Centro Studi di Castel d'Emilio ed Agugliano

Biblioteca Comunale di Agugliano


L'Apporto di Volumi per l'anno 2014 è stato di 5 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2015 è stato di 5 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2016 è stato di 8 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2017 è stato di 7 Volumi
LApporto di Volumi per l'anno 2018 è stato di 8 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2019 è stato di 5 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2020 è stato di 20 volumi

(info:federazione.ancona@istitutonastroazzurro.org)

Mediateca Polverigi

Biblioteca
Fondo Coltrinari
Storia Militare Contenporanea
e Storia Militare delle Marche.

L'Apporto di Volumi per l'anno 2015 è stato di 38 volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2016 è stato di 196 volumi
L'apporto di Volumi per l'anno 2017 è stato di 75 volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2018 è stato di 35 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2019 è stato di 3 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2020 è stato di
(Info: federazione.ancona@istitutonastroazzurro.org)

Società Operaia di Mutuo Soccorso Castel d'Emilio

Biblioteca

Fondo Coltrinari


L'apporto di volumi per l'anno 2012 è stato di 10 Volumi
L'apporto di Volumi per l'anno 2013 è stato di 25 Volumi
L'apporto di Volumi per l'anno 2014 è stato di 50 Volumi
L'apporto di Volumi per l'anno 2015 è stato di 35 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2016 è stato di 30 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2017 è stato di 10 volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2018 è stato di 18 volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2019 è stato di 6 Volumi
L'Apporto di Volumi per l'anno 2020 è stato di ......
(info:federazione.ancona@istitutonastroazzurro.org

Biblioteca L. Radoni. Fondo Coltrinari

L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni -Fondo Coltrinari per il 2008 è stato di 965 Volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2009 è stato 983 Volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2010 è stato di 1003 Volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2011 è stato di 803 Volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2012 è stato di 145 Volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2013 è stato di 215 Volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L.Radoni - Fondo
Coltrinari per il 2014 è stato di 943 volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2015 è di 523 volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2016 è di 629 volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2017 è di 354 volumi
L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2018 è di 106 volumi
L'apporto di volumi alla BibliotecaL. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2019 è 23 volumi L'apporto di volumi alla Biblioteca L. Radoni - Fondo Coltrinari per il 2020 è di 10 volumi (aprile) info:federazione.ancona@istitutonastroazzurro.org

Cerca nel blog

mercoledì 28 dicembre 2011

Massimo Morroni: un altro bel lavoro!


Presentato lo scorso 10 dicembre il volume curato da Massimo Morroni sulla storia di una delle più interessanti fabbriche che operarono ad Osimo negli anni settanta.
Un lavoro di fissazione della Memoria nella realtà industriale di Osimo che sottolinea come la manifattura sia la chiave di volta di ogni progresso e creazione di ricchezza.
Un altro bel lavoro di Massimo Morroni

mercoledì 16 novembre 2011

I Giorni della Gloria e della Sofferenza

Cattolici e Risorgimento italiano

di Pier Luigi Guiducci

(Editrice ELLEDICI - pagg. 160 - Prezzo 16,00 €)

Rivoli (Torino) – novembre 2011 – Sta per arrivare in libreria il nuovo libro I giorni della gloria e della sofferenza. Cattolici e Risorgimento italiano di Pier Luigi Guiducci (Editrice Elledici, pagg. 160, Prezzo 16,00 €).

Il volume offre una sintesi storica chiara ed esauriente per leggere il Risorgimento da un’angolazione spesso trascurata: quella del coinvolgimento dei cattolici.

Nel XIX secolo il periodo risorgimentale italiano (1820-1870) fu segnato da una sofferta interazione (talora apertamente conflittuale) tra il Regno di Sardegna (poi d'Italia nel 1861) e la Chiesa cattolica.

Davanti ai disavanzi economici, legati anche alle vicende belliche, gli organi statali del tempo adotteranno una serie di misure mirate ad acquisire in modo forzoso il patrimonio ecclesiastico, unitamente a ulteriori normative giurisdizionaliste.

In fase postunitaria fu infatti negato il riconoscimento a tutti gli Ordini, le Corporazioni e le Congregazioni religiose regolari e secolari, ai Conservatori ed ai Ritiri che comportassero vita in comune e che avessero carattere ecclesiastico.

I beni di proprietà di tali enti furono soppressi e incamerati dal demanio statale. Fu poi sancita la soppressione degli enti morali ecclesiastici ritenuti superflui dallo Stato per la vita religiosa del Paese. In ultimo fu esteso l’esproprio dei beni ecclesiastici anche ai territori provenienti dagli Stati Pontifici e, quindi, anche a Roma, la nuova capitale. Tale linea politica presentò ampie zone d’ombra.

Malgrado il contesto descritto, il contributo dei cattolici non fu certo assente dalle diverse fasi storiche che condurranno alla proclamazione dell’Unità d’Italia.

Tale contributo è evidente in tutte le diverse correnti che caratterizzarono la spinta verso un superamento delle situazione definitasi con il congresso di Vienna del 1815.

Questo volume offre in cinque capitoli

- Risorgimento «senza bussola»? L’apporto culturale dei cattolici

- Risorgimento «senza identità»? L’apporto politico e giuridico dei cattolici

- Risorgimento «disumano»? L’apporto sociale dei cattolici

- Risorgimento «insanguinato»? L’apporto di assistenza dei cattolici

- Risorgimento «scomunicato»? L’apporto di mediazione dei cattolici

una lucida narrazione degli eventi storici che hanno visto il cattolicesimo interagire con gli eventi del Risorgimento italiano attraverso la meticolosa ricostruzione condotta nelle pagine di questo prezioso libro da Pier Luigi Guiducci, Docente di Storia della Chiesa presso la Pontifica Università Lateranense e presso l’Università Pontificia Salesiana, autore di molteplici opere, tra le quali, per la ELLEDICI, La Chiesa nella storia. Duemila anni di Cristianesimo(2008).





Per informazioni:

Ufficio Stampa Elledici - Alessandro Mormile e Giovanni Godio

Tel.: 011.95.52.162 - 334.6756435 (cell. Mormile)

Fax: 011.95.74.048 - E-mail: ufficiostampa@elledici.org

giovedì 20 ottobre 2011

Libro "Salvare il salvabile" presentato il 1 ottobre 2011 alla Biblioteca

Il luogo ove è stato firmato l'armistizio il 3 settembre 1943: Cassibile, Sicilia orientale.

A giudizio di chi scrive l’errore sistematico, che con questo volume s’intende superare, è che sinora gli avvenimenti relativi all’armistizio dell’8 settembre 1943 e agli eventi che ne seguirono sono stati giudicati con il senno del poi, nell’ottica della situazione venutasi a creare nel dopoguerra e del clima culturale dominante. Questa è un’ottica che i protagonisti del tempo non potevano avere, pertanto il loro approccio logico doveva inevitabilmente essere differente, persino sui risultati finali del conflitto, che la classe dirigente nazista era convinta di potere ancora volgere a proprio favore. Gli italiani erano stati informati dello sforzo per realizzare risolutive “armi segrete” proprio nella riunione di Feltre del 19 luglio 1943, giorno del bombardamento del quartiere San Lorenzo di Roma. Mussolini, in quell’occasione, rimase a tal punto affascinato e succube dell’esposizione Hitler da non fare cenno alcuno all’intenzione che stava maturando in alcuni ambienti italiani di uscire dal conflitto.

Questo fu probabilmente determinante a creare un clima favorevole a un suo avvicendamento, che come abbiamo visto fu equivoco (la guerra continua) e finalizzato alla tenuta del fronte interno e al mantenimento dell’ordine pubblico.

Se il doppio gioco di Badoglio, del quale parla Churchill, doveva avvenire ai danni degli angloamericani e non dei Tedeschi, molte delle cose incomprensibili e non ancora chiarite di quei giorni possono venire riviste sotto nuova luce e persino razionalmente spiegate. In questo volume si avanza l’ipotesi dell’inganno strategico ovvero attirare in una trappola gli Alleati, farli sbarcare, fingere inizialmente di combattere e poi o decidere la resa,rispettando i patti, oppure ributtarli a mare, con i Tedeschi compartecipi del disegno.

Forse diffidavano, ma in questo caso le assicurazioni di Badoglio e di Vittorio Emanuele a Rahn devono venire lette sotto un’ottica diversa da quella corrente, che attribuisce loro un’incredibile faccia di bronzo. Gli avvenimenti cominciarono a precipitare solo nel pomeriggio dell’8 settembre, quando apparve chiaro che Eisenhower non era disponibile a sentire ragioni e che la parte italiana doveva “prendere o lasciare”, cioè continuare il gioco pericolosamente oltre il previsto, avallando uno strumentale armistizio, oppure denunziare gli accordi di Cassibile, ma compromettere la fase cruciale dell’inganno strategico che avrebbe dovuto concretizzarsi entro pochi giorni.

Altro punto che sembra accreditare la nostra tesi, ed in particolare che la cosiddetta “fuga da Roma” avesse inizialmente come meta Chieti e non Brindisi, è l’atteggiamento tenuto dai membri della comitiva regia nella sosta presso i duchi di Bovino, dai quali si erano recati a pranzo. Il Sovrano, che fece notare di avere nel portafogli una somma di poco superiore alle mille lire dell’epoca, il duca d’Acquarone, che confessò di avere con se solo il vestito che indossava, Badoglio che rafforzò le sue convinzioni con un riferimento alle sue origini piemontesi, tutti ribadirono, e con enfasi, che l’allontanamento da Roma sarebbe stato un evento di pochi giorni.

Sono affermazioni incomprensibili, addirittura da scriteriati, se le si giudica alla luce di come sappiamo andarono a finire le cose; al contrario, se le si interpreta alla luce della nostra tesi, che la cosiddetta “fuga da Roma” doveva essere, portandosi al limite del versante opposto dell’Appennino, un prudenziale allontanamento dalla costa tirrenica e dall’area di Roma dove avrebbe dovuto infuriare – così si pensava – una violenta battaglia aeronavale e terrestre per respingere più teste di ponte di un massiccio sbarco previsto in forze, allora queste strane e sinora illogiche affermazioni di ottimismo acquistano significato e soprattutto si spiegano in maniera logica e pertinente.

Il volume presenta questa tesi che può essere accettata o meno, ma con l’ottica che alla fine di questi inganni reciproci, si dissolse ogni potere per la Monarchia e per gli Italiani arrivò il momento delle scelte, dalle quali si creò l’architettura della Guerra di Liberazione



Gli Autori:
Giorgio Prinzi, ingegnere e giornalista pubblicista, è stato presidente due mandati (sei anni) Vicepresidente Nazionale dell’Associazione Nazionale Genieri e Trasmettitori d’Italia (Anget). Attualmente è Segretario del Comitato Italiano per il Rilancio del Nucleare (Cirn); Consigliere Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti; membro del Comitato Esecutivo dell’Istrid (Istituto Studi Ricerca Informazione Difesa); responsabile per la comunicazione del progetto “Storia in laboratorio”.


Massimo Coltrinari, Generale, Laureato, è Titolare di Storia Militare all’ISSMI, Cattedra di Dottrine Strategiche. È Direttore della Rivista “Il Secondo Risorgimento d’Italia”, e ideatore e responsabile scientifico del Progetto “Storia in Laboratorio”nonché della Collana edita presso la Società editrice Nuova Cultura con lo stesso titolo di “Storia in Laboratorio”. E’ Cultore della Materia presso la cattedra di Geografia Politica ed economica, Facoltà di Scienze Politiche, Dipartimento di teoria Economica, Università La sapienza, Roma


Il volume è acquistabile in tutte le librerie d'Italia. Per ordini diretti: ordini@nuovacultura.it
per informazioni e apprfondimenti: risorgimento23@libero.it
per conttattare gli Autori
 Giorgio Prinzi: giorgioprinzi@libero.it
Massimo Coltrinari: massimo.coltrinari@libero.it

Fare Cultura

CONVERSAZIONI CON L’AUTORE


La Pro Castelferreti, in collaborazione con la Associazione Nazionale Combattenti della Guerra di Liberazione, nel quadro del progetto Storia in Laboratorio, per l’Anno Accademico 2011-2012 promuove incontri durante i quali, conversando, l’Autore dibatte con i presenti i temi trattati nel volume che si presenta.

Gli incontri avranno luogo presso

la Biblioteca “L Radoni”, Sala del castello, Piazza della Liberta 17, Castelferretti

Il Calendario è il seguente:

Sabato 1 0ttobre 2011, ore 17.

Giorgio Prinzi, Massimo Coltrinari
Salvare il Salvabile
La crisi armistiziale dell’8 settembre 1943: per gli Italiani, il momento delle scelte.


Sabato 19 Novembre 2011, ore 17.

Paolo Colombo, Massimo Coltrinari,
La Divisione “Perugia”
Dalla tragedia all’oblio. Albania 8 settembre -3 ottobre 1943. 2009


Sabato 21 Gennaio 2012, ore 17.

Massimo Coltrinari,
La Guerra Italiana all’URSS. 1941-1943. Le Operazioni,
Volume I, I Prigionieri Italiani nella Seconda Guerra Mondiale in Unione Sovietica



Sabato 19 Marzo 2011, ore 17.

Pierivo Facchini
La campagna di Tunisia. 1942-1943
La Perdita della sponda Africana e le premesse dello sbarco in Sicilia.



Sabato 20 Maggio 2012, ore 17.

Massimo Coltrinari,
L’Ultima difesa pontificia di Ancona. 7-29 settembre 1860
La fine del potere temprale dei Papi (1532-1860) nelle Marche

Il programma può subire variazioni

Informazioni dettagliate si possono essere sul blog

www.bibliiotecaradoni.blogspot.com

per ulteriorri informazioni: procastelferetti@libero.it
                                       ricerca23@libero.it
            

10 giugno 1940

Uscite stremate dalla Grande Guerra Francia e Gran Bretagna, con la Russia zarista scomparsa dalla carta geografica e sostituita dall’URSS, pensavano di aver mantenuto il loro potere. A Versailles, non furono prodighi con l’Italia che sì, ebbe Trento e Trieste, ma depauperata di quello che erano le sue pretese nei Balcani. Fu la “vittoria mutilata” e la crisi conseguente di Fiume. La Germania fu duramente punita e questa miope politica di rivincita minò la Repubblica di Waimar e portò il popolo tedesco verso posizioni di riscatto e rivincita, che furono colte dal partito nazionalsocialista che, con a capo Hitler, ebbe il potere totale. Uno dei cardini della sua politica fu l’annullamento delle clausole di Versailles e la rivincita contro Francia e Inghilterra.


La potenza tedesca in centroeuropea fu di nuovo in crescita in modo esponenziale La Germania dopo aver annesso per via diplomatica i Sudeti e l’Austria, predisposto un esercito potentissimo, attaccò la Polonia per avere Danzica. Si ricreò la situazione del 1914: non si poteva permettere alla Germania di essere così potente e Danzica, come Sarajevo, fu la scintilla che generò il conflitto mondiale.

La situazione nei rapporti di potenza, però, era diversa. Francia e Gran Bretagna erano deboli stremate e poco armate e non in grado di affrontare la Germania. Adottarono una strategia “dal debole al forte”, ovvero una strategia indiretta. cercando di diluire il più possibile la potenza tedesca nello spazio, aprendo più fronti possibili. Abbandonarono la Polonia, rimanendo sulla difensiva sul fronte occidentale. E la “drole de guerre”, in cui, come nel 1914, non vi è un ruolo per l’Italia

In visita a Londra nel 1938 al gen. Ulrich capo della Lufwaffe fu chiesto chi avrebbe vinto la prossima guerra. La risposta fu profetica: “non so chi la vincerà,, ma sicuramente so chi la perderà: quella colazione in cui avrebbe militato l’Italia.”

Significando con ciò che tutte le potenze vincitrici della prima guerra mondiale erano uscite stremate. E in questa prospettiva L’Italia ebbe assegnato il suo ruolo nel quadro della strategia indiretta. Doveva essere accanto alla Germania, divenendone un peso. E così fu.

Bloccate le forniture di carbone, essenziale per sopravvivere, nel marzo 1940, l’Italia entrò in guerra abbagliata dalla folgorante impresa tedesca del maggio del 1940: sconfitta la Francia in quattro settimane con la Gran Bretagna alle corde, Mussolini cedette che ormai la guerra era vinta per la Germania. L’Italia voleva essere al tavolo della pace, dalla parte dei vincitori, per avere il suo bottino. Il 10 giugno 1940, conscio che l’Italia era militarmente ed economicamente impreparata, dichiara la guerra; questa fu annunciata a una folla delirante, in una “adunata” oceanica; fu una grande festa, ma che preluse a trentanove mesi di sconfitte e tragedie, finiti con la crisi armistiziale dell’8 settembre 1943, la pagina più buia della recente storia d’Italia.

Affresco alla Cappellina del Cimitero.

domenica 18 settembre 2011

La prima pagina del Corriere Adriatico del 12 settembre 2001


La sorpresa per l’attacco alle Due Torri traspare nella pagina del 12 settembre 2001. Si hanno notizie errate, come il numero dei morti che si rivelerà per fortuna di molto inferiore, e non si ha la percezione di quello che effettivamente sia successo. Si calca la mano sul ruolo della televisione che in quelle ore di sgomento e paura mandava in onda immagini di fuoco e distruzione in continuazione. La normalità il passato che dall’11 settembre divenne tale, è portato in margine, con la pubblicità che evidenzia ancora di più la tragedia che annuncia una nuova era mondiale. Non si coglie chi effettivamente ha operato e colpito gli Stati Uniti che per la prima volta sono sotto attacco sul proprio territorio ed hanno vittime tra i loro cittadini. Crolla, con quello delle Due Torri il cardine della sicurezza degli Stati Uniti: nessuno è in grado di portare la guerra, nelle sue forme più variegate, nel territorio metropolitano americano. Una certezza svanita che sconvolge ogni statunitense.

Per apprfondire: scrivere a ricerca23@libero.it

venerdì 2 settembre 2011

Lezioni di Storia: La Fine del papa re

Sergio Sparapani presiede a Senigallia la Terza Lezione di Storia del 2011 dal tema "La fine el Papa re”. Senigallia capitale dimenticata, Pio IX Le Marche e il Regno d’Italia.


Una Lezione quanto mai interessante alla vigilia dell’arrivo di Benedetto XVI in Ancona per il Congresso eucaristico.

La Fine del potere temporale dei Papi rappresenta uno egli elementi positivi della Chiesa Cattolica Romana, che nel corso dell’ottocento si era impantanato in una religione feticista, reazionaria, e conservatrice. Le guerre per l’Unità d’Italia hanno permesso allo alla Curia Romana di uscire del pantano in cui era caduta con la restaurazione del 1815, alle merce dell’Austria e della Francia.

L’occasione può essere propizia per affrontare dei temi del passaggio delle Marche dallo stato preunitario allo stato nazionale, come ad esempio la croce cattolica posta sopra l’Ossario dei Caduti del 18 settembre, a castelfidardo ove sono sepolti i Soldati sardi. Questi Soldati, scomunicati, dovrebbero essere rispettati.

La Croce è stata posta nel 1903 della allora Contessa Ferretti con evidente atto prevaricatore. Uno dei tanti esempi di problematiche aperte, che si potrebbero affrontare avviando studi e ricerche basate su rigore scientifico e non funzionali a qualche interesse, sia legittimo che illegittimo.

Interverranno Marco Severini dell’università di Macerata e Giovanni Sabbatucci dell’università la Sapienza.

venerdì 1 luglio 2011

Giulio Marchetti, vittima dell'Internamento in Germania



La crisi armistiziale del settembre 1943 ha messo gli Italiani di fronte a se stessi. Dopo un ventennio di dittatura, voluta dalle classi dominanti per mantenere i loro privilegi e per non attuare quelle riforme sociali promesse durante i giorni tremendi della prima guerra mondiale all’indomani di Caporetto, ed una guerra durata 39 mesi voluta dal regime fascista in cui non si erano ben definiti gli obiettivi strategici e soprattutto non si avevano dottrine, mezzi, materiali per affrontarla, l8 settembre 1943 tutti i nodi vennero al pettine. Travolta dai suoi stessi errori, la Monarchia, complice del fascismo, non trovò di meglio che fuggire da Roma, mettersi al sicuro dietro lo scudo alleato, e lasciare gli italiani senza guida, sena protezione, senza legge, alla merce del nostro nemico ereditario, che si presentava sotto le vesti, questa volta, del nazista espressione di quel regime del genocidio che ha segnato di sangue il secolo breve.

I grandi drammi politico- scoiali non possono che riverberarsi sulla vita di ogni uomo e donna. E la generazione, nata sotto il fascismo, ma per la gran parte non contaminata da esso, si trovo di fronte a se stessa: come tutti gli italiani si dovette scegliere sull’onda degli avvenimenti.

Per molti soldati non ci fu nemmeno questo. Sorpresi dall’iniziativa tedesca, che già all’indomani del 25 luglio aveva predisposto piani ed azioni per ridurre l’Italia in schiavitù, appena fu proclamo l’armistizio la furia teutonica si abbattè sull’Italia e sugli Italiani.

Soprattutto sui militari. Questi, lasciati senza ordini, non ebbero la possibilità di difendersi e furono tutti catturati ed inviati in Germania, come lavoratori schiavi, senza lacuna protezione giuridica, nemmeno riconosciuto lo status di prigionieri di guerra. Erano considerati poco al di sopra degli Ebvrei, destinati allo sterminio, ed ai prigionieri della Unione Sovietica, che non godevano delle protezioni del Diritto Internazionale. Furono 600.000 i soldati che ebbero questa sorte. Una sorte, però, che nella tragedia, come tutto quello che riguarda la guerra di Liberazione. Si trasformò in epopea e forza morale ed esempio.

I seicentomila, ebbero il coraggio morale e civile di rifiutare ogni proposta accomodante e dei nazisti formulata attraverso i collaboratori della Repubblica di Salò. Fu un no generalizzato, detto e mantenuto da una generazione che il fascismo aveva cresciuto ed allevato. Un no che fu di fatto, anche agli occhi dei tedeschi, la deligittimazione della Repubblica Sociale Italia. E’ quel fronte della resistenza, il fronte della resistenza del filo spinato che è una delle pagine più esaltanti della nostra storia recente e che rappresenta uno dei fondamenti della Nostra repubblica.

Con questi sentimenti, appena appreso dai quotidiani locali del rientro ad Osimo della salma del milite Giulio Marchetti morto nell'ultimo conflitto in Germania nel 1944 e li sepolto nel cimitero militare Zehlendorf di Berlino, l'ANPI ha comunicato ai familiari del bersagliere Caduto la propria intenzione di rendere omaggio al concittadino vittima ferocia nazista, assicurando la presenza della bandiera dei partigiani osimani sia all'arrivo dei resti nel cimitero di S. GIovanni sia alla funzione religiosa di sabato2 luglio 2011 

venerdì 27 maggio 2011

La Guerra nei Balcani

Il Cossovo nel 1999

Pristina Luglio 1999
Gli avvenimenti in Jugoslavia hanno posto drasticamente alla attenzione internazionale il problema delle etnie balcaniche, soggette, per vari motivi, a quello che in termini giornalistici e geopolitici si chiama "pulizia etnica". In particolare questa pulizia riguarda, da una parte la componente albano-cossovara del Cossovo, e dall’altra la parte serbo-cossovara dello stesso Cossovo. Tutto ebbe inizio con la frantumazione della Repubblica Federale Jugoslava, nata dalla guerra di resistenza condotta dal Maresciallo Tito, prima con in Croazia, Poi in Bosnia ed infine in Cossovo e che ultimamente ha raggiunto aspetti inquietanti ed allarmanti. I vari aspetti e i diversi gradi di attuazione di questa politica, con particolare riferimento al Cossovo, con le sue motivazioni ed implicazioni sono oggetto di questa nota.



Un problema dalle origini lontane



Il venerdì di Pasqua del 1939 l'Italia invade l'Albania. Nei circoli diplomatici europei, a commento di questa notizia, circolava la battuta " è la stessa cosa di un marito che rapisce la propria moglie", battuta che voleva sottolineare la forte influenza che l'Italia aveva nel paese Schipetaro. Mussolini e Ciano, però, volevano aggiungere un altro alloro alla Corona d'Italia: infatti diedero vita alla Unione del Regno d'Albania al Regno d'Italia, nella persona di Vittorio Emanuele III. Scopo ultimo di questa azione era quello di creare in Albania il Nuovo Modello di Stato del Nuovo Ordine Europeo. Un progetto che rimase in gran parte sulla carta, ma che assorbì gran parte delle scarse risorse strategiche italiane. La presenza italiana in Albania fu improntata a puro imperialismo, anche se marcato di una vena di paternalismo latino-mediterraneo che contenne l'occupazione negli alvei della normalità.

Un duro colpo al prestigio italiano venne dalla campagna di Grecia, quando il nostro Esercito, dopo aver attaccato il 28 ottobre la Grecia, fu costretto alla difensiva e nel dicembre del 1940 rischiò di essere ributtato in mare. La propaganda italiana per questa guerra si era incentrata sulla volontà di Roma di strappare alla Grecia la Ciamuria, regione a presenza albanese nonché parte della Macedonia, da annettere alla Albania. Questo progetto della Grande Albania vedeva i nazionalisti albanesi entusiasti: finalmente il loro sogno, anche se con il concorso di un paese straniero si stava avverando. In molti pensavano che aver puntato sull'Italia abbandonando Re Zogu I era stata una scelta felice. La campagna di Grecia, e la sua conclusione, ovvero l'intervento tedesco che in tre settimane sconfisse la Jugoslavia e la Grecia, pose agli albanesi molti interrogativi. Era palese che l'Italia non era la grande potenza che voleva apparire; la vera potenza era la Germania. Questo si rilevò ancor più al tavolo delle spartizioni. Alla Albania furono annessi territori, ovvero fu annesso il Cossovo, ma la Ciamuria rimase Grecia, mentre parte della Macedonia passo alla Bulgaria. Se da una parte ci si rallegrava della annessione del Cossovo dall'altra il sogno di realizzare la Grande Albania era rimandato. Negli anni 1941 –1943, la presenza italiana in Albania era tollerata: gli albanesi si erano convinti, anche per l'andamento della guerra, che avevano scelto l'alleato più debole. Nonostante gli sforzi di Roma per migliorare la situazione, ormai il prestigio italiano era molto basso. Sul finire del 1942 si hanno le prime sporadiche ribellioni e attacchi alle caserme dei Carabinieri.

Con la primavera del 1943, si sviluppa in Albania l’opposizione a Roma, con evidenti simpatie per la Germania. Nel luglio 1943, dopo la caduta del fascismo, il fronte della Resistenza, che comprende nazionalisti, zoghisti, indipendentisti, socialisti e comunisti, si rafforza, anche se non riesce a svolgere azioni armate consistenti. Da notare che i tedeschi, in Albania erano completamente assenti, tranne poche centinaia di uomini della contraerea fino all'agosto del 1943.

Con l’armistizio del 8 settembre, i tedeschi entrano in Albania, catturano gli italiani e danno vita ad un governo nazionalista che asseconda i loro scopi. Nel contempo il fronte della Resistenza si spacca e mentre i zoghisti e i monarchici rimangono neutrali, il Balli Kombetar (Fronte Nazionale) passa a collaborare. I comunisti di Hohxa danno vita alla resistenza armata, anche con l’aiuto dei soldati italiani saliti in montagna. In questa guerra i kosovari, che subito si erano alleati ai tedeschi , si distinguono per la loro intransigenza. Saranno loro che garantiranno per i tedeschi l’ordine in Albania, nel quadro generale del nazionalismo albanese e della Grande Albania. La lotta è contro le formazioni partigiane di Hohxa che riescono però a condurre azioni sempre più in profondità. Hohxa deve anche tenere in evidenza i rapporti con il potere vicino di Tito e con l’influenza dei jugoslavi nelle sue azioni. Le formazioni Cossovare sono la punta di diamante delle forze nazionaliste e si impegnano a fondo contro i partigiani. Sarà questo atteggiamento, sostenuto dalla nobiltà terriera e dalla dirigenza cossovara che peserà molto nelle decisioni del dopoguerra.

Nella conferenza di Mukje (1943), Tito si oppone decisamente a che, nella sistemazione a vittoria conseguita, il Cossovo rimanga nell’Albania. E’ uno dei contrasti che dividono Hohxa e Tito, ma in nome del socialismo non si giunse ad una rottura. Il Cossovo, peraltro, nella costituita Repubblica di Jugoslavia non ottiene lo Status di Repubblica, come invece è accaduto ad altre comunità linguistico-culturali quali i Croati, i Serbi, gli Sloveni. In seguito al Cossovo è stato concesso lo Status di provincia autonoma, sempre però nell’ambito della Repubblica di Serbia.

La costituzione del 1974 conferma ai kosovari di partecipare alle principali Istituzioni Federali es. Parlamento, Presidenza della Repubblica ed ampliava la sfera dell’autonomia : Assemblea Parlamentare, uso della lingua albanese, pubblica istituzione, sistema bancario, polizia, Corte di Giustizia e tributari, mass-media in lingua albanese. Ma non venne riconosciuto, al pari delle altre repubbliche della Federazione, il diritto alla autodeterminazione, ovvero alla possibilità di uscire dalla Federazione Jugoslava.

La morte di Tito diede il via ad una serie di rivolte verso il potere centrale.

Nel 1986 si ha la presa del potere di Slobadan Milosevic e per il Cossovo si attenua la sua fisionomia di provincia autonoma. Il 23 marzo 1989 l’assemblea della Repubblica di Serbia appone emendamenti alla costituzione che nella sostanza si traducono in restrinzioni alla autonomia alla provincia. Con la loro formale istituzione nel 1990, in pratica si ha l’abolizione dello Status della provincia autonoma, con la abolizione di tutti gli organi regionali, legislativi, esecutivi e giudiziari. Questi provvedimenti furono presi con la giustificazione di evitare ulteriori abusi da parte degli organi regionali kosovari.

La Costituzione serba, del 1990, prevedeva il Cossovo ancora come “Regione autonoma” (art. 108 e 112), con le facoltà di emanare un proprio “statuto” ed il riconoscimento di specifiche competenze nei settori culturale, dell’istruzione, sanità, della protezione sociale e dello sviluppo economico, senza, peraltro, poteri legislativi tranne in specifici casi di delega da parte del Parlamento serbo. Gli organi di autonomia regionale erano e sono tuttora il Parlamento ed il Consiglio Esecutivo. Tutto questo, non trova attuazione dalla parte albano-cossovara, in segno di protesta contro emendamenti apportati al governo serbo.

Inoltre gli albano-kosovari diedero vita (dicembre 1989) alla “Lega Democratica del Cossovo” (Lidjha Democratike e Kosoves – LDK), che rappresentava il Partito della identificazione etnica degli Albanesi. Ibrahim Rugova, un intellettuale, Presidente dell’Unione degli Scrittori, divenne il leader carismatico della nuova formazione politica. Il 17 settembre 1990 e delegati dell’Assemblea Parlamentare albano-cossovara, riunitisi clandestinamente a Kacanic, proclamarono la Costituzione della Repubblica del Cossovo, con l’intento di costruire un’etnia indipendente. AL fine di concretizzare tale iniziativa gli albano-kosovari costituiscono istituzioni “parallele”.

Nel 1991 fu tenuto in Cossovo un referendum cui partecipò l’87% degli aventi diritto (i Serbi hanno boicottato il voto) ed il 99,87% dei votanti si espresse a favore dell’adozione della Costituzione; il 19 ottobre 1991, l’Assemblea Parlamentare albano-cossovara proclamava il Cossovo Stato sovrano ed Indipendente.

La “Repubblica del Cossovo”, fatta eccezione per l’Albania (1992), non venne riconosciuta dalla Comunità Internazionale, preoccupata di salvaguardare il principio dell’inviolabilità delle frontiere sancito dalla Carta di Helsinki.

Nel maggio 1992, si svolsero nella Provincia le prime “elezioni parallele generali” che sancirono la nomina di Ibrahim Rugova alla carica di Presidente dell’autoproclamata Repubblica nonché la costituzione di un “Parlamento” albano-kosovaro. Seguì la formazione di un “Governo” guidato dal Primo Ministro Bujar Bukoshi, in esilio in Germania, costituito da esponenti dei vari Partiti rappresentativi della comunità albano-cossovara.



Una provincia sfruttata.



Il Cossovo è povero ed aveva, fino a metà degli anni ottanta, una disoccupazione diffusa; una struttura sociale arretrata, con ancora la presenza di famiglie patriarcali, che nel 1981 aumentavano a 9.000 con circa 15 membri e 300 con altri 20 membri, ed una popolazione per 2/3 rurale.

La regione, peraltro è ricca di minerali e di risorse energetiche, tra le più fertili del sud della Jugoslavia; esistono adeguate infrastrutture per uno sviluppo costante ed adeguato.

Il territorio è ricco di metalli non ferrosi, come bauxite, piombo, zinco e nichelio. Le risorse di bauxite ad esempio sono stimate in 9,7 milioni di tonnellate, a fronte di una produzione di 110-120 tonnellate annua. Le risorse di piombo e di zinco sono circa 53 milioni di tonnellate anche se la produzione è in declino. Le risorse di nichel sono circa 24 milioni di tonnellate. Le risorse energetiche sono la lignite e soprattutto la produzione di energia elettrica.

L’agricoltura è la risorsa naturale più importate. Il 53,6% del territorio (1.088.000 ha.) pari a 590.000 ha è dedicato all’agricoltura, di cui il 70% è coltivabile ed il restante 30% a pascolo. Le foreste sono sul 41,8% del territorio, pari a 447,456 ha. La densità della popolazione è, peraltro, un fattore frenante in quanto il rapporto tra ha e persona nel Cossovo è di 0,25, mentre nel resto d’Europa è dello 0,25(?).

L’industria presenta miniere di carbone, due centrali elettriche con una capacità di 79Mw, ed altri impianti minori.

Il potenziale economico del Cossovo non è stato a fondo sfruttato in quanto il modello di sviluppo imposto da Belgrado ne ha limitato lo sviluppo stesso. Le risorse del Cossovo, in pratica venivano destinate al resto della Federazione, con lo sviluppo della sola industria di base a scapito della trasformazione strutturale e tecnologica con sviluppo della media e piccola industria e del turismo. Questo sta a significare che mentre il Cossovo con i suoi prodotti (metallurgici ed energetici) contribuiva a livello nazionale alla creazione del 45% del prodotto industriale, del 35% dei posti di lavoro, e del 60% del capitale fisso, in effetti la sua partecipazione al P:I.L. era solo del 2%.

Questa situazione fece si che nella etnia albano-cossovara fosse persistente la certezza che il resto della Federazione sfruttava la Provincia. Il Kossovo dava molto, ma riceveva poco

Dopo il 1990, la situazione si è ulteriormente aggravata e si può dire che la sovranità economica del Cossovo è scomparsa e quindi si è avuta la riduzione delle attività produttive ed industriali, il blocco degli investimenti, la cattiva gestione delle imprese pubbliche, la perdita dei mercati monetari.

In tabella I gli indicatori di sviluppo sociale del Cossovo in relazione a quelli della Repubblica Federale di Jugoslavia.



La etnia albano-cossovara e la popolazione del Kossovo



Il Cossovo ha una precisa identità etnica. Secondo le stime del Provincial Istitut of Statistics di Prestina, i cui dati sono stati rilevati dall’UNICEF, nel 1998 il Cossovo aveva una popolazione di 2.150.000, di cui due milioni, pari al 90%, si dichiarava di nazionalità albanese. Su queste cifre si è molto discusso, in quanto non tutti le accettano. Secondo l’ultimo censimento ufficiale della Repubblica Federale di Jugoslavia, del 1981, nel Cossovo, la popolazione era di 1.584.440 abitanti, di cui 1.226.736 albanesi, pari al 77,4%, con un densità di 145,3 abitanti per Kmq.

I dati del 1991 non sono disponibili o non sono completi, avendo l’etnia albanese di tutto il territorio federale jugoslavo, boicottato il censimento, denunciando le scarse condizioni per una corretta realizzazione. In ogni caso tutti gli osservatori concordano nell’individuare in circa 1.800.000 albanesi gli abitanti del Cossovo.

Se vogliamo vedere i gruppi etnici, il 90% è il gruppo etnico albanese, il 7% quello serbo, lo 0,5% montenegrino, il restante 2,5% di altre etnie, tra cui una consistente colonia turca.

I serbi nel Cossovo, secondo il censimento del 1981 erano 209.000; 194.000 nel 1991, nel 1997 180.000, mentre attualmente sono 175.000. Questa popolazione serba si divide in popolazione indigena serba, serbi residenti per motivi di lavoro prevalentemente forze di sicurezza e forze armate, rifugiati provenienti dalla Croazia e dalla Bosnia Erzegovina. La popolazione montenegrina nel 1991 era di circa 20.365 abitanti, nel 1993 era scesa a 10.000 persone.

I due gruppi etnici albanese e serbo, dominanti nel Cossovo sono diversi per religione, lingua ed alfabeto.

Gli albano-kosovari, sono di religione prevalentemente musulmana; la lingua è un idioma simile a quella utilizzata nel nord dell’Albania. Era usanza fino ai primi degli anni ’90 che gli albano-kosovari parlassero il serbo, almeno nelle città del Cossovo. Questa usanza è decaduta con la separazione totale del sistema scolastico avvenuto dopo gli anni ’90, un’intera generazione di albano-kosovari ha frequentato la scuola senza avere avuto l’opportunità di studiare la lingua serba.

I serbi sono di religione cristiano-ortodossa, usano la lingua serba ed usano l’alfabeto cirillico; da notare che l’alfabeto latino era usato fino alla disgregazione della Repubblica Federale di Jugoslavia.

L’etnia cossovara è vitale. L’età media della popolazione di questa etnia è sui 24 anni; oltre il 45% è sotto l’età di 18 anni, ed il 70% sotto quella dei trenta. Nel Cossovo si registra il tasso di mortalità più basso d’Europa, pari al 23,1%, a cui fa riscontro il più alto di mortalità infantile che è del 27,8% nati vivi.

Il censimento nel 1981 rilevava che la donna dedita ai lavori agrari ha in media 6,7 figli ed è interessante leggere la tabella II con le altre percentuali. Il tasso di occupazione della donna in Cossovo (censimento del 1981) era del 15% del totale degli albano-kosovari occupati; il tasso di analfabetizzazione femminile è del 26,3%, e supera il 35% nelle donne col oltre 35 anni. Da sottolineare che il rapporto tra il tasso di crescita della popolazione albano-cossovara e quella serba è di 16 a 1.

Di conseguenza si può stimare che con l’attuale tasso di crescita e quindi l’attuale progressione, nel 2020 la popolazione serba diventerà una minoranza. Nell’ambito della Serbia, la distribuzione degli albanesi in genere, nella regione balcanica è data dalla tabella II, e questa crescita della popolazione e albanese e albano-cossovara è un altro motivo di instabilità della regione.



Le prime minacce: la situazione sanitaria



L’aspetto sanitario della popolazione presenta dati interessanti; nel 1989 nella regione erano operanti 57 ospedali e cliniche. Il personale sanitario era composto da 8.547 unità, di cui 1897 medici, 414 dentisti, e 192 farmacisti. Il numero dei posti letto/ospedale era di 3,1 per mille abitanti; un dato estremamente significativo se lo si pone in relazione a quello della Serbia, che era più del doppio 6,1.

Dal 1989 è operante nel Cossovo la cosiddetta “Serbizzazione” politica voluta da Belgrado e volta a equilibrare il rapporto etnico tra serbi e kosovari nella regione. In questa ottica il personale medico sanitario di etnia albanese che operava nelle strutture sanitarie pubbliche venne via via sostituito da personale serbo.

Non poteva non esserci la reazione cossovara : infatti gli albanesi attuarono il boicottaggio del sistema sanitario nazionale e , di pari passo, fu avviata la creazione di una parallela struttura sanitaria autonoma.

Tale situazione, nonostante l’impegno, ha determinato una inadeguatezza delle infrastrutture e della strumentazione disponibile, come conseguenza si è osservato un aumento, nei primi anni ’90 delle malattie, soprattutto infantili, che potrebbero sfociare in un diffondersi di epidemie. La situazione sanitaria si è ulteriormente aggravata in questi ultimi anni. Si è calcolato che un terzo della popolazione cossovara sia colpita da scabbia e/o tubercolosi; inoltre sono in aumento i focolai di tubercolosi e di molte altre malattie infettive; ancor più allarmante è il dato che molte malattie, che si erano considerate debellate, (tetano, poliomelite, febbre emorragica) sono ricomparse.

Sono stati registrati casi di epatite di tipo B. La situazione è sempre più precaria, soprattutto tra gli sfollati e i profughi, ove si considera l’alto tasso di promiscuità, la carenza di acqua potabile, l’assenza di medicine e generi alimentari, soprattutto tra coloro che si sono rifugiati in aree impervie.

In pratica la situazione sanitaria è estremamente precaria, con la ridotta capacità di posti letto, che in virtù delle due strutture sanitarie parallele esistenti è scesa (dato 1998) a 2,6 posti letto per 1.000 abitanti.





Il dramma della etnia albano-cossovara, di quella serbo-cossovara e la Comunità internazionale.



Abbiamo visto sopra le origini recenti del conflitto tra le autorità di Belgrado e la popolazione del Cossovo.. Gli ultimi avvenimenti (1998-1999) sono tali che portano a considerare realistica l’idea che detta etnia (albano-cossovara) possa essere eliminata o dispersa. La Comunità internazionale non poteva di fronte a questo rimanere inerte.

Il 6 ottobre 1998 il Consiglio dell’ONU aveva approvato la Risoluzione 1199 con la quale chiedeva alla Jugoslavia di cessare ogni azione condotta dalle sue forze di sicurezza contro la popolazione civile e di ordinare il ritiro delle unità di sicurezza utilizzate nella repressione, per rendere possibile un controllo internazionale del Cossovo.

Il Consiglio decideva di considerare “una azione ulteriore e misure aggiuntive”. Non erano specificati i termini di queste misure, in quanto se si fosse fatto indicando un intervento armato, la Russia e la Cina avrebbero opposto il loro voto.

Questa risoluzione faceva seguito ad una precisa azione messa in atto da parte dell’Esercito e della popolazione jugoslava (circa 65.000 uomini) che si era sviluppata per riprendere il controllo di aree controllate dai partigiani di etnia albanese organizzati nell’Armata di liberazione del Cossovo. Questa azione inviata nel luglio del 1998 si protrasse per tutta l’estate fino a settembre e causò la morte di un migliaio di civili kosovari (morti spesso violente con gole tagliate, colpi di pistola alla nuca, villaggi dati alle fiamme). Come se tutto ciò non bastasse, si calcola che oltre 300.000 persone, per lo più donne, vecchi e bambini, sono stati sradicati dalle loro case e vaganti in cerca di sicurezza. L’inverno 1998/99 fu terribile per la popolazione. Secondo dati ONU, su 25.000 abitazioni controllate da funzionari dell’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati, il 60% risultarono distrutte o gravemente danneggiate, ridotte a ruderi, danneggiati, con finestre chiuse con teloni di plastica.

Nel gennaio ’99 si ha l’eccidio di Racak, (45 civili recessi con un colpo alla nuca), a cui seguì un'altra strage di 23 kosovari trovati in un cortile in pozzi di sangue e letame. Ciò a significare che la popolazione Cossovara era in balia degli eventi. Falliti gli accordi di Rambouillet ( ) in cui gli albano kosovari erano lacerati dall’accettazione dell’autonomia con la rinuncia all’indipendenza, la parola passò alla guerra. Il 25 marzo 1999, falliti tutti gli ultimi tentativi, la Nato, con il consenso dei 19 paesi membri, decise di dare all’intervento militare, con l’obiettivo di salvare il salvabile in Cossovo.



Un genocidio in atto?



Secondo l’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati, il numero dei kosovari che hanno abbandonato la regione, dopo l’inizio della crisi nel marzo dello scorso anno fino alla metà di aprile 1999 era di 630.000 persone. Queste erano così ripartite.

Albania 310.000, delle quali 19 giunte prima dello scoppio della guerra; in Fyron (Macedonia) 119.400, delle quali 16.000 prima del 24 marzo 1999; in Montenegro 61.000, delle quali 25.000 prima del 24 marzo ultimo scorso. Negli altri paesi si erano rifugiate 140.000 persone tra il marzo 1998 e il marzo 1999, infine 50.000 persone si sono rifugiate in Serbia. I dati dell’Alto Commissariato non comprendono il numero dei kosovari costretti ad abbandonare le loro case accolti presso parenti ed amici o tuttora vaganti nella regione, in cerca di un rifugio temporaneo che li metta al riparo dalle violenze dei para-militari serbi. Di fronte a questa situazione il 24 aprile 1999 la Commissione dell’ONU per la tutela dei diritti umani, con una risoluzione approvata con 46 voti a favore e uno contrario (quello della Russia) e 6 astensioni, ha manifestato “grave preoccupazione per la pulizia etnica ed i crimini di guerra contro l’umanità perpretati in Cossovo.

La situazione a metà maggio, nonostante tutto, non è migliorata, anzi, per la popolazione cossovara è decisamente peggiorata.

Secondo fonti della Croce Rossa Internazionale i profughi dal Cossovo alla data del 1 maggio 1999 sono circa 969.000. Di questi, 50 mila ( di cui 40.000 di etnia serba)in Serbia; 64 mila in Montenegro; 148 mila ( di cui 17.000 già trasferiti in vari paesi europei) in Macedonia ( Fyrom); 35 Mila ( di cui 24.000 nell'area di Serajevo – sostenuti dalle forze Nato ivi presenti) in Bosnia Erzegovina; 10 Milain Bosnia Repubblica Srpska; 20 mila in Croazia; 8 Mila in Slovenia; 3 mila in Bulgaria; 4 mila in Turchia, circa 175 Mila nella Unione Europea e 367 Mila in Albania.

Da una parte le autorità di Belgrado ed i diplomatici jugoslavi occidentali all’estero continuano a negare che in Cossovo fosse in atto una pulizia etnica ad opera dell’Esercito e delle unità para-militari serbe; si asserisce inoltre, che la fuga dei kosovari albanesi verso la Macedonia, l’Albania, ed il Montenegro era causata dai bombardamenti Nato.

In occidente, e soprattutto l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati, si pensa, invece, a raccogliere prove documentate di eccidi e di fosse comuni di civili ad opera dei serbi. Gli osservatori, peraltro, sostengono che la strategia di Belgrado sia quella di ridurre in poche migliaia i kosovari albanesi residenti sul territorio della provincia “Cossovo” mantenendola sotto la propria sovranità. Di conseguenza, le autorità jugoslave mirano a subire i bombardamenti della Nato fino a quando il programma di pulizia etnica nel Cossovo sarà portato a termine; attuato ciò, ammorbidita la propria intransigenza attraverso la mediazione dell’ONU e della Russia a contrattare con la Nato la cessazione delle ostilità.

Sia in questa ipotesi, sia nell’altra egualmente verosimile, ovvero del rientro in Cossovo dei rifugiati, occorre che la Comunità Internazionale predisponga le misure per “alloggiare e far vivere” questi due milioni di persone.



La Comunità Internazionale di fronte al dramma umanitario ha reagito mettendo in atto operazioni il cui scopo è quello di dare immediata assistenza ai rifugiati ed i profughi cossovari, in secondo tempo creare le promesse per ripristinare la normalità nella regione.

La Risoluzione 1203 del 24 ottobre 1998 e con gli accordi di Belgrado del 16 ottobre 1998, firmati dal Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Federale di Jugoslavia e del Rappresentante della Organizzazione della Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OCSE), e gli accordi firmati il 15 ottobre 1998 dal Capo di Stato Maggiore della Difesa della Repubblica Federale di Jugoslavia ed il Comandante supremo delle Forze Nato in Europa (Saceur) il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha autorizzato le missioni per la verifica del rispetto delle risoluzioni 1160 (del 31 marzo 1998) e 1199 (23 settembre 1998). Queste risoluzioni, come noto, sottolineano la volontà del Consiglio di Sicurezza di agevolare una risoluzione pacifica del problema del Cossovo che tenesse conto della integrità della Repubblica Federale di Jugoslavia e della esigenza di autodeterminazione della etnia albano-cossovara. Con tali richiami si era dato l’ordine di porre termine ad ogni conflitto e di agevolare al massimo il ritorno dei rifugiati nelle loro case. Con questo l’OCSE mise in atto una missione di verifica in Cossovo, che prese il nome di Missione di Verifica in Cossovo (KVM). La Nato, in base a questi accordi formulò un piano per coordinare il sostegno agli uomini dell’OCSE. Questi agivano in sicurezza, godendo dello “Status Diplomatico” e la Federazione Jugoslava si incaricò di garantire la loro missione. Nella ipotesi che gli uomini OSCE dovessero essere, per una qualsiasi evenienza, recuperati, la Nato mise in atto un piano per il loro recupero. Nel momento in cui si sarebbe verificata l’ipotesi di un recupero degli Verificatori, la Nato doveva disporre di forze. Per questa ragione furono inviate in Macedonia forze, in cui erano rappresentati tutti i paesi della Alleanza Atlantica, che attualmente, rappresentano la struttura di supporto ed assistenza ai rifugiati kosovari in macedonia, paese che, altrimenti non sarebbe in grado di assisterli o accoglierli. Con il 20 marzo tutta l’operazione ebbe termine, e gli Osservatori raggiunsero la Macedonia, per rientrare nelle sedi nazionali. Una parte dei di questi osservatori, peraltro, è rimasta in Macedonia, come assistenti dell’Alto Commissariato per l’ONU ai rifugiati con compiti, dati la loro esperienza, di anagrafe ed assistenza ai profughi kosovari.

E’ indubbio che qualora la situazione si sbloccasse, ed occorresse una presenza ONU nel Cossovo, l’attuazione di questa missione potrebbe essere di grande aiuto per un primo tentativo di riorganizzazione nella regione.

Altra operazione in atto, per assistenza ai rifugiati, è la “Allied Harbour”. Tale operazione consiste nel dispiegamento di una forza internazionale di circa 10.000 uomini da schierare in Albania per fornire solidarietà ed assistenza ai profughi del Cossovo, dando sostegno all’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati, alle agenzie umanitarie, alle Organizzazioni Non Governative (ONG), alle autorità civili e militari albanesi impegnate nella emergenza cossovara. Questa missione è estremamente vitale, in quanto in Albania l’ordine pubblico è ultimamente gravemente compromesso e la criminalità, sia singola che organizzata gode di ampio potere economico, appoggi e permissività oltre il limite di guardia, aggravata anche dal fatto che, date le condizioni di miseria della popolazione, la rapina, il furto ed altre forme di delinquenza comune sono ormai assurte a regola per sopravvivere. Questa operazione, la cui forza è denominata Albania Force (Afor) ha attivato numerosi campi di accoglienza, che riportiamo in tabella IV per i campi gestiti direttamente dall’Italia e in tabella V quelli dalle altre nazioni.

E’ il caso di sottolineare che l’Italia, oltre ad essere impegnata in Macedonia, ed anche nella SFOR in Bosnia Erzegovina) è presente massicciamente anche in questa operazione, con uomini e mezzi delle nostre Forze Armate.

Oltre a questa presenza, che è la più numerosa presenza di soldati italiani fuori dal territorio nazionale, il nostro paese ha dato avvio alla cosiddetta operazione Arcobaleno.

Arcobaleno si propone di dare assistenza immediata ed aiuto ad oltre 25.000 profughi e successivamente passarli all’Alto Commissariato dell'Onu per i Rifugiati (UNHCR.)

E’ un impegno notevole che vede impegnato in prima linea tutto il nostro volontariato nelle sue varie organizzazioni. Mettendo in atto accordi in essere., si è costituita la DIE, Delegazione Italiana Esperti al fine di individuare esperti autorevoli in loco al fine di far giungere nel posto ferito al momento giusto quanto necessario ai rifugiati; nel contempo dare tutto il supporto alle ONG, che operano indipendentemente in Albania. L’Italia ha messo a disposizione un bilancio di 65 mld, come contributo governativo, 44 mld come contributo del Ministro degli Esteri, e 95 mld a mezzo di attività promozionali, come donazioni, iniziative di istituti, enti, fondazioni ed associazioni.

Tutte queste operazioni tendono ad alleviare le sofferenze di oltre 1.000.000 di kosovari che attualmente sono "in carico" alla Comunità Internazionale.

Ancor più grave è l'aspetto riferito alla criminalità organizzata che, approfittando della tragica situazione, non esitano ad organizzare viaggi della speranza o attraversamento clandestino dell'Adriatico per arrivare in Italia e quindi avere qualche possibilità in più per i rifugiati.

A questo coacervo di problemi non può aggiungersi alla grossa difficoltà in atto dell'afflusso degli aiuti. Il moto di simpatia in atto verso la popolazione cossovara a permesso di raccogliere notevoli aiuti; ma questi non possono giungere tempestivamente in Albania o lì dove c’è bisogno per via della scarsissima capacità di carico dei porti albanesi. Il principale dei quali, Durazzo, non può smistare al giorno che 20/25 containers, quando la necessità sarebbe di 100/150/ giorno. Da qui l'intasamento nei porti di imbarco in Italia e in Europa e nella stessa Durazzo. E' lo stesso problema che dovette affrontare l'Italia nel 1939, al momento della invasione dell'Albania e nel dicembre 1940, quando vi era da sostenere il traballante fronte albano-greco.



Raggiunto faticosamente un accordo, il 12 giugno 1999 le truppe Nato in Macedonia, presero a muovere verso il Cossovo. La regione era stata precedentemente divisa in cinque zone. Inglesi e francesi dovevano muovere per primi verso Pristina, successivamente italiani e tedeschi dovevano scavalcare le posizioni raggiunte e raggiungere i distretti settentrionali e occidentali. Agli italiani fu riservato il distretto di Peç, distretto che comprende i quattro santuari serbi di religione ortodossa.



L’operazione nel suo complesso si è svolta senza incidenti e in poco tempo le truppe della Nato hanno preso il pieno controllo di tutto il territorio del Cossovo. E’ pur vero che la Russia, con una sua iniziativa, si è ritagliata una fetta di territorio sotto la sua diretta responsbailità, m è un episodio marginale nel quadro dei rapporti tra gli Stati.



Ora rimane il difficile: ovvero gestire il post guerra. In pratica il Cossovo è un protettorato internazionale. L’intervento ella Nato ha circoscritto l’iniziativa di Belgrado e, pare, tutti i focolai di conflittualità sono sotto controllo. In Bosnia la presenza internazionale garantisce tranquillità. In Cossovo, passati i primi momenti, tutto è avviato alla tranquillità, anche se una tranquillità balcanica. Infatti alla pulizia etnica contro gli albano-cossovari si è assistito ad una contro pulizia etnica contro i serbo-cossovari. Questa contro-pulizia etnica è stata stroncata dalle forze Natoe limitata a pochi casi di vendetta personale. Occorre peraltro dire che alla prova dei fatti, nonostante le informazioni avute, la pulizia etnica contro i albano-cossovari si è rilevata sull’ordine delle centinaia di unità. Le temute fosse comuni sull’ordine delle migliaia di mori ciascuna non si sono trovate. I casi sono due o i serbi sono stati frenati dalla minaccia di punizioni internazionali e si sono astenuti dai loro propositi, oppure la questione della pulizia etnica è stata gonfiata ad arte da parte dell’Occidente.

UN obbiettivo è stato raggiunto: la conflittualità nei è contenuto; un altro obbiettivo ora tocca perseguire: il contenimento della criminalità organizzata. Questo elemento è forse il dato più inquietante. Si spera che l’intervento nei balcani, organizzato per portare la pace e la tranquillità, non si risolva in una sorta di protezione generale a bande criminali senza scrupoli, dedite al traffico internazionale di armi, droga e prostituzione.

L’Italia, allo stato attuale è il più esposto a questa minaccia. Le nostre mafie collaborano già da tempo con quelle balcaniche, che si stanno lentamente ma stabilmente installandosi nel nostro territorio, mentre oltre Adriatico si stanno “de facto” creando anche con il nostro concorso, miriade di statarelli etico-mafiosi. In pratica i virus balcanici si stanno annidandosi nella nostra penisola, come eredità diretta di questa guerra.

Ora, per aiutare e salvare le minoranza serbo- bisniache, serbo-cossovare e albani cossovare dalla pulizia etnica ci troviamo di fronte a problemi che non volevamo nemmeno immaginare e che dobiao affrontare, problemi che ci travolgeranno se non la smettiamo di affrontarli con quella patina di finto paternalismo, buonismo e assistenzialismo, che ci può portare, come è stato dimostrato, solo in un vicolo cieco.

martedì 17 maggio 2011

Pio Sodalizio dei Piceni a Roma

Festa di Santa Maria di Loreto dè i Marchigiani
e celebrazione del beato Giovanni Paolo II


Mercoledì 18 maggio 2011
Chiesa Basilica di San Salvatore in Lauro
Programma:
Ore 17,45 . Saluto di Giorgio Bizzarri, Presidente del Pio Sodalizio dei Piceni
Ore 18.00. Solenne Messa presieduta dal Cardinale Angelo Comastri
Ore 19.00 Concerto del Maestro Andrea Buccarella.

La Chiesa di proprietà del Pio Sodalizio dei Piceni denominata per un antico retaggio dei luoghi San Salvatore in Lauro è in verità intitolata alla Madonna di Loreto, patrona della nostra Regione. Il 10 dicembre è ricordata la Traslazione della Santa Casa e tutti i Sodali festeggiano tale ricorrenza, tanto che è tale data oramai considerata Festa istituzionale del Pio Sodalizio dei Piceni. Nel mese di maggio, mese della tradizione mariana, è sembrato opportuno al Consiglio di Amministrazione, a partire dal 2009, istituire una festa dedicata alla madonna di Loreto per riunire in spirito di fratellanza tutti i marchigiani a Roma, sodali e non sodali, nella nostra chiesa e per confermare la devozione alla nostra patrona.

venerdì 6 maggio 2011

IL PASSATO CHE NON PASSA

"Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un
popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo.

Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale.

La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto.
Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza,
offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.
Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare."

Elsa Morante

Qualunque cosa abbiate pensato, il testo, del 1945, si riferisce a Mussolini...

giovedì 21 aprile 2011

AUGURI SINCERI
DI UNA BUONA PASQUA

martedì 12 aprile 2011

Venerdì 8 aprile 2011 alle ore 18,00 nell'auditorium di palazzo Montani (piazza Antaldi, 2 - 61121 Pesaro), nell’ambito della serie “Incontri a palazzo Montani” proposta dalla Società pesarese di studi storici in collaborazione con il Comune di Pesaro (Assessorato alla Cultura) e con la Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, Angelo Turchini (univ. di Bologna) presenta il volume curato da Pamela Galeazzi


Magistrature e archivi giudiziari nelle Marche
(affinità elettive, Ancona 2009, pp. 286)

Promosso dall'Archivio di Stato di Ancona, il volume reca gli atti dell'omonimo convegno svoltosi a Jesi il 22 e 23 febbraio 2007. La serie di contributi è aperta da Irene Fosi (univ. di Chieti) che indaga Il governo della giustizia nello Stato pontificio in età moderna; seguono Luigi Londei (Archivio di Stato di Roma), con l’Organizzazione giudiziaria dello Stato ecclesiastico in antico regime, e Luigi Lacchè (univ. di Macerata), con Magistrati del papa. Ordinamento e status dei giudici nel tramonto dello Stato pontificio. Il volume offre poi degli studi a base territoriale, che indagano la situazione dei fondi archivistici (statali ed ecclesiastici) marchigiani, e fanno il punto sulla struttura e sul funzionamento delle magistrature pontificie periferiche (assessori legali, governatori, cancellieri, ecc.) da Ancona a Jesi, da Pesaro a Fano (che fino all’età napoleonica fu un “governo” separato dal resto dello Stato di Urbino).

Nel 150° dell’Unità d’Italia, i saggi proposti forniscono un’occasione per capire come funzionasse la macchina giudiziaria e giurisdizionale dello Stato in antico regime e prima dell’Unità nazionale.


Riccardo P. Uguccioni

Società pesarese di studi storici
lungofoglia Caboto, 8/5
61121 Pesaro PU

venerdì 1 aprile 2011

 La Dichiarazione di Guerra del 24 maggio 1915
Un commento
L’Italia, per completare il processo unitario iniziato nel 1848, inserita nel gioco delle Potenze europee, dichiara guerra all’Austria il 24 maggio 1915: l’euforia si diffuse per il Paese: sono le giornate del “maggio radioso”, ove tutti erano convinti che in pochi mesi la vittoria sarà conseguita. Ma la guerra si rilevò dura, difficile e lunga; dopo undici battaglie costate centinaia di migliaia di morti, arrivò la sconfitta di Caporetto, ove sembrava tutto perduto. Ributtata indietro fino al Piave, si riuscì a superare la crisi, con battaglie ove rifulse la volontà di non cedere di tutti, comandanti e soldati, a premessa di Vittorio Veneto, ottobre 1918, ove si conseguì quella agognata vittoria che permise al nostro paese di dimostrare che non era una semplice espressione geografica. Una vittoria pagata oltre 700 mila morti ed un milione di feriti. Vi era poco da essere trionfalistici e il grande sforzo profuso fu festeggiato con dignità e austerità come ben esprime la pagina del Corriere del 5 novembre 1918.

Così come non si colgono gli aspetti trionfalistici e imperialisti nella pagina del 11 giugno 1940, nonostante il clima di grande partecipazione ed adesione che a tutti i costi si voleva imporre. Bloccate le forniture di carbone da parte della Gran Bretagna, essenziali per sopravvivere, nel marzo 1940, l’Italia, anche per non essere strangolata, entrò in guerra. Fu anche abbagliata dalla folgorante impresa tedesca del maggio del 1940: sconfitta la Francia in quattro settimane con la Gran Bretagna alle corde, Mussolini cedette che ormai la guerra era vinta per la Germania. L’Italia voleva essere al tavolo della pace, dalla parte dei vincitori, per avere il suo bottino. Il 10 giugno 1940, pur conscio che l’Italia era militarmente ed economicamente impreparata, dichiara la guerra; questa fu annunciata a una folla delirante; fu una grande festa di consenso tra popolo e regime, ma che preluse a trentanove mesi di sconfitte e tragedie, finiti con la crisi armistiziale dell’8 settembre 1943, la pagina più buia della recente storia d’Italia.

La caduta del muro di Berlino, nel 1989, implosa e scomparsa la URSS segnò il trionfo degli Stati Uniti; divenendo potenza planetaria. Invece, si crogiolarono nel loro ruolo di vincitori, padroni assoluti dell’ordine mondiale. Non aggiornarono i loro sistemi di sicurezza, di controllo e di difesa, sicuri che nessuno poteva opporsi alla loro potenza. I loro nemici, infinitamente più deboli si ribellarono e dichiararono la guerra al potente planetario. È la non nuova storia di David e Golia, L’attacco alla Due Torri, preparato in oltre cinque anni, con una pianificazione che aveva i suoi punti di forza nelle debolezze della superpotenza, ebbe una efficacia grandissima. L’11 settembre 2001 fu una dichiarazione di guerra alla superpotenza, che fu colpita e che ancora oggi non riesce ad intravedere la vittoria definitiva, trascinando il mondo in una incertezza politica, strategica ed economica, senza prospettive certe.

PREMIO NAZIONALE DI POESIA e NARRATIVA

«POESIA ONESTA»

6ª edizione – 2011

patrocinio e contributo di  Consiglio regionale delle Marche , Provincia di Ancona , Comune di Ancona (Assessorato Cultura), Comune di Camerata Picena
patrocinio
Comune di Agugliano - Comune di Chiaravalle

In collaborazione con Associazione Musicale «Vincent Persichetti» - Falconara M.ma (AN)

«Ai poeti resta da fare la poesia onesta»
(Umberto Saba)

Il Premio si articola in 5 sezioni

Sez. A – Raccolta di 5 poesie in italiano.

Sez. B - Raccolta di 5 poesie nei dialetti italiani. I testi devono avere la traduzione in italiano.

Sez. C – Poesia singola in italiano degli Studenti marchigiani di Scuola primaria e Scuola secondaria di primo grado.

Sez. D – Poesia singola in uno dei dialetti marchigiani degli studenti di Sc. prim. e Sc. second. primo grado.

Sez. E – 1 racconto breve in italiano e/o nei vari dialetti italiani.

REGOLAMENTO
Sezioni A e B: le raccolte, con titolo, devono pervenire in due copie dattiloscritte, di cui solo una recante nome, cognome, indirizzo, telefono e/o cellulare, e-mail.
Gli autori della Sez. B devono dichiarare la località in cui il dialetto si parla.
Sezione E: i narratori invìino i loro racconti in due copie dattiloscritte, di cui solo una con nome, cognome, telefono e/o cellulare, e-mail.
Sezioni C e D: le poesie singole devono pervenire in duplice copia, di cui una soltanto recante generalità dello studente, indirizzo, recapito telefonico e mail. Gli studenti devono specificare il grado di scuola frequentato e il nome dell’Istituto scolastico.
* Provvederà la Segreteria a produrre le copie anonime per la Giurìa esaminatrice.

INVIO OPERE
Gli elaborati vanno spediti entro il 10 luglio 2011
per posta a: VERSANTE Associazione Culturale
POESIA ONESTA Via Molino, 15 - 60020 Agugliano (AN)
o per e.mail: associazioneversante@gmail.com

 I testi inviati via mail devono contenere nome e cognome, indirizzo, recapito telefonico. Sarà cura della Segreteria procurare copie anonime per la Giurìa.

* I poeti delle sezioni A e B devono far pervenire € 10,00 se partecipano ad una sezione, € 15,00 se partecipano ad entrambe. La quota va inviata unitamente alle opere o con versamento sul conto corrente postale 8358993 intestato a VERSANTE Associazione culturale – Premio POESIA ONESTA.

I narratori della Sez. E devono far pervenire € 10,00 per il racconto inviato.
La partecipazione degli studenti è gratuita.

* I dati personali saranno trattati nel rispetto del codice sulla privacy, ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs n. 196/2003.

PREMI
Sezioni A e B
I primi classificati della sezione A e della sezione B riceveranno € 300,00 cadauno.
I primi quattro classificati delle Sez. A e B avranno pubblicate le loro raccolte e riceveranno ognuno n. 10 copie del volume Poeti in italiano e in dialetto.
Verranno inseriti anche singoli testi che la Giurìa riterrà meritevoli di pubblicazione.
Una sezione speciale premierà la migliore silloge marchigiana, nel caso in cui non risultasse tra i vincitori alcun autore delle Marche.
Sezione E
I primi tre racconti classificati sia in lingua che nei vari dialetti italiani verranno pubblicati nell’antologia e gli autori riceveranno ognuno 7 volumi omaggio.
Sezioni C e D
I primi tre classificati per ogni grado di scuola, avranno pubblicate le loro poesie e riceveranno ognuno 3 copie del volume Poeti in italiano e in dialetto, che raccoglie anche le poesie segnalate dalla Giurìa.

* I testi inviati non saranno restituiti. I partecipanti cedono, a titolo gratuito, i diritti dei testi pubblicati nel volume.
Cerimonia di premiazione. È prevista in Ancona dal 01/10/2011 al 09/10/2011

GIURIA del PREMIO
Sanzio Balducci (Univ. “Carlo Bo” di Urbino) - Liliana Biondi (Università dell’Aquila)
Fabio Ciceroni (saggista e critico letterario) - Giuseppe Polimeni (Università Pavia)
Marzio Porro (Università Statale, Milano) - Marcello Verdenelli (Università Macerata)
* Per ulteriori informazioni rivolgersi al 335-8193657
FABIO M. SERPILLI
(Presidente Associazione culturale VERSANTE)

venerdì 18 marzo 2011

Progetto “Storia in Laboratorio”

Scuola Media “Maria Montessori” Castelferreti Falconara Marittima Ancona

Spesso le cose migliori riescono se non vi è una preparazione che le precede. Nel quadro di una manifestazione dedicata alla data anniversaria della morte del Duca Ferriti di Castelferreto, il prof. Luigi Tonelli, che aveva collaborato con noi, grazie alla iniziativa di Mario Brutti riguardante le testimonianze della guerra, al numero speciale dedicato alle Marche nel 1944, ha preso l’iniziativa, quasi sul tamburo, di organizzare un incontro con i ragazzi della Scuola Media “Montessori” sui temi della Guerra di Liberazione, su quello della Resistenza in Italia e in Europa e su quello dell’Internamento in Germania e dell’Olocausto.

I ragazzi, tutti delle terza classe, avevano già svolto un ampio lavoro sui temi accennati, in particolare su quello della Resistenza in occasione della data anniversaria del 25 Aprile. Dalle 9,45 alle 11, nell’arco di tempo che si ritiene utile per suscitare nei ragazzi la curiosità e l’interesse per i temi che andiamo proponendo, senza tediarli o affondandoli con le lezioni frontali che suscitano solo reazioni negative, si è parlato del fenomeno della Resistenza in Europa, partendo dal concetto che in Italia dal 1943 al 1945 si è combattuta una Guerra di Liberazione. Una Liberazione da CHI e da Che Cosa? Spiegato il fenomeno del fascismo e del nazismo, si sono tracciate le linee essenziali dei movimenti di liberazione in Grecia, in Albania, in Jugoslavia, in Francia, in Polonia, in Unione Sovietica, sottolineando il fatto che si combatteva in questi paesi, come poi in Italia,e per avere un avvenire migliore, senza violenze e guerre. Ovvero è nato in questo movimento europeo il seme dell’Europa Unita. In particolare, si è presentata la Guerra di Liberazione in Italia, come una guerra un cinque fronti: il Regno del Sud, con ampi cenni a Montelungo, al C.I.L. ed ai gruppi di Combattimenti, al nord, con il movimento partigiano, all’Internamento in Germania, alla resistenza dei Militari Italiani all’estero ed alla prigionia di Guerra. Un ulteriore tempo è stato dedicato al fenomeno concentrazionario tedesco, alla ideologia nazista come ideologia di sterminio e si è accennato all’origine culturale della teoria della razza, che ha portato alla aberrazione dei campi di sterminio. Un interessante scambio di battute e idee con i ragazzi ha concluso l’incontro.



Sono giunti in redazione i temi svolti dai ragazzi, preceduti da questa cordiale ed apprezzata lettera



Gent.mo Signor Massimo,

La ringraziamo sentitamente per la bella lezione di storia, ma anche di vita, che ha tenuto nella nostra scuola.

Con semplicità, ma anche divertendoci, è riuscito a farci capire meglio quanto importante sia stato il Movimento della Resistenza, non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa e come, proprio la lotta armata antinazifascista, che ha visto impegnati non solo dei soldati, ma anche e soprattutto dei civili non politicizzati, ma solo desiderosi di libertà e democrazia, sia il vero fondamento dell’Unione Europea.

Della sua lezione ricorderemo anche l’attenzione che ha posto sul ruolo dei soldati italiani, alcuni, soprattutto prima del ’43, torturatori, massacratori per obbedienza al potere politico –militare, altri, invece, fieri oppositori al regime, decisivi per la riuscita della lotta partigiana cui diedero l’apporto importante della loro esperienza bellica..

Dopo aver ascoltato testimonianze di diversi partigiani e letto quelle dei nostri concittadini raccolte dal prof. Tonelli, la sua lezione ha contribuito a rinsaldare in noi la certezza che la libertà, la democrazia di cui godiamo è il frutto di tanti sacrifici, di tanti lutti, ma anche di tanti gesti eroici.

Per questi motivi la dobbiamo apprezzare di più e, nel nostro processo di maturazione anche socio-politica, cercare di preservarla in ogni modo.

Ringraziandola ancora per la sua disponibilità Le inviamo, come da accordi, alcuni degli elaborati con cui abbiamo partecipato al concorso “25 Aprile” indetto dall’Amministrazione del Comune di Falconara.



Falconara 31 maggio 2006 Distinti saluti



Gli alunni e gli insegnanti della scuola media “Maria Montessori”

Castelferretti (Falconara M.ma)



I Ragazzi scrivono:



Silvia Vignoni

La resistenza è stata un movimento Europeo, che ha interessato le zone sotto l’occupazione tedesca, quindi anche Castelferretti. Il popolo castelferrettese durante l’occupazione tedesca ha vissuto un periodo di continua tensione. Il nostro paese era a rischio di bombardamenti perché presenti nella zona l’aeroporto, la stazione, il porto d’Ancona e la foce dell’Esino. Oltre a questo continuo stato i tensione il popolo pativa anche la fame, pur essendo un popolo agricolo, ed era spesso vittima di razzie tedesche. Il nostro professore Luigi Tonelli che in un suo libro ha raccolto le testimonianze dell’epoca, ci ha raccontato che c’erano rapporti di terrore e di tensione tra i soldati ed il popolo e che c’era anche la paura verso i fascisti.

Nelle case c’erano speso delle violenze tra i familiari,causate da un diverso pensiero politico. Sulla base di questo il prof Tonelli ci ha narrato un fatto:

dei ragazzi avevano trascorso insieme il pomeriggio, ma poi alcuni di loro, la sera si trovavano per le strade dopo il coprifuoco e vennero picchiati dal resto del gruppo, anche se erano amici, poiché appartenevano a due schieramenti politici diversi.

E proprio durante questo brutto periodo che è emersa la solidarietà e la collaborazione tra il popolo. Il popolo era unito, unito contro Hitler, si dividevano quel poco che avevano: generi alimentari, vestiario … oppure si aiutavano gli uni con gli altri per nascondere le scorte di cibo sopra gli alberi oppure sotto la fascine.

Erano costretti a nascondere le scorte di cibo perché i tedeschi gliele avrebbero portate via. Avevano bisogno di quel cibo perché quello razionato era poco poteva essere preso solo con le tessere Annonarie, che prevedevano la distribuzione dei generi alimentari in base all’età e al numero di componenti di una famiglia.

A girare in paese erano prevalentemente le donne, gli anziani e i bambini piccoli perché i ragazzi e gli uomini erano costretti a stare nascosti per non essere arruolati nell’esercito e perché avevano scelto di entrare nei gruppi partigiani, che sorsero spontaneamente dal popolo per sconfiggere i tedeschi, liberare i prigionieri, e quindi riportare la pace. Dalle testimonianze del Ragionier Gianfranco Pistola, Elio Raffaelli e Livia Pergoli ho percepito l’importanza dei partigiani e la pericolosità delle loro lotte. Correvano sempre il rischio di essere scoperti e quindi torturati e uccisi dai tedeschi. Se un componente di u gruppo partigiano veniva catturato il gruppo si scioglieva e spostava la sua sede perché avevano paura che il prigioniero sotto tortura parlasse. Questo non accadeva quasi mai infatti molto uomini morirono a causa delle torture tedesche, ma senza dire una parola. I gruppi partigiani erano come delle associazioni segrete, infatti per comunicare tra di loro senza essere scoperti usavano dei segnali particolari o delle parole in codice. Le donne ricoprivano un ruolo importante perché, non essendo sospettate dai tedeschi, potevano passare liberamente i posti di blocco e portare materiale bellico o messaggi ai partigiani. Durante la guerra hanno ricoperto un ruolo importante anche i contadini, che facevano rifugiare i partigiani nelle loro case, li coprivano e li sfamavano. I contadini mettendosi di guardia sulla porta della loro casa permettevano ai partigiani anche di ricevere aggiornamenti sulla guerra tramite Radio Londra che era appunto vietato ascoltare.

Spesso i partigiani erano giovani e non capivano la politica ma sentivano che a loro mancava la libertà e per questo avevano scelto di arruolarsi nella resistenza. Il valore della libertà è stato sottolineato più volte dai partigiani che ci hanno lasciato le loro testimonianze e ci hanno raccomandato come adulti del futuro di mantenerla, per far si che i loro sforzi non siano stati vani, perché, come scrive Piero Calamandrei, “la pace è come l’aria, ci si accorge di quanto vale solo quando comincia a mancare”.

Io penso che Calamandrei abbia ragione, i partigiani sanno cosa vuol dire vivere in un paese occupato da gente ostile, hanno provato questa brutta esperienza, e per questo ci raccomandano di non perdere mai più questo importante valore.



Damiano Pietrella

Era il 10 Giugno del 1940, quando dalla radio posta sul davanzale di una finestra, i cittadini di Castelferretti hanno appreso la notizia che l’Italia aveva dichiarato guerra alla Francia e all’Inghilterra.

I giovani, che erano continuamente influenzati dalla propaganda del partito fascista, alla notizia erano felici ed allegri,mentre le donne e gli anziani che avevano già partecipato ad un’altra guerra, non lo erano affatto, poiché sapevano che cosa sarebbe successo. E non si sbagliavano, ben presto si è diffusa la fame, il partito razionava la vendita dei beni di qualsiasi genere e per poter comprare bisognava sempre avere con se la tessere annonaria, nella quale ad ogni acquisto venivano messi dei bollini.

Ma con la fame era cresciuto anche un grande spirito di solidarietà e via via si faceva più forte il legame tra l’intera popolazione.

Legame che si intensificò ancor più, quando a Castelferretti arrivarono i tedeschi, non più alleati ma nemici dell’Italia che ora collaborava con le potenze angloamericane.

I tedeschi rubavano tutto dalle case e per questo la gente nascondeva quello che poteva, dove poteva. Come ci ha spiegato il professor Tonelli, che ha raccolto in un libro le testimonianze dei castelferrettesi , spesso accadeva che i prosciutti e i salami vanivano nascosti tra i rami degli alberi o sotto le fascine. In quel periodo di occupazione tedesca è nata la Resistenza, un movimento formato da antifascisti che volevano liberarsi dall’oppressione nemica e di un regime che aveva portato l’Italia in una guerra disastrosa.

Gli ex partigiani: Luigi Pergoli, Gianfranco Pistola ed Elio Raffaelli ci hanno raccontato le loro esperienze di giovani partigiani e di come ad animarli, a far loro rischiare la vita fosse un ideale: la libertà.

Compivano atti contro i tedeschi e i fascisti, con imboscate, sabotaggi ecc…

Nei loro racconti hanno sottolineato quanto importante sia stato il ruolo della popolazione che aiutava i partigiani come poteva. Alcuni davano loro del cibo o dei vestiti quando non ne avevano a sufficienza neanche per loro, oppure li ospitavano nelle loro case, pur sapendo che se fossero stati scoperti dai fascisti o dai tedeschi sarebbero stati uccisi o imprigionati.

Migliaia e migliaia di partigiani, soldati del disciolto esercito italiano giovani e meno giovani, donne, gente comune, semplici lavoratori hanno combattuto per la libertà dell’Italia e grazie a loro oggi noi possiamo vivere nella democrazia che è la massima forma di libertà.



Robin Anydiegwu

La resistenza non ci fu solo ed esclusivamente in Italia, ma anche in diversi stati i cui popoli, oppressi dall’occupazione tedesca, si opposero valorosamente salvando non solo il territorio ma anche la libertà e la democrazia.

In Jugoslavia ad esempio, con il maresciallo Tito, ci fu una tale resistenza contro gli italiani che li costrinse a richiedere l’aiuto tedesco.

Anche in Italia ci fu un’importante resistenza partigiana che si oppose valorosamente all’occupazione dei tedeschi, i quali prima dell’8 settembre 1943, anno in cui l’Italia firmò un armistizio con gli alleati, erano nostri alleati.

La Germania prevedendo questa resa aveva già disposto i suoi soldati sul territorio italiano.

Pietro Badoglio e Vittorio Emanuele II scapparono a Brindisi con la speranza di essere protetti dagli Anglo-Americani i quali sbarcati in Sicilia avevano cominciato a risalire l’Italia per liberarla dai tedeschi. I tedeschi con la speranza di bloccare l’avanzata degli Anglo-Americani, posero vicino a Montecassino una linea difensiva la quale nel ’44 fu sfondata immediatamente dall’avanzata degli Alleati. Gli alleati dopo aver liberato Roma(4 giugno) ,Firenze(4 Agosto) e tutta la Toscana, si fermarono sulla linea Gotica, in attesa che l0’inverno finisse.

Nel frattempo in Italia si erano formati gruppi di partigiani che si trovavano in prevalenza nell’Italia Settentrionale.

I partigiani organizzavano azioni di guerriglia e di sabotaggi spesso favoriti dall’appoggio della popolazione. La popolazione durante la resistenza italiana, si rese anch’essa protagonista, aiutando i partigiani dando loro generi alimentari, armi ecc….Le staffette erano molto importanti durante la resistenza, perchè portavano messaggi, armi e tutto ciò che poteva essere utile.

Ma cominciarono, da parte dei fascisti e tedeschi rastrellamenti durante i quali le zone ritenute covo dei partigiani, erano perlustrate metro per metro con grande spiegamento di forze. I partigiani catturati venivano torturati e impiccati; i villaggi che li ospitavano venivano, per rappresaglia, dati alle fiamme insieme ai vecchi, donne, e ai bambini. Feroci rappresaglie come queste avvennero a Sant’Andrea di Stazzema in Toscana. A Boves in provincia di Cuneo e a Marzabotto in provincia di Bologna. Rastrellamenti ed eccidi avvennero anche in altre parti d’Italia come ad esempio nelle Fosse Ardeatine, dove furono uccise 335 persone. Poiché la lotta si faceva sempre più dura, i partigiani organizzarono meglio i gruppi dispersi di combattenti, trasformandoli in un vero e proprio esercito della resistenza. Il Corpo dei Volontari per la Libertà(CVL).

Al movimento partigiano si unirono molti soldati provenienti dalla Russia, Jugoslavia, Francia, Inghilterra, Polonia ed addirittura dall’Austria. Tra le forze della Resistenza militavano gruppi partigiani diversi per formazione e obiettivi politici. Questi gruppi di partigiani formarono per molto tempo il CLN cioè in Comitato di Liberazione Nazionale. Tutti questi uomini,donne, ragazzi combattevano per la libertà perchè, come dice Piero Calamandrei la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale solo quando comincia a mancare. La lotta partigiana unita all’intervento degli alleati ha portato alla liberazione dell’Italia nella primavera del 1945, quando gli alleati sfondarono la line Gotica e dilagarono nella pianura Padana: fu questo il momento scelto per l’insurrezione generale, popolare e partigiana, che divampò nelle città del nord pochi giorni prima che gli alleati vi entrassero.

Il 25 aprile i partigiani liberarono Milano, Torino e Genova. Quattro giorni dopo, i tedeschi trattarono la resa in Italia. Il 27 aprile 1945 Mussolini, catturato mentre cercava di fuggire i Svizzera, venne fucilato dai partigiani su ordine del Comitato di Liberazione Alta Italia. Anche Castelferretti e i dintorni furono oppressi dall’invasione tedesca, ma nonostante ciò le città resistettero eroicamente grazie anche all’aiuto dei polacchi. Il 17 Gennaio 1944 ci fu un grande bombardamento a Chiaravalle durante la festa del patrono. Vicino all’ospedale c’era un accampamento tedesco, e fu per questo motivo che Chiaravalle fu bombardata. Quando l’esercito polacco arrivò a Castelferretti, si fermò a Montedomini nell’attesa che i tedeschi se ne andassero.

I tedeschi finsero la ritirata, e si nascosero nelle case civili; quando i polacchi nono videro più nemmeno un tedesco, scesero il Cassero e giunsero nel cuore nel cuore della città; ma non appena giunsero nel paese, i tedeschi tesero loro un agguato che costò la vita a molti polacchi. Alla fine della guerra, molta era la gente che esultava, che ballava e mangiava, moti andavano in chiesa per ringraziare il Signore. Tanti piangevano, ma non tutti di felicità; alcuni erano trafitti dal dolore a causa dei familiari dispersi o morti durante la guerra. Io fortunatamente come tanti altri ragazzi, non sono nato durante la guerra, bensì molto più tardi. Se adesso noi viviamo una vita libera, il merito lo dobbiamo ai partigiani, che, hanno sacrificato le loro vite per la liberazione del territorio italiano. Io non sono del tutto italiano, perchè pur essendo nato in Italia ho origini nigeriane, ma dopo aver sentito il modo con cui i partigiani hanno difeso il territorio, mi sono sentito più stretto all’Italia.





Lorenzo Giorgini

Dopo l’8 Settembre del 1943 cioè dopo l’armistizio, anche intorno a Castelferretti si sono formati i primi movimenti di resistenza partigiana. I partigiani erano uomini e donne molto valorosi. Quando prima di essere uccisi scrivevano delle lettere, contenenti il loro testamento, alla fine era sempre presente la frase “Viva la Libertà”. Quello che colpisce di più e che la lotta partigiana non è stata una lotta voluta da un governo o da un re, ma è stata una lotta voluta dal popolo perché nessuno a chiesto al popolo di imbracciare le armi e assaltare i tedeschi. La lotta partigiana ha sicuramente contribuito alla liberazione dell’Italia. Di queste rivolte abbiamo ancora oggi le testimonianze dei sopravvissuti, come il ragioniere Gianfranco pistola che combatte nell’esercito di liberazione, e il signor Elio Raffaelli, che allora era giovanissimo,ma pronto a rischiare la sua vita per cercare armi. Anche le donne, come la signora Livia Pergoli, erano molto attive nella resistenza.

Alcune di esse come la signora aiutavano i partigiani andando a prelevare delle bombe o dei fucili dai contadini. La signora Pergoli ha raccontato che lei nascondeva le armi nel calesse e le ricopriva di paglia, oppure aiutava facendo staffette. Infatti le donne, come i ragazzi, riuscivano a passare più facilmente i posti di blocco dei tedeschi. Il ragioniere Pistola, che combatteva anche nell’esercito italiano di liberazione, ha iniziato la sua esperienza di partigiano a Jesi, a fine settembre. Il suo gruppo era di sei persone e per il ruolo che ricopriva lui era sempre in pericolo di morte. I suoi comandanti organizzarono anche un attacco a un treno per liberare altri partigiani ma due di loro sono stati uccisi. Comunque il suo gruppo è riuscito a prendere dei generi alimentari e materiale bellico. Però dopo l’attacco i comandanti li rimandarono a casa. Il signor Pistola è stato anche bastonato e arrestato. Il suo gruppo venne assegnato ad un’armata britannica e fu destinato al fronte di Ravenna e combatterono sino alla liberazione di Venezia. Bisogna anche ricordare l’umanità dei partigiani che quando catturavano un fascista, non lo uccidevano ma di convincerlo a passare dalla loro parte. Tra la popolazione soprattutto i contadini aiutavano i partigiani, nascondendoli dando loro del cibo oppure del materiale bellico. La popolazione civile in quell’epoca ascoltava radio Londra che però era illegale e i tedeschi con degli speciali apparecchi riuscivano ad individuare le frequenze di queste radio, e facevano irruzione nelle case. Di notte la popolazione restava chiusa in casa e chi usciva rischiava di ricevere bastonate perché c’era il coprifuoco per tutti. I tedeschi, quando erano ubriachi di notte assaltavano le case derubando i liquori e portandosi via anche delle donne. Ad aggravare la situazione a Castelferretti e in tutta l’Italia la popolazione soffriva la fame e per fare la spesa ci voleva la tessera annonaria che era una tessera dove erano scritti tutti i dati di una persona: lavoro, figli ecc.. e dove veniva registrato il quantitativo di cibo che si poteva acquistare. Durante le ricognizioni degli aerei “cicogna” la popolazione nascondeva le mucche nelle stalle e colorava di verde le oche affinché i tedeschi non le riconoscessero. Da sottolineare la morte di molte persone per salvare la vita dei partigiani ma anche per la libertà. La lotta partigiana ha liberato l’Italia dal dominio fascista e tutti dobbiamo essere grati sia ai partigiani sia al sacrificio di gran parte della popolazione.



Kevin Appoggietti

Tutto in quegli anni era terribile: partigiani da una parte che volevano la liberazione dell’Italia, i fascisti dall’altra che credevano in un regime dittatoriale e dall’altra ancora i Tedeschi che occupavano il nostro stato.

A Castelferretti si cominciò a parlare della guerra dall’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio e del ritiro a Brindisi del generale Badoglio e il re.

Come ha detto il ragionier Pistola, Presidente dell’ANPI, si combatteva da tutte le età, dai 14 ai 60 anni.

La seconda guerra mondiale aveva cambiato il modo di combattere infatti le armi erano più potenti e perfezionate. Non morivano solo i soldati al fronte, ma anche i civili, vittime di bombardamenti e di rappresaglie perché, come a Castelferretti, aiutavano come potevano i partigiani.

Fascisti, nazisti,alleati e partigiani sparavano uccidendo persone innocenti, che non c’entravano niente e che volevano vivere in pace.

Nella città la cosa più sofferta era la fame, perché la quantità di cibo, decisa da carte annonarie, non era sufficiente anche se veniva stabilito in base ai componenti della famiglia e del lavoro che essi facevano.

Dalle testimonianze della signora Pergoli e del signor Raffaelli abbiamo appreso che in quel tempo molte donne e ragazzi, chiamate staffette, andavano da una parte all’altra della città portando bombe e altro materiale esplosivo per attentati e sabotaggi.

Il popolo ci ha fatto capire con il suo alto numero di morti che è stato partecipe e unito per la liberazione della nazione.

A Castelferretti la solidarietà era spontanea e importante.

Al Museo della Resistenza, la guida ha detto che i Tedeschi contavano molto sulla paura, in effetti minacciavano di morte quelli che aiutavano gli antifascisti e promettevano ricompense a chi faceva catturare partigiani e alleati, ma non penso fossero in tanti a tradire.

Sempre il ragionier Pistola ha parlato di quello che i fascisti facevano se un partigiano veniva catturato, lo bastonavano e lo picchiavano, al contrario i partigiani cercavano di fare il lavaggio del cervello ai fascisti catturati ed erano molto contenti se qualcuno passava dalla loro parte.

Castelferretti era in posizione strategica insieme ad Ancona e Falconara perciò era un luogo bombardato. Come Montedomini che offriva un buon punto di avvistamento dei nemici che attaccavano, ma era anche un rifugio per gli abitanti di Castelferretti che si riunivano nelle grotte. Vicino c’erano ponti, importanti vie di transito, ma soprattutto un deposito di carburante che costituiva un importante centro di riferimento.

Anche Ancona subì molti attacchi per il porto e per gli scambi che questo offriva.

A Castelferretti tutti i partigiani ascoltavano Radio Londra, una stazione radio illegale.

La nostra città viene liberata il 17-18 luglio 1944 dai polacchi.

La Resistenza è stato un fenomeno europeo infatti anche in altri paesi il popolo aveva combattuto contro l’esercito tedesco occupante.

Contro i Nazisti molti stati avevano iniziato una lotta partigiana come la ex-Iugoslavia.

La drammaticità della guerra è tuttora nei pensieri dei più anziani che ricordano questo come un bruttissimo momento per l’Italia.

I morti, che erano in maggioranza padri, si sono sacrificati per i lori figli.

Pietro Calamandrei scrive nel brano “la libertà è come l’aria” che la libertà è così importante che è come l’aria, ce se ne accorge quando ci viene a mancare e conferma che noi dobbiamo renderci conto di ciò che facciamo in ogni momento. Secondo me questo è stato uno dei periodi più cupi della storia italiana e mi auguro che nessuno possa perdere un figlio, un marito, un padre per una guerra.

La violenza infatti non è mai giusta e l’uomo da quando è apparso sulla Terra l’ha usata sempre per risolvere i suoi problemi, ha cambiato solamente le armi che sono diventate più potenti.

Purtroppo i figli non hanno ancora compreso gli errori dei padri e continuano a commetterli.



Mattia Lazzarini

L’otto Settembre del 1943 fra il generale Badoglio e le potenze alleate è stato firmato l’armistizio.

L’esercito italiano si è trovato così ad avere come nemico, proprio quell’esercito tedesco con cui fino ad allora aveva combattuto fianco a fianco. Ma l’altro tedesco aveva già occupato l’Italia perché Hitler avendo già capito le intenzioni di Badoglio aveva fatto scendere delle truppe per occupare il nostro paese. Contemporaneamente gli alleati, ormai dal 9 Luglio del 1943, stavano risalendo l’Italia dopo essere sbarcati in Sicilia. Vittorio Emanuele III e Badoglio, per sfuggire all’esercito nazifascista, si sono rifugiati a Brindisi, che era già stata liberata dagli alleati, lasciando senza direttive sicure l’esercito italiano che si è trovato dalla mattina alla sera tra le fauci del nemico senza essere informato di tutto quello che stava succedendo. Dall’8 Settembre 1943 anche in Italia si sono formati i primi nuclei partigiani composti da giovani che hanno impugnato le armi solo perché volevano andare alla ricerca di nuove avventure, altri invece hanno fatto proprio la scelta politica di opporsi alla dittatura; c’erano anche dei militari che erano riusciti a sottrarsi all’arruolamento nell’esercito nazifascista e poi c’erano tutti coloro che facevano parte dei partiti o associazioni nazifasciste. Il “corpo dei volontari della libertà” era composto da uomini di tutte le età, si poteva trovare il quattordicenne che spesso era incaricato di informare i superiori dei movimenti che i nazifascismi stavano attuando, ma si potevano trovare anche cinquantenni. Tutti erano uniti da un ideale comune: la libertà. Piero Calamandrei con il suo brano sulla libertà, ci ha fatto capire come questa sia semplice, ma indispensabile proprio come l’aria, ma nessuno si renderà mai conto di quanto sia importante se non gli verrà mai tolta. Molti dei nostri partigiani sono stati uccisi, fatti prigionieri e deportati nei campi di concentramento in Germania. Le forze partigiane in Italia erano 365 mila di cui 35 mila donne. Le donne, come ci ha sottolineato la signora Pergoli, hanno giocato, insieme alla popolazione civile, un ruolo importantissimo. Con il loro bell’aspetto riuscivano spesso a oltrepassare i blocchi di posto fascisti e portare messaggi fra i vari nuclei partigiani. I messaggi erano spesso orali ed erano spesso in codice in modo tale che se venivano fermate e torturate non davano informazioni utili al nemico. È obbligo fare un elogio alla popolazione di quel tempo perché senza di loro la lotta partigiana non sarebbe andata avanti. Anche se c’era chi cadeva nei ricatti nazifascismi che davano la possibilità a chiunque denunciasse un imboscato o un piano dei partigiani, di liberare un prigioniero nei campi di concentramento in Germania o di prendere una ricompensa di 1800 lire. Un ruolo importante lo hanno giocato i contadini che sono stati i civili più attivi. Il nostro professor Tonelli per scrivere il suo libro “Quei giorni delle oche verdi”,ha raccolto le testimonianze di alcuni castelfrettesi che hanno vissuto quei tragici anni della storia italiana e ci ha documentato alcuni fatti della guerra vissuti a Castelferretti. Mi ha molto colpito la tessera annonaria e gli allarmi dei bombardamenti. La tessera annonaria, dal mio punto di vista, è una delle cose più contrarie alla libertà. La gente senza quella tessera non poteva comprare gli alimenti e con quella poteva acquistare solo il minimo e indispensabile pero il mantenimento della propria famiglia.

Il professore ci ha detto che Castelferretti non ha mai subito un vero e proprio bombardamento, ma quando scattava l’allarme, molta gente andava a nascondersi nelle grotte di Donninelli che si trovavano nei pressi di Montedomini e penetravano circa 100 metri in profondità, altri invece si costruivano un loro tunnel “privato”; sia le grotte di Donninelli che i tunnel più piccoli avevano più di un’uscita perché se veniva ostruita ce n’erano sempre delle altre dalle quali tentare la fuga. I tempi della guerra erano molto difficili per la popolazione civile che ha subito molte rappresaglie e rastrellamenti e alla fine della guerra, fatti i bilanci dei morti e dei dispersi, i civili si sono dimostrati quelli più colpiti. Un soldato tedesco era visto in vari modi dalla popolazione civile. Alcune volte aveva un comportamento umano e si impietosiva nel vedere tutti quei morti e concedeva la grazia a quei pochi sopravvissuti, altre volte invece, specialmente quando era ubriaco, andava alla ricerca di donne e i suoi atteggiamenti agli occhi del popolo erano tutt’altro che tranquillizzanti. Anche Falconara ha avuto i suoi “eroi”. Il dottor Pergoli, padre della signora Pergoli che abbiamo incontrato, è stato il più importante partigiano di Falconara e agli occhi dei fascisti era il nemico numero uno infatti ha subito anche un attentato nel quale è stato ferito. Errico Baldelli era l’unico uomo di Falconara che possedeva una radio galena con la quale si teneva in contatto con gli alleati due volte al giorno. Castelferretti, come tutti gli altri paesi aveva un presidio tedesco a nord e uno a sud. Il nostro paese nei suoi dintorni erano una zona molto a rischio perché già allora c’erano: l’aeroporto, la stazione che era un importante nodo ferroviario per Roma e Milano, poi in Ancona c’è il porto che ha subito numerosi bombardamenti. Nonostante tutti gli accorgimenti presi dalle truppe nazifasciste, l’ingresso delle truppe alleate, più precisamente polacche, è stato abbastanza rapido e non ha incontrato eccessivi ostacoli. Così nella notte tra il 17 e il 18 Luglio del 1944 Castelferretti è stato liberato. La guerra però ha continuato a causare delle morti perché le armi e le munizioni inesplose sono state sabotate dalla popolazione civile per ricavarci la polvere da sparo. Giorgio Sabini è stato nel 1957 l’ultimo uomo di Castelferretti a morire a causa della guerra, per questo gli è stata dedicata la squadra di pallavolo di Castelferretti. Secondo me questa guerra è stata la più atroce di tutti i tempi. Ma alla fine la sofferenza di quegli anni è stata ripagata, oggi noi possiamo godere di un certo benessere e di una Costituzione molto di questo lo dobbiamo alla lotta partigiana. Evidentemente però quella sciagura non è servita da lezione per le future generazioni, perché ancora oggi si continuano a fare delle guerre.



Federico Fabietti

“W la libertà d’Italia”: questa frase concludeva sempre le lettere dei combattenti in carcere, i quali, prima della loro morte, inviavano una lettera ai loro familiari. Queste parole ci riconducono alla Resistenza, il movimento di opposizione ai nazifascisti nato allo scopo appunto di ridare all’Italia la libertà. La Resistenza è un movimento iniziato dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, firmato con il generale Eisenhower, comandante delle truppe anglo-americane. Fu un’adesione spontanea per molti soldati che non sapevano cosa fare, ma volevano contribuire alla libertà e per tantissimi giovani e meno giovani che, rendendosi conto del momento critico, volevano aiutare quelli che secondo loro combattevano dalla “parte giusta”.

I partigiani erano divisi in due gruppi: i gappisti, cioè quelli di città, e le brigate, cioè quelli di montagna. Il maggiore contributo alla lotta arrivava però dal popolo che si divideva le varie mansioni: chi si univa ai partigiani, chi portava messaggi, in particolare le donne ed i ragazzi, chi sfamava i partigiani, soprattutto i contadini, chi procurava le armi con sabotaggi. Tutti nel loro piccolo erano utili. La figlia del dottor Pergoli ci ha raccontato: “Ero una ragazza di circa vent’anni e quando andavo all’Università sul treno distribuivo volantini, rischiando di essere scoperta e di far arrestare me e tutta la mia famiglia”. Capiamo che le donne erano degli importanti “mezzi di comunicazione” perché riuscivano facilmente a superare i blocchi ed a recapitare messaggi tra più gruppi di lotta. Un contributo importante alla riuscita della liberazione è stato infatti dato dal buon rapporto tra i partigiani ed il popolo che li aiutava in ogni modo. All’inizio cambiavano i vestiti ai soldati dell’esercito che con la divisa addosso erano a rischio di morte; poi mettevano a disposizione le loro case per nasconderli. Inoltre davano loro cibo e permettevano di riunirsi nelle loro case per ascoltare Radio Londra, la radio che dava notizie sulla guerra ed incitava alla resistenza. Non altrettanto buono era il rapporto tra i soldati tedeschi ed il popolo. Essi erano crudeli e, soprattutto quando erano ubriachi, facevano razzie di vino e cercavano di portare via le donne.

Tuttavia in alcuni di loro c’era un po’di umanità come testimonia una donna che dice: “Una sera un soldato era entrato nella mia casa, c’ero io con due mie sorelle. Il soldato ha detto, toccando la testa alla più piccola, che in Germania anche lui aveva una figlia”. Da questa testimonianza capiamo che anche i soldati tedeschi avevano un cuore e soffrivano per la lontananza dai loro familiari. Possiamo dire però che non era buonissimo neanche il rapporto tra popolo e soldati alleati, questo perché quando erano ubriachi anche loro erano pericolosi al pari dei tedeschi.

I nascondigli preferiti dai Castelferrettesi durante i bombardamenti erano le grotte, ma, soprattutto dei tunnel “costruiti” con due vie di fuga. Gli alleati si facevano precedere da bombardamenti e molte persone si rifugiavano nei tunnel o in case matte, che erano fortificazioni basse con mitragliatrici, o sotto dei pagliai. I contadini non nascondevano solo loro stessi, ma anche gli animali. Ad esempio il titolo del libro “Le oche verdi” del professor Luigi Tonelli prende spunto dal colore con il quale i contadini dipingevano le oche per non farle avvistare dagli aerei. In questo periodo la vita era un continuo logorio sia fisico che psichico, perché le persone pensavano alla liberazione ed erano preoccupate per la vita dei loro familiari.

La liberazione di Castelferretti arrivò da Montedomini come ci ha raccontato il professor Tonelli. All’alba del 18 luglio 1944 i carri armati polacchi cominciarono a scendere da Montedomini e contemporaneamente dal ponte di Chiaravalle per chiudere ogni via di fuga ai nazifascisti. Castelferretti era stretta d’assedio tra “Gastone” e la “Madonnina”. Dopo la liberazione la felicità si leggeva soprattutto nei visi indifesi dei bambini che sopra le camionette alleate mangiavano la cioccolata.

I partigiani insieme agli Alleati avevano ridato la libertà, ma loro se la sarebbero goduta per poco. Se adesso ci chiedono cosa ci è rimasto della Resistenza noi dobbiamo dire la pace, la libertà, perché se noi adesso ci troviamo in questa situazione è solo grazie a chi è venuto prima di noi che ha lottato per ottenere queste condizioni. Per noi questa deve essere una vita di “mantenimento”, cioè dobbiamo mantenere la libertà, un bene che possediamo, ma senza rendercene conto. Come riportato dallo storico Galante Garrone “la solidarietà morale è stata la cosa più positiva nella guerra contro gli altri popoli”. Grazie ai partigiani si sono “rifatti” uno Stato e delle leggi ed entrambe le cose sono venute dal popolo.



Giulia Mattei

La seconda guerra mondiale: siamo stati veramente fortunati a non averla vissuta sulla nostra pelle. Dopo aver ascoltato le testimonianze di ex-partigiani che al tempo della guerra erano poco più che bambini, ci siamo veramente resi conto degli orrori, delle sofferenze subite durante l’occupazione nazifascista dal popolo italiano.

C’era la fame, perché il cibo che veniva preso con la tessera annonaria era razionato.

Si teneva presente se c’erano dei bambini, degli anziani e del numero dei membri che componevano una famiglia, ma ciò che veniva dato era comunque poco. Su questa tessera veniva messa una crocetta nell’apposita casella ogni volta che una famiglia si riforniva quotidianamente, settimanalmente o mensilmente. Per il sale, ci si recava alle Saline.

Presa dell’acqua salmastra la si faceva bollire e il sale ricavato veniva utilizzato per salare e per la conservazione della carni, invece si utilizzava il sale comprato per la cottura della pasta.

Chi viveva in campagna aveva dei vantaggi come quello di poter fare il pane in casa, avere gli animali, i salumi e anche il vino. Questi alimenti, per far in modo che non fossero trovati venivano nascosti sugli alberi e il bestiame non veniva messo al pascolo. Le oche venivano dipinte con una vernice verde per non essere individuate dall’alto dagli aerei nemici.

Queste cose le ha fatte anche mia nonna che all’epoca era una bambina. Più di una volta la madre aveva ospitato dei soldati.

Il padre aveva scavato un tunnel sotto terra dietro la loro casa e in caso di pericolo, si nascondevano li.

Vicino alla loro abitazione ad Agugliano, c’era una struttura usata come ospedale e quando arrivavano soldati che perdevano molto sangue da profonde ferite, facevano andare via mia nonna, visto che non erano scene adatte ad una bimba di sei anni.

Mentre mi raccontava tutto questo, nonna stava con la testa china e quando finiva di parlare, mi accorgevo che aveva gli occhi lucidi.

Come racconta il prof Tonelli nel suo libro, anche a Castelferretti c’erano i Tedeschi. Ogni tanto qualcuno di loro si ubriacava, diventando anche più pericoloso quando entravano nelle case a chiedere due cose: donne e vino.

Per informarsi sulle condizioni degli alleati, ascoltavano di nascosto Radio Londra chiusi in casa per non essere scoperti.

Quando l’8 settembre del ’43 la radio annunciò l’armistizio, la gente era felicissima e la chiesa era gremita di fedeli che volevano ringraziare il Signore. Gli anziani, che avevano vissuto la Prima Guerra Mondiale, erano però più seri di prima: sapevano che la guerra non sarebbe finita lì. Infatti di lì in poi, sarebbe stata più dura di prima.

La vera fine della guerra per Castelferretti arrivò tra il 17 e il 18 di luglio, quando gli alleati la liberarono. Una grande folla riempì la piazza e issò la bandiera dell’Italia.

Tutto questo insegna a noi giovani, che presto governeremo il mondo, a non far ripetere episodi simili ed è per questo che devono essere ricordati. La libertà è diritto di ogni uomo e nessuno ne deve essere privato.



Giulia Pulichino

La resistenza è stato un fenomeno europeo. In Italia le bande partigiane si sono formate dopo l’armistizio dell’8 Settembre 1943 ed anche la nostra “piccola” Castelferretti ha vissuto in tutta la sua drammaticità la guerra. Anche questa piccola città ha avuto la sua importanza nella storia.

La città era sotto il presidio di un gruppo tedesco e i castelferrettesi si sono impegnati a combattere non il tedesco in sé e per sé, ma il vero nemico della guerra: Hitler.

Qui la guerra ha coinvolto la quasi totalità della popolazione. Ci sono state morti soprattutto al fronte, continui bombardamenti nelle importanti strutture (aeroporto, stazione, porto…) situate nelle nostre vicinanze.

La guerra partigiana è stato un grande moto di popolo nato spontaneamente, per questo è stato molto importante. L’ aiuto del popolo è stato volontario per un solo ideale la democrazia .

La guerra era straziante e disastrosa, ma proprio per questo ha riunito la popolazione.

A Castelferretti oltre ai partigiani,che sono stati di grande aiuto per l’ avanzata degli Alleati, anche il popolo ha dato un grande contributo e in quei momenti si sono riscoperti i veri valori: libertà, solidarietà e unione.

C’è un racconto che mi ha colpito molto, che testimonia appunto la solidarietà e l’unione, narrato dal Prof. Tonelli : “ Molto spesso ci si riuniva nella casa di una famiglia per mangiare le provviste rimaste dopo una perquisizione dei tedeschi. Stando tutti in una casa la regola era di non lasciare assolutamente niente per il giorno dopo, così tutti si aiutavano a vicenda per finire e chi poteva nascondeva il cibo rimasto che comunque condivideva nei giorni seguenti”. Questa drammatica guerra ha purtroppo messo gli uni contro gli altri anche i castelferrettesi , padri contro figli e questo è stato forse l’aspetto più crudele in assoluto.

I partigiani si rifornivano di armi rubandole ai tedeschi, ma il cibo i vestiti e le stesse armi venivano loro date anche dalla popolazione, soprattutto contadini, fra contadini e partigiani c’era infatti una certa complicità. Rischiavano molto per aiutare e difendere i partigiani. La popolazione era coinvolta proprio tutta, infatti si usavano donne e bambini che riuscivano più facilmente a passare senza destare sospetti. C’è un altro ricordo, di un partigiano anziano, che mi ha colpito perché nel fatto raccontato ha dimostrato coraggio e allo stesso tempo sentimento “ Stavano assalendo un treno per liberare persone destinate alla deportazione quando ad un tratto sono morti davanti agli occhi due miei cari compagni”. I partigiani hanno fatto una scelta di sacrificio, hanno lasciato quello che per loro era più caro, non solo per un ideale, ma anche per ridare libertà alla propria nazione, per ridare la pace.

Non importava la loro idea politica, erano tutti uniti nel nome della libertà, frase con cui concludevano quasi tutte le loro lettere di addio alle famiglie, firma del condannato a morte era w la libertà.

Alla fine la libertà è arrivata grazie anche all’ esercito polacco che nel 17- 18 luglio del 1944 ha cacciato i tedeschi da Castelferretti. Ancora oggi ci sono testimonianze di persone che hanno vissuto la resistenza sulla propria pelle e li ho visti commossi, ma fieri di raccontarci questi fatti. Cito alcuni di loro: il sig. Pistola, la sig. Pergoli e il sig. Raffaelli che allora erano molto giovani, ma contribuirono ugualmente alla liberazione. Molti sono morti con onore, e credo che sia importante ricordarli per far sì che non accada più. Come ho già detto, loro hanno lottato per la libertà che “è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare” come scrive Piero Calamandrei. Infine i valori di libertà, unione, solidarietà, sono tornati vivi anche a Castelferretti una città piccola, ma anche lei importante. Spero che anche in futuro ci si ricordi sempre di chi, tra i partigiani, i civili, i soldati hanno sacrificato la loro vita per regalarci il valore più importante la libertà.



Ilaria Carlini

Gli anni della guerra sono stati anni molto duri per tutta la popolazione europea coinvolta nel conflitto. Molti sono stati i soldati morti, ma ancor più i civili.

Gli unici ad essere contenti inizialmente erano i ragazzi e i giovani che, quando era stata annunciata alla radio l’entrata in guerra dell’Italia, l’accolsero con entusiasmo perché la propaganda fascista li aveva preparati fin da piccoli ad usare le armi.

Al contrario le persone più anziane, che avevano vissuto l’esperienza della prima guerra mondiale sapevano che un’altra guerra avrebbe portato solo fame, dolore e povertà.

Infatti in quei tempi tutta la popolazione soffriva la fame e, dai racconti delle persone che quel periodo l’hanno vissuto, abbiamo saputo che il cibo era molto poco e razionato.

Ogni famiglia aveva una tessera dove era indicata la quantità di pane, sale, latte… che spettava a ogni famiglia.

Per esempio il sale veniva utilizzato solamente per condire la verdura e le carni, mentre per cuocere la pasta veniva utilizzata l’acqua del mare.

Quando si andava a comprare il sale o lo zucchero, bisognava portarsi la carta da casa, perché costava più del sale.

Chi abitava in campagna aveva molti vantaggi, perché poteva prepararsi il pane in casa e aveva gli animali.

Per non far trovare il cibo ai tedeschi che compivano continue razzie, questo veniva nascosto ovunque tra i rami degli alberi, sotto le fascine…

Quando la fame era tanta, le tentazioni erano molte, come ci ha raccontato il professor Tonelli nel suo libro.

Una ragazza aveva un’ amica che, abitando in campagna, portava a scuola il pane fatto in casa, che diffondeva nell’aula un buonissimo odore.

Un giorno la ragazza non è riuscita a resistere e ha chiesto alla sua compagna di portarle una fetta di pane bianco per il fratellino piccolo, in cambio di una cinta fatta con le carte delle caramelle.

Il giorno dopo la sua amica le ha portato la fetta di pane e lei, sentendo il buon profumo, non riuscendo a resistere alla tentazione, pezzo dopo pezzo lo ha mangiato tutto, dimenticando il fratellino.

Dopo l’8 settembre, si cominciarono a formare i primi nuclei partigiani.

Questi gruppi erano formati soprattutto da antifascisti che volevano proteggersi dai tedeschi.

La maggior parte di questi partigiani era molto giovane, quindi non aveva idee politiche, ma un’ideale per cui combattere, la libertà.

I partigiani nella loro azione mettevano quotidianamente a rischio la loro vita.

La popolazione civile li aiutava in modo molto generoso, soprattutto i contadini che li ospitavano e davano loro del cibo mettendo in pericolo anche la loro vita, perchè, se solo sospettati di aiutare antifascisti venivano malmenati, arrestati o addirittura deportati e uccisi.

Per i rifornimenti ci pensavano gli alleati, ma anche loro non offrivano molti aiuti, perciò dovevano arrangiarsi con quello che avevano.

Per comunicare tra di loro c’erano le staffette, che spesso erano donne che portavano cibo ed armi.

Tra i tedeschi e la popolazione c’era un rapporto di terrore perchè quando i tedeschi erano ubriachi andavano per le case in cerca di vino e di donne.

Dalle testimonianze abbiamo però saputo che a volte i tedeschi erano persone “umane” per esempio quando un tedesco entrò in una casa e trovò una ragazza con la sorellina, l’accarezzò dicendo che anche lui aveva una bambina come lei, era chiaro che in quel momento provava tanta nostalgia per la sua famiglia.

Questa è una delle tante testimonianze contenute nel libro del professor Tonelli.

Al contrario altre volte i tedeschi andavano nelle case e rubavano tutto ciò che poteva servire.

Quando i tedeschi o i fascisti catturavano i partigiani, infliggevano loro ogni tipo di violenza fisica e psicologica. Armi molto usate erano l’olio di ricino ed il manganello, mentre quando i partigiani catturavano i fascisti cercavano di far loro “il lavaggio del cervello” e se ci riuscivano questi entravano a far parte del loro gruppo.

Spero che la guerra non succeda mai più, perchè coloro che hanno combattuto per la libertà hanno vinto e sarebbe un peccato rendere inutile la loro vittoria. E’ grazie a loro che oggi viviamo in un paese libero.

Ma se commettessimo gli stessi errori di alcuni dei nostri nonni e bisnonni in passato, significa che quello che ci hanno raccontato loro che hanno combattuto per la libertà non ci è servito a capire nulla.