tra il credo religioso e l’esercizio dei diritti civili e politici garantendo al Capo della Chiesa Cattolica tutte le guarentigie necessarie per l’esercizio indipendente del potere spirituale.
Nella giovane Repubblica, seppure in mezzo a vivaci contrasti, le diverse anime delle forze politiche riuscirono a mantenere una tale coesione ed unità di intenti da pervenire alla comune elaborazione di un progetto di Stato che rappresentò, oggettivamente, una novità nella storia risorgimentale.
Nel Titolo I, “Dei diritti e dei doveri dei cittadini”, la Carta Costituzionale afferma chiaramente l’inviolabilità delle persone e della proprietà privata, l’abolizione della pena di morte, la libera manifestazione del pensiero, il libero insegnamento e più avanti, all’art. 13, la Carta Costituzionale prevede, come poi è stato ripreso nelle più moderne ed avanzate costituzioni, il diritto di esproprio per particolari esigenze, previa giusta indennità per i proprietari.
Nel Titolo II, composto da un solo articolo, si affermava in modo chiaro ed inequivocabile che il potere viene dal popolo che lo esercita attraverso l’Assemblea, il Consolato e l’Ordine Giudiziario.
L’Assemblea, con potere legislativo, avrebbe dovuto essere eletta ogni tre anni con voto universale e diretto e sarebbe stata costituita dai rappresentanti del popolo, uno ogni ventimila abitanti i quali, se in possesso dei diritti civili e politici, sarebbero stati elettori a 21 anni ed eleggibili a 25.
Disposizioni riguardanti le prerogative dei parlamentari, laddove si afferma che nessun rappresentante del popolo può essere perseguito per le opinioni espresse nell’Assemblea né può essere arrestato o inquisito senza l’autorizzazione della stessa, salvo il caso di flagranza di reato, le troviamo nel Titolo III. La Costituzione prevedeva, inoltre, un indennizzo ovvero uno stipendio, a cui il rappresentante del popolo non poteva rinunciare. Quest’ultima prerogativa avrebbe consentito anche ai meno abbienti di lasciare le proprie occupazioni e dedicarsi completamente all’attività pubblica nel periodo del proprio mandato.
Nel Titolo IV “Del Consolato e del Ministero” si parla del potere esecutivo: il Consolato a cui era demandato il potere esecutivo, doveva essere composto da tre membri (consoli), cittadini della Repubblica dell’età di 30 anni, nominati dall’Assemblea a maggioranza di due terzi di suffragi. Il Titolo prevedeva anche sette Ministeri: Affari Interni; Affari Esteri; Guerra e Marina; Finanze; Grazia e Giustizia; Agricoltura, Commercio, Industria e Lavori Pubblici; Culto, Istruzione Pubblica, Belle Arti e Beneficenza. L’attività di detti Ministeri, vale a dire degli apparati composti da impiegati e mezzi, era diretta dai ministri, nominati dal Governo ovvero dal Consolato.
Consolato e Ministri potevano avvalersi della consulenza di un organo ausiliario, il Consiglio di Stato, contemplato nel Titolo V, composto da quindici consiglieri nominati dall’Assemblea che avrebbero dovuto dare pareri in materia giuridica ed amministrativa.
Altro aspetto importantissimo della Costituzione della Repubblica Romana è quello riguardante la Giustizia che, come recita l’art. 52 nel Titolo VI, è amministrata in nome del popolo da giudici indipendenti da ogni altro potere dello Stato. In questo passaggio si evince tutta la sensibilità, lo spirito democratico e repubblicano dei fautori dell’avanzata Carta Costituzionale tesa a garantire il principio che la legge ed il diritto non siano imposti dall’arbitrio di un tiranno, ma derivino dal popolo dello Stato Romano attraverso l’Assemblea liberamente eletta. Fondamentale è l'indipendenza dei giudici chiamati a rispondere solo alle proprie coscienze non tutelando interessi di parte.
Il Titolo VII della Costituzione è riservato, invece, alla Forza Pubblica il cui organico doveva essere determinato per legge e solo per legge poteva essere aumentato o diminuito. Era previsto inoltre che l’Esercito venisse formato tramite arruolamento volontario o, comunque, nel modo determinato per legge.
Nel Titolo VIII, l'ultimo, “Della revisione della Costituzione”, dall'art. 63 all'art. 65, troviamo invece le modalità da seguire per riformare la Costituzione: qualunque riforma avrebbe dovuto essere presentata nell'ultimo anno della legislatura da almeno un terzo dei suoi rappresentanti e deliberata dall'Assemblea per due volte a distanza di due mesi. Ottenuta la maggioranza di due terzi, si sarebbero convocati i comizi generali per eleggere i rappresentanti per la costituente, uno ogni quindicimila abitanti.
I quattro articoli finali sono dedicati alle Disposizioni Transitorie le quali stabiliscono che le operazioni della Costituente sono destinate alla formazione della legge elettorale e delle altre leggi organiche necessarie all'attuazione della Costituzione. La Costituente avrebbe cessato il mandato con l'apertura dell'Assemblea legislativa mentre le leggi ed i regolamenti esistenti sarebbero rimasti in vigore purché non in contrasto con la Costituzione e finché non abrogati.
L’Assemblea stessa continuò a riunirsi (in plenaria o in sezioni) fino alla mattina del 4 luglio quando una pattuglia francese penetrata in Campidoglio ne intimò lo scioglimento. Due giorni prima, la sera del 1° luglio 1849, veniva approvata in Campidoglio la Costituzione della Repubblica Romana. Sia nel Bollettino delle Leggi, sia nel Monitore Romano la Costituzione fu pubblicata con l'indicazione finale “votata ad unanimità dal Campidoglio il I luglio 1849”. Il Monitore Romano pubblicò la Costituzione stessa nel suo ultimo numero in data 3 luglio. La Costituzione approvata fu, in virtù dei suoi principi fondamentali, per gli articoli sui diritti e doveri, la più avanzata in senso democratico di tutte le costituzioni italiane del Risorgimento. Il testo approvato recava l'impronta di Aurelio Saliceti: giurista di chiara fama, membro del Comitato esecutivo della Repubblica, vice presidente dell’Assemblea. Fu, quindi, una costituzione breve, di principi e di norme di carattere generale formulati per lo più con grande semplicità e chiarezza: una costituzione improntata a quei principi democratici che sarebbero stati riaffermati soltanto un secolo dopo nella Costituzione della Repubblica Italiana approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947.