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martedì 30 dicembre 2008

La Rocca di San Cataldo in Ancona II

Ancona in servitù
Nella prima metà del secolo XIV, Ancona, pur accettando la protezione e l’alto dominio spirituale della Chiesa, aveva gelosamente conservate le preesistenti prerogative di Repubblica libera ed indipendente. Prerogative perdute nel 1348 in cui i Malatesti da Rimini occuparono, mano armata, il colle San Cataldo che dominava la città e vi si rafforzarono costruendovi un fortilizio, poi ceduto alla Chiesa, e conculcate nel successivo periodo di diretto dominio papale (1335-1383) in cui lo stato di soggezione di Ancona si mutò in servitù più o meno larvata ed onerosa.
Ciò avvenne nel 1335, sotto il governo del Cardinale legato e rettore della marca anconitana, messer Egidio Albornoz di Spagna, tipica figura di statista soldato che, eminente nelle armi e peritissimo nei pubblici negozi seppe, in breve volger di anni, riconquistare alla temporale podestà ecclesiastica le provincie italiane ad essa ribelli, tarpando l’ali a tutti quei signori e tiranni che dall’Alpi alla Sicilia, si ernao affermati nelle terre della Chiesa.[1]
[1] La eminente figura dell’Albornoz è stata luminosamente tratteggiata dal prof. Filippini : “La prima legazione del cardinale Albornoz in Italia“, in “Studi Storici”.

sabato 20 dicembre 2008

La Rocca Papale di San Cataldo in Ancona I

Gualtiero Santini nel 1939 scrisse un volume dedicato alla scomparsa Rocca Papale di san Ctaldo in Ancona. Un volume preciso e a dove si può comprendere tutto l’arco di esistenza di questa Rocca, che rappresentava un elemento fortificatorio di tutto rilievo e che dominava Ancona. Chi deteneva la Rocca di san Cataldo era il padrone della città. Proprio lo spirito libero degli Anconetani, custodi e gelosi delle loro libertà porto, dopo le inevitabili lotto , alla distruzione della Rocca e quindi il ripristino e la liberazione delle libertà civiche.
Riporteremo capitolo per capito questo volume, come contributo alla conoscenza di questa infrastruttura storica, che per il periodo e l’epoca molto si avvicina alla vicende in cui fu costruito il castello dei ferretti nella piana dei Ronchi.

Il Colle di San Cataldo ad Ancona I
Ancona nel Secolo XIV

Emula e rivale della repubblica Veneziana, Ancona nel secolo XIV si era affermata in potenza nell’Adriatico, ove ambasciatori, consoli e mercanti avevano ottenuto privilegi ed accumulate ricchezze. Accordi, alleanze ed amicizie garantivano il benessere acquisito:milizie di terra di mare flotta munita ed armi in gran copia ne tutelavano la libertà ed il prestigio.
Prospera e fiorente la città si accrebbe in tale periodo, si rafforzò si abbellì,e, pur rivolgendo le sue migliori attività ai commerci ed alle industrie, seppe concedere adeguato impulso alle arti, alle scienze ed agli studi sicchè cittadini d’ingegno e di dottrina poterono affermarsi in varia misura nel campo della politica nel campo religioso, scientifico, letterario e guerresco. Periodo questo ascensionale cui succede, nella seconda metà del secolo XIV un ciclo di avversità e di lotte, culminato nel 1383 nella vittoria che concederà ad Ancona la libertà già menomata da un tentennio e più di soggezione.
Dalle vicende tumultuse ed irrequiete che inquadrano questo periodo storico ne sarà fatto cenno narrando degli avvenimenti anconetani, ma solo sinteticamente, chè una trattazione adeguata ci condurrebbe assai lungi dal nostro proposito. ( Per approfondimenti M. Coltrinari = ricerca23@libero.it)

martedì 21 ottobre 2008

Convegno ad Ancona su Lauro de Bosis

Sala Municipale 3 0ttobre 2008
Lauro De Bosis, nel ricordo della famiglia
di
Alessandro Cortese de Bosis


Ancora una volta la nostra città accoglie e ricorda Lauro de Bosis nella ricorrenza del suo volo su Roma, il 3 ottobre 1931. Grazie signor Sindaco, a Lei e alla Giunta municipale. Già l’anno scorso eravamo qui insieme a premiare un’intera classe del Liceo “Rinaldini” per un esemplare elaborato nel concorso che la nostra Associazione aveva indetto sul volo di Lauro. Ricordo che rileggemmo in quell’occasione il messaggio che nel cinquantenario della scomparsa, il Presidente e Medaglia d’Oro Sandro Pertini aveva indirizzato a mia madre: «Con la sola forza dell'ideale e della fede nella libertà Lauro de Bosis lanciava la sua sfida alla tirannide fascista, realizzando il suo audace volo per risvegliare le coscienze degli italiani al culto di quei valori per i quali si erano immolate intere generazioni di patrioti. Desidero esprimere il mio commosso ricordo e quello degli italiani per la figura sempre più significativa di suo fratello Lauro».
E anche Ancona, città Medaglia d’Oro, comprende e rievoca il nostro Lauro.
Lauro, poeta e scrittore di vecchia famiglia anconetana aveva scritto a Portonovo, nella nostra torre, il suo poema “Icaro”, un libro dedicato alla libertà e tradotto “Antigone” poi rappresentata al teatro romano sul Palatino, alla presenza della famiglia Reale. Lauro era un liberale risorgimentale e lo si evince da uno dei suoi manifestini in cui ricordava al Re Vittorio Emanuele III che firmava i decreti di Radetzky con la penna di Carlo Alberto, proprio a proposito delle leggi liberticide. Con la creazione della sua “Alleanza Nazionale per la libertà” e poi con il suo volo su Roma sapeva benissimo di rischiare la vita. E un frase scritta prima di morire è significativa: “se sarò abbattuto dalle mitragliatrici fasciste il successo del mio volo dal punto di vista della causa sarà raddoppiato, che i miei amici non rimpiangano la mia morte. Essa è stata il miglior modo di vivere intensamente la mia vita”. La morte come sublimazione assoluta dell’anima di Lauro de Bosis. C’è sicuramente qualcosa di crociano in questa religione della libertà ispirata dal grande maestro Benedetto Croce.
Ma, come scrisse nel suo testamento spirituale “Storia della mia morte”, decise di fare il suo dovere, quando i suoi colleghi Vinciguerra e Rendi furono condannati a 15 anni di carcere per aver diffuso migliaia di circolari dell’Alleanza con un appello contro le leggi liberticide, dopo il delitto Matteotti del giugno 1924. E nel suo ultimo scritto egli definisce modestamente il suo ultimo volo e il lancio di 400.000 manifestini con un monito al Re d’Italia e ai cittadino solo come “un piccolo atto di spirito civico” per il suo Paese.
Se fosse tornato sano e salvo dopo il volo sarebbe patito per l’America – dove si trovava al momento della condanna dei suoi colleghi – per un ciclo di conferenze sull’Italia e sull’Europa. L’argomento di una di esse, da tenersi ad Harvard, era il progetto di Unione federale europea necessaria, secondo Lauro, per evitare un’altra guerra fratricida in Europa. Seguace di europeisti come Mazzini ed Einaudi, dunque, e precursore di Altiero Spinelli e di Carlo Azeglio Ciampi.
Lauro si chiedeva perché, nel Risorgimento, tanti giovani erano pronti a morire per la libertà e negli anni del fascismo così pochi si facevano avanti per opporsi al regime. Perché la gente si aspetta forse che il fascismo finisca col cadere da sé o diventi, negli anni, un movimento democratico? Non è vero. Bisogna combatterlo, subito con una coalizione di cittadini liberi, senza dare, però, l’iniziativa ai cosiddetti sovversivi o estremisti, altrimenti tra i due mali, gli italiani avrebbero continuato ad accettare e subire il fascismo. Così scriveva Lauro nel 1930.
Lauro aveva affermato che il regime aveva reso l’Italia un Paese “intraducibile” per gli altri Stati occidentali e – nei suoi scritti - ne aveva messo in risalto i connotati essenziali. Non è passato un secolo. Cerchiamo di attualizzare quel periodo della nostra storia e immaginare cosa significhi vivere in una Nazione dominata da un solo partito politico, per di più armato, con un esercito di 300.000 soldati. Fu proprio Mussolini a definire la milizia fascista “il Partito col moschetto e il pugnale”. Non più, dunque un’anomalia politica ma una vera e propria mostruosità senza precedenti se non, in quegli anni, nella Russia sovietica (il paragone è dell’Onorevole Professor Ruffini, celebre giurista e uno dei pochi docenti che non giurarono fedeltà al regime). Ma prima ancora, quando esistevano veri partiti poi soppressi insieme ai sindacati e ai liberi giornali, ce lo immaginiamo un partito fascista che si arroga il diritto esclusivo di redigere lui stesso le liste elettorali? Ce lo immaginiamo oggi un partito al potere che crea tribunali speciali per la difesa dello Stato, in barba alla magistratura ordinaria, tribunali spesso presieduti da ufficiali della milizia e hanno poi irrogato nel ventennio fascista condanne inappellabili per 18.000 anni di carcere? Ce lo immaginiamo un partito fascista che dopo qualche anno, trasforma con decreto legge la Camera dei Deputati in Camera dei Fasci e delle Corporazioni? Un partito che diventa Parlamento? Ce lo immaginiamo un regime avviato a diventare quasi uno Stato assoluto e che poi, negli anni successivi, coinvolgerà l’Italia in sette guerre in sei anni (dal 1935 al 1941: guerra in Etiopia, intervento unilaterale in Spagna, guerra contro GB e Francia, guerra contro la Grecia, guerra contro la Jugoslavia, guerra contro la Russia e contro gli USA) vincolando il Paese all’alleanza aggressiva col regime nazista del genocidio, responsabile di Auschwitz, dello sterminio degli israeliti e di una guerra con 50 milioni di morti? Un regime fascista in cui il Duce aveva proclamato gli ebrei un pericolo grave per la razza ariana da cui difendersi con le leggi repressive del 1938?
Ma già subito dopo il delitto Matteotti di cui Mussolini disse che il Governo si assumeva tutte le responsabilità, Lauro e altri uomini liberi come Giovanni Amendola, Piero Gobetti e più tardi i fratelli Rosselli, tutti martiri anch’essi per la libertà, avevano denunciato le leggi fascistissime - come le chiamò Mussolini – fra cui il giuramento di fedeltà cui ho accennato, e che solo undici professori universitari ordinari, quasi tutti amici ed estimatori di Lauro, rifiutarono di compiere.
Si è parlato superficialmente di Lauro come di un idealista romantico. Ma domandiamoci seriemente chi aveva ragione? Uno scrittore che lanciava, così come poteva, un avvertimento e un allarme sul crollo della democrazia parlamentare e sull’inizio della dittatura – come farà poi il premio Nobel Thomas Mann denunciando il nazismo – oppure gli scaltri pubblicisti e uomini di cultura che accettarono ed esaltarono il fascismo che condusse poi gradualmente l’Italia alla più grave sconfitta della nostra storia unitaria?
Oggi c’è chi distingue tra fascismo come male assoluto o relativo, come se si potesse parlare di male a tempo pieno o part-time. Ma io mi contento della definizione di Sandro Pertini sulla tirannide fascista. Una tirannide il cui motto era “credere, obbedire, combattere”, imperativi che venivano recitati a scuola dai balilla in camicia nera nelle adunate del sabato fascista quando dovevano giurare, a dieci-dodici anni di età, assoluta fedeltà al Duce del fascismo.
Il gesto di Lauro, la sua sfida, ebbe il valore di un “certificato di esistenza in vita” della libertà italiana non ancora spenta del tutto, di un’Italia di minoranza come la chiamò Spadolini. E così apparve all’intera stampa europea ad americana che pubblicarono e commentarono, quasi con un sospiro di sollievo, “Storia della mia morte” scritta da Lauro prima di decollare da Marsiglia verso Roma. Lo stesso Spadolini, storico insigne e poi Presidente del Consiglio, definì l’Alleanza Nazionale per la libertà come l’anello di congiunzione tra resistenza inerme e poi resistenza partigiana e guerra di liberazione, ossia tra la tentata coalizione dei resti dei partiti antifascisti, voluta da Giovanni Amendola e i Comitati Nazionali di Liberazione nati dopo l’8 settembre 1943.
Siamo dunque con lui e con quei pochi nel Secondo Risorgimento. Il Primo, col suo trinomio Libertà, Unità, Indipendenza era stato tradito da Mussolini, come ricordato dal Presidente Ciampi. Il Secondo ci ha dato una Costituzione voluta da popolo e non concessa dal Re, per la quale oggi il Presidente Napolitano invoca un po’ di “patriottismo costituzionale” da parte nostra.
Sì, la figura di Lauro è sempre viva da noi. Ma anche in America si parla di lui: nella più celebre Università degli USA, quella di Harvard ove esiste dal 1934 una cattedra di civiltà italiana intitolata al suo nome e che fu tenuta per anni da Gaetano Salvemini, esule antifascista. Fu un’iniziativa della compagna di Lauro, Ruth Draper, che volle ricordarne la memoria dopo il volo senza ritorno facendo risaltare così, con questa cattedra, l’interdipendenza culturale tra Stati Uniti e Italia.
Vorrei concludere ricordando ai giovani studenti che, come disse un celebre scrittore “il futuro ha un cuore antico”. Il gesto di Lauro non è antico.
Comunque il suo esempio, assieme a quello dei combattenti per la liberazione, potrà forse aiutare i giovani in avvenire a orientare la loro coscienza morale di cittadini italiani ed europei nelle scelte patriottiche da affrontare nella loro vita. Grazie.

giovedì 12 giugno 2008

Innaugurata la Biblioteca "L Radoni"

A disposizione dei soci c’è anche una biblioteca“Vogliamo viverla nostra realtà paesana con fierezza”
Inaugurata la nuova sede dell’associazione all’interno del centralissimo castello Pro Castelferretti, l’identità resiste
La soddisfazione di Tonelli: “Il nostro girovagare è terminato”
FALCONARA – La Pro Castelferretti, associazione culturale che da anni lavora al recupero della memoria storica e delle tradizioni del paese alle porte di Falconara, da sabato scorso ha finalmente una sede (in una delle sale del castello dei Ferretti) all’interno della quale è stata allestita anche una piccola biblioteca. Dopo il taglio del nastro e gli interventi del sindaco Goffredo Brandoni, dell’assessore alla cultura Stefania Signorini, dell’ex presidente della Pro Castelferretti Stefano Vannini e di Massimo Coltrinari che ha donato la maggior parte dei volumi che ora costituiscono il fondo bibliotecario, il presidente dell’associazione Luigi Tonelli ha espresso la sua soddisfazione per l’obiettivo raggiunto. “Il nostro girovagare è terminato – ha detto – adesso Castelferretti ha una sua biblioteca e la sede dell’associazione che insieme diverranno sicuramente un punto di riferimento per iniziative culturali, sociali e perché no anche ricreative”. La biblioteca è dedicata alla memoria di Lorenzo Radoni, “uno dei tanti, troppi giovani che prematuramente ci hanno lasciato”, come Giorgio Sabini il cui nome è ora quello della società di pallavolo, a Roberto Lombardi a è intitolata la palestra della scuola media, a Roberto Fioretti in ricordo del quale c’è il campo sportivo, Sandro Sordoni pilota di caccia a cui è dedicato il piazzale dell’aeroporto e Lino Liuti insegnante di educazione fisica deceduto nel 1988 sul Catria nel disperato tentativo di soccorrere un compagno e per questo è stato insignito della medaglia d’oro al valor civile. Tonelli nel suo discorso ha più volte fatto riferimento a Castelferretti come “paese”, perché, ha spiegato, “Castelferretti è tale ed i castelfrettesi si ritengono tali e ne vanno fieri”. “Castelferretti – ha proseguito Tonelli – ha subito nel passato e sta attualmente subendo notevoli flussi di immigrazione dalle zone limitrofe e non solo e questo ha costituito un notevole fattore di dispersione per le caratteristiche autoctone relative alle usanze ed ai costumi del paese ciononostante Castelferretti è riuscito a mantenere una dimensione che a differenza delle altre località dei dintorni può ancora essere definita ‘paesana’ senza ciò addurre alcuna implicazione dispregiativa”. Orgogliosi del loro vivere in un paese, i castelferrettesi sono stati costretti a confrontarsi con la dura realtà del “declassamento da frazione a quartiere di Falconara con la cancellazione della dicitura frazione dalla segnaletica stradale. “Noi ci tenevamo alla parola paese perché è sinonimo di identità, autonomia contrariamente a quartiere che tende a fornire l’idea di porzione di una realtà come quella falconarese”. Nel corso della manifestazione di sabato scorso sono stati lette opere dei poeti Fabio Serpilli e Paolo Marzioni e brani dello storico e giornalista castelferrettese Sirio Sebastianelli. M. M., Corriere Ad riatico, 27 maggio 2008

venerdì 30 maggio 2008

Castello dei Ferretti

BIBLIOTECA “LORENZO RADONI”
CASTELFERRETTI
FONDO COLTRINARI

OCCASIONAL PAPERS
2008/3

Castello dei Ferretti
Fonte: Natalucci Mario, La vita millenaria di Ancona, Dal periodo Napoleonico ai nostri giorni. Ancona, Libreria Canonici, 1975 pag. 406.

I Parte
Nella Piana dei Ronchi, forse così detta dal terreno sassoso e sparso di piante selvatiche, che crescevano nel terreno paludoso esisteva già nel sec. XI sulla destra dell’Esino, un piccolo castello o fortilizio con un’ala e robusta torre a 4 km dal mare, per protezione del luogo quasi solitario contro le eventuali aggressioni di predoni e bande armate. Esso probabilmente apparteneva al noto Monastero di S. Lorenzo in Castagnola che possedeva castelli, terre e chiese lungo le due sponde dell’Esino e altrove.
Nel corso del sec. XIII, durante il tremendo conflitto tra il Papato e Federico II di Svezia e le lotte implacabili dei Guelfi e dei Ghibellini, la torre dei Ronchi venne ceduta dal Comune di Ancona, che estendeva la sua giurisdizione fino all’Esino, ai Conti Ferretti esperti nelle armi e di nobile famiglia alsaziana, offrire il loro braccio al papa Gregorio IX.[1]
Risulta che primi signori della torre fossero i fratelli Pietro ed Oliverotto. Da un documento del 1252 si rileva che Antonio, figlio di Pietro, era tenuto in molta considerazione come valoroso uomo d’armi. A riconoscimento dei preziosi servigi prestati alla Chiesa e al Comune di Ancona, la fortezza dei Ronchi, per circa un secolo e mezzo, rimase affidata ai ferretti, che estesero all’intorno i loro possedimenti. Anche nel sec. XIV mentre infuriavano le lotte di parte e gli audaci condottieri con le loro truppe prezzolate cercavano di accrescere la propria potenza, i Ferretti continuarono a difendere il territorio, mantenendosi fedeli alla Chiesa. E’ presumibile. Che anche quando il card. Albornoz venne a riconquistare e a riordinare lo Stato ecclesiastico, lasciò indisturbati i Ferretti nei loro possessi in considerazione della loro fedeltà.
Nel 1382 mentre la Chiesa era dilaniata dallo scisma e Luigi D’Andò, d’intesa con l’antipapa Clemente VII, premeva possesso della marca, la fortezza dei Ronchi su sottoposta a gravi minacce. L’esercito francese si accampò nei pressi della Rocca di Fiumicino e mise a ferro a fuoco il territorio circostante, costringendo le popolazioni terrorizzate a fornire viveri e altri mezzi, mentre Luigi D’Andò minacciava di assalire Ancona, se non avesse ceduto la Rocca papale di S. Cataldo e sborsato una forte taglia di denaro. I miseri ed inermi abitanti di Fiumesino cercarono rifugio nella torre Ferretti, che a stento riuscirono a respingere le truppe avide di bottino.
Fu quella certamente una grande prova per il piccolo fortilizio, che non era in grado di far fronte ad una moltitudine affamata ed inferocita. Francesco Ferretti, uno dei personaggi più illustri della famiglia, come capitano e uomo politico, ottenne allora papa Urbano VI, tramite il card. Andrea Buontempo, Rettore della Marca, la facoltà di ampliare e ammodernare il vecchio bastione[2] in modo da poter adeguatamente provvedere alla difesa del territorio e delle popolazioni, secondo nuove esigenze di carattere militare.
Il Ferretti, lasciando in piedi e restaurando l’antico fortilizio, che sorgeva nell’angolo di nord-ovest, fece costruire la vasta mole del nuovo castello in forma quadrata con profonde mura e controscarpa, così si esprime lo storico della Famiglia Francesco ferretti nella Pietra del Paragone (1685), e un’ampia e capace fossa da riempirsi in caso di necessità. Negli altri angoli furono elevati tre torrioni, muniti di merlature, comminatoi, ponti e feritoie. Un’altra torre fu eretta sopra il ponte levatoio con le relative saracinesche. Il ferretti, a ricordo di questa costruzione, fece incidere sopra l’arco di ingresso lo stemma del suo casato, aggiungendo al cimiero il leone che tiene nelle branche il giglio e la spada, insegna che gli era stata concessa dalla Repubblica fiorentina per le benemerenze acquisite come Podestà nel 1374[3] e sotto lo stemma pose una lapide con la seguente iscrizione:

HOC CASTRUM FACTUM FUIT PER NOBILEM ET MAGNIFICUM MILITEM DOMINUM FRANSCUM DE FERRETIS DE ANCONA. MCCCLXXXVI

Le caratteristiche della Rocca corrispondevano naturalmente alla architettura militare del tempo, soprattutto per quanto riguarda i vari ordini di feritoie e piombatoi, che appaiono nei quattro lati dell’edificio e nel punto d’innesto delle torri. Rimangono ancora le tracce delle merlature, che coronavano l’intera costruzione e che furono soppresse nelle successive trasformazioni.
E’ il caso intanto di notare che mentre Ancona nel 1382 dopo la triste esperienza fatta con Luigi D’Angiò distruggeva a furore di popolo. L’imponente ed artistica rocca di S. Cataldo, provvedeva a breve distanza alla ricostruzione della rocca di Fiumesino per la difesa dei suoi confini e consentiva ai Ferretti di costruire un proprio castello.
Francesco, condotta a termine l’opera , chiedeva a Bonifaccio IX il riconoscimento ufficiale della sua signoria, tenuta già di fatto dalla sua famiglia. Il Pontefice, anche in segno di gratitudine per la fedeltà dimostrata da tutta la famiglia alla Chiesa, gli concedeva nel 1396 l’investitura col titolo di conte di Castelferretto, che i suoi mutarono in Castelferretto e dei Ferretti. Si costituiva così un feudo indipendente dalla giurisdizione del Comune di Ancona, sotto l’alto dominio della Chiesa.
(continua)
[1] Secondo l’albero genealogico di Casa Ferretti, Pietro diede inizio al ramo di Castelferretti, detto anche di S. Domenico, mentre il fratello Corrado a quello di Via Guasco.
[2] Compagno P., la reggia Picena, Macerata, 1661, I, pag. 250 ( Bolla del 24 maggio 1384)
[3] Inizialmente lo stemma dei ferretti era formato da uno scudo con due bande rosse in campo d’argento, sormontato da l cimiero (con al centro una trota (pesce). Successivamente da Francesco Ferretti fu aggiunto il leone e nel sec. XVI allo scudo venne accollata l’acquila bicipite imperiale e quindi per concessione di Pio IX furono aggiunte due chiavi con la basilica pontificia. Altre varianti furono apportate negli ultimi tempi dal duca Ferretti.

Innaugurata la Sede della Pro Castelferretti

A disposizione dei soci c’è anche una biblioteca“Vogliamo viverla nostra realtà paesana con fierezza”
Inaugurata la nuova sede dell’associazione all’interno del centralissimo castello
Pro Castelferretti, l’identità resiste
La soddisfazione di Tonelli: “Il nostro girovagare è terminato”
FALCONARA – La Pro Castelferretti, associazione culturale che da anni lavora al recupero della memoria storica e delle tradizioni del paese alle porte di Falconara, da sabato scorso ha finalmente una sede (in una delle sale del castello dei Ferretti) all’interno della quale è stata allestita anche una piccola biblioteca. Dopo il taglio del nastro e gli interventi del sindaco Goffredo Brandoni, dell’assessore alla cultura Stefania Signorini, dell’ex presidente della Pro Castelferretti Stefano Vannini e di Massimo Coltrinari che ha donato la maggior parte dei volumi che ora costituiscono il fondo bibliotecario, il presidente dell’associazione Luigi Tonelli ha espresso la sua soddisfazione per l’obiettivo raggiunto. “Il nostro girovagare è terminato – ha detto – adesso Castelferretti ha una sua biblioteca e la sede dell’associazione che insieme diverranno sicuramente un punto di riferimento per iniziative culturali, sociali e perché no anche ricreative”. La biblioteca è dedicata alla memoria di Lorenzo Radoni, “uno dei tanti, troppi giovani che prematuramente ci hanno lasciato”, come Giorgio Sabini il cui nome è ora quello della società di pallavolo, a Roberto Lombardi a è intitolata la palestra della scuola media, a Roberto Fioretti in ricordo del quale c’è il campo sportivo, Sandro Sordoni pilota di caccia a cui è dedicato il piazzale dell’aeroporto e Lino Liuti insegnante di educazione fisica deceduto nel 1988 sul Catria nel disperato tentativo di soccorrere un compagno e per questo è stato insignito della medaglia d’oro al valor civile. Tonelli nel suo discorso ha più volte fatto riferimento a Castelferretti come “paese”, perché, ha spiegato, “Castelferretti è tale ed i castelfrettesi si ritengono tali e ne vanno fieri”. “Castelferretti – ha proseguito Tonelli – ha subito nel passato e sta attualmente subendo notevoli flussi di immigrazione dalle zone limitrofe e non solo e questo ha costituito un notevole fattore di dispersione per le caratteristiche autoctone relative alle usanze ed ai costumi del paese ciononostante Castelferretti è riuscito a mantenere una dimensione che a differenza delle altre località dei dintorni può ancora essere definita ‘paesana’ senza ciò addurre alcuna implicazione dispregiativa”. Orgogliosi del loro vivere in un paese, i castelferrettesi sono stati costretti a confrontarsi con la dura realtà del “declassamento da frazione a quartiere di Falconara con la cancellazione della dicitura frazione dalla segnaletica stradale. “Noi ci tenevamo alla parola paese perché è sinonimo di identità, autonomia contrariamente a quartiere che tende a fornire l’idea di porzione di una realtà come quella falconarese”. Nel corso della manifestazione di sabato scorso sono stati lette opere dei poeti Fabio Serpilli e Paolo Marzioni e brani dello storico e giornalista castelferrettese Sirio Sebastianelli.
M. M.,
Fonte Corriere Adriatico, 27 Maggio 2008

giovedì 29 maggio 2008

Occasional Papers 2008/2 Origine della Famiglia Ferretti

BIBLIOTECA “LORENZO RADONI
CASTELFERRETTI
FONDO COLTRINARI


OCCASIONAL PAPERS
2008/2



Origine della famiglia Ferretti e sua ambientazione storica.

Nel corso del XIII secolo, durante il tremendo conflitto tra il papato e Federico II di Svevia e le lotte implacabili tra guelfi e ghibellini, la torre dei Ronchi venne ceduta dal comune di Ancona, che estendeva la sua giurisdizione fino all’Esino, ai conti ferretti. Questi, esperti e di nobile famiglia Alzaziana,imparentati con i granduchi d’Austria, erano venti in Italia per offrire il loro braccio al Papa Gregorio IX. Anche nel secolo XIV, mentre infuriavano le lotte di parte, i Ferretti continuarono a difendere il territorio mantenendosi fedeli alla chiesa. Nel 1384 Francesco ferretti chiese la vicario generale della Marca Anconitana Andrea Bontempi di poter trasformare una antica torre tra Falconara e Chiaravalle in un luogo fortificato capace di contenere armati, bestiame e vettovaglie. Nello stesso periodo in altre località come Bolignano, Cassero e Fiumesino vengono ristrutturate le rocche dislocate sui confini anconetani per difendere meglio la città di Ancona dalle armate Angioine impegnate nella guerra tra i fedeli del Papa Urbano VI e i seguaci dell’antipapa Avignonese Clemente VII. La costruzione del castello è compiuta in pochi anni.
Il 9 febbraio del 1937 Francesco Ferretti viene nominato dal papa Bonifacio IX, Conte di Castel Francesco. Le terre di Francesco Ferretti si estendevano dal Fiume Esino ai confini con il territorio di Ancona con la proprietà dei benedettini cistercensi si Santa Maria di Castagnola di Chiaravalle. Nel 400 ci furono scontri tra jesini e anconetani per contendersi le terre al di qua e al di là dell’Esino. Di queste contese rimasero molti documenti cartografici che ci illustrano come vivevano gli abitanti di castel Francesco nei primi anni dello sviluppo del centro abitato. All’epoca il castello offriva una sicura abitazione agli agricoltori che lavoravano i campi circostanti e agli artigiani dediti alle attività di sostegno all’economia agraria. L’intera tenuta dei Ferretti, paludosa e selvatica fin verso la metà del Quattrocento, venne bonificata e messa coltura dall’infaticabile opera di gruppi di albanesi stabilitisi a castel Francesco dopo un esodo dalle località d’origine sotto la spinta delle incursioni turche nella penisola balcanica. Lungo tutta la fascia costiera dalla Romagna alle Puglie, fu facile, per gli Albanesi, trovarsi ove insediarsi a causa dello spopolamento di molti centri a seguito alla tremenda “peste nera” ricordata anche nelle novelle del Boccaccia, che nel Trecento ha mietuto un gran numero di vittime in quasi tutta Europa. In castel Francesco, dunque, molti si deve al duro lavoro degli albanesi costretti a vivere nei primi anni del loro soggiorno in “rozze capanne” e ammessi solo in seguito ad alloggiare nel castello. A loro erano affidate le attività più umili. Nel 1621 venne effettuata all’interno del castello la costruzione della chiesa di Sant’Andrea e i conti Ferretti avevano il compito di nominare i parroci. Sul castello, di forma quadrata, si elevano tre torri e un’altra torre domina l’ingresso sormontato dallo stemma della famiglia Ferretti. Questo, in origine, era formato da uno scudo con due bande rosse in campo d’argento sormontato dal cimiero con al centro una trota. Successivamente fu aggiunto il leone. Nel XVI fu aggiunta l’aquila bicipite imperiale e più tardi ancora, due chiavi con la Basilica Pontificia.


Fonte: Carrera L., Sensini C., Tonelli,L., Un affresco da salvare. Per recuperare la nostra memoria storica, Castelferretti, Tecnoprinit, 1995, pag. 11.

Occasional Papers 2008/1 Castelferretti

BIBLIOTECA “LORENZO RADONI”
CASTELFERRETTI
FONDO COLTRINARI


OCCASIONAL PAPERS
2008/1



Castelferretti

Il Nucleo originario di Castelferretti, anch’esso un antico castello, sorse nella seconda metà del secolo XIV per opera di Francesco ferretti, uomo d’armi, che fu tra l’altro Podestà di Firenze. Si ritiene tuttavia che nello stesso luogo esistesse una fortezza, affidata, nel periodo delle lotte tra i papi e Federico II di Svevia, alla difesa dei ferretti, venuti dall’Alzazia, dove possedevano la contea di Ferrette, per porsi al servizio della Chiesa.
La nuova costruzione, edificata nella piana detta allora dei Ronchi, era una fortezza di forma rettangolare con profonde mura a controscarpa ed una ampia e capace fossa da riempirsi d’acqua in caso di necessità; gli angoli erano guarniti di torri; una torre venne anche innalzata sopra il ponte levatoio.
La grandiosità di questa costruzione era certamente dovuta alla importanza strategica della vasta località, che doveva essere protetta dalla parte del mare e dal retroterra. Il nome di Francesco Ferretti e l’anno di costruzione, 1386, sono ancora ricordati dalla lapide posta all’arco di ingresso; sopra la lapide vi è lo stemma della famiglia. La signoria feudale fu riconosciuta a Francesco ferretti nel 1396 dal papa Bonifacio IX, che gli conferì il titolo di conte; veniva così costituito il feudo di Castel Francesco, indipendente da Ancona e posto sotto la protezione del papato. Il nome della contea fu successivamente mutato dagli eredi di Francesco ferretti in quello di Castelferretti, divenuto recentemente Castelferretti. Anche questa costruzione venne a perdere, con le continue trasformazioni, la sua primitiva funzione finché divenne comune abitazione

Fonte: Campana G., Marinelli L., Marinelli G., Sabbatici A., Vecchia Falconara, Falconara Marittima, Foto Club Falconarese – Comune di Falconara Marittima, 1975, pag. 3.