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martedì 21 ottobre 2008

Convegno ad Ancona su Lauro de Bosis

Sala Municipale 3 0ttobre 2008
Lauro De Bosis, nel ricordo della famiglia
di
Alessandro Cortese de Bosis


Ancora una volta la nostra città accoglie e ricorda Lauro de Bosis nella ricorrenza del suo volo su Roma, il 3 ottobre 1931. Grazie signor Sindaco, a Lei e alla Giunta municipale. Già l’anno scorso eravamo qui insieme a premiare un’intera classe del Liceo “Rinaldini” per un esemplare elaborato nel concorso che la nostra Associazione aveva indetto sul volo di Lauro. Ricordo che rileggemmo in quell’occasione il messaggio che nel cinquantenario della scomparsa, il Presidente e Medaglia d’Oro Sandro Pertini aveva indirizzato a mia madre: «Con la sola forza dell'ideale e della fede nella libertà Lauro de Bosis lanciava la sua sfida alla tirannide fascista, realizzando il suo audace volo per risvegliare le coscienze degli italiani al culto di quei valori per i quali si erano immolate intere generazioni di patrioti. Desidero esprimere il mio commosso ricordo e quello degli italiani per la figura sempre più significativa di suo fratello Lauro».
E anche Ancona, città Medaglia d’Oro, comprende e rievoca il nostro Lauro.
Lauro, poeta e scrittore di vecchia famiglia anconetana aveva scritto a Portonovo, nella nostra torre, il suo poema “Icaro”, un libro dedicato alla libertà e tradotto “Antigone” poi rappresentata al teatro romano sul Palatino, alla presenza della famiglia Reale. Lauro era un liberale risorgimentale e lo si evince da uno dei suoi manifestini in cui ricordava al Re Vittorio Emanuele III che firmava i decreti di Radetzky con la penna di Carlo Alberto, proprio a proposito delle leggi liberticide. Con la creazione della sua “Alleanza Nazionale per la libertà” e poi con il suo volo su Roma sapeva benissimo di rischiare la vita. E un frase scritta prima di morire è significativa: “se sarò abbattuto dalle mitragliatrici fasciste il successo del mio volo dal punto di vista della causa sarà raddoppiato, che i miei amici non rimpiangano la mia morte. Essa è stata il miglior modo di vivere intensamente la mia vita”. La morte come sublimazione assoluta dell’anima di Lauro de Bosis. C’è sicuramente qualcosa di crociano in questa religione della libertà ispirata dal grande maestro Benedetto Croce.
Ma, come scrisse nel suo testamento spirituale “Storia della mia morte”, decise di fare il suo dovere, quando i suoi colleghi Vinciguerra e Rendi furono condannati a 15 anni di carcere per aver diffuso migliaia di circolari dell’Alleanza con un appello contro le leggi liberticide, dopo il delitto Matteotti del giugno 1924. E nel suo ultimo scritto egli definisce modestamente il suo ultimo volo e il lancio di 400.000 manifestini con un monito al Re d’Italia e ai cittadino solo come “un piccolo atto di spirito civico” per il suo Paese.
Se fosse tornato sano e salvo dopo il volo sarebbe patito per l’America – dove si trovava al momento della condanna dei suoi colleghi – per un ciclo di conferenze sull’Italia e sull’Europa. L’argomento di una di esse, da tenersi ad Harvard, era il progetto di Unione federale europea necessaria, secondo Lauro, per evitare un’altra guerra fratricida in Europa. Seguace di europeisti come Mazzini ed Einaudi, dunque, e precursore di Altiero Spinelli e di Carlo Azeglio Ciampi.
Lauro si chiedeva perché, nel Risorgimento, tanti giovani erano pronti a morire per la libertà e negli anni del fascismo così pochi si facevano avanti per opporsi al regime. Perché la gente si aspetta forse che il fascismo finisca col cadere da sé o diventi, negli anni, un movimento democratico? Non è vero. Bisogna combatterlo, subito con una coalizione di cittadini liberi, senza dare, però, l’iniziativa ai cosiddetti sovversivi o estremisti, altrimenti tra i due mali, gli italiani avrebbero continuato ad accettare e subire il fascismo. Così scriveva Lauro nel 1930.
Lauro aveva affermato che il regime aveva reso l’Italia un Paese “intraducibile” per gli altri Stati occidentali e – nei suoi scritti - ne aveva messo in risalto i connotati essenziali. Non è passato un secolo. Cerchiamo di attualizzare quel periodo della nostra storia e immaginare cosa significhi vivere in una Nazione dominata da un solo partito politico, per di più armato, con un esercito di 300.000 soldati. Fu proprio Mussolini a definire la milizia fascista “il Partito col moschetto e il pugnale”. Non più, dunque un’anomalia politica ma una vera e propria mostruosità senza precedenti se non, in quegli anni, nella Russia sovietica (il paragone è dell’Onorevole Professor Ruffini, celebre giurista e uno dei pochi docenti che non giurarono fedeltà al regime). Ma prima ancora, quando esistevano veri partiti poi soppressi insieme ai sindacati e ai liberi giornali, ce lo immaginiamo un partito fascista che si arroga il diritto esclusivo di redigere lui stesso le liste elettorali? Ce lo immaginiamo oggi un partito al potere che crea tribunali speciali per la difesa dello Stato, in barba alla magistratura ordinaria, tribunali spesso presieduti da ufficiali della milizia e hanno poi irrogato nel ventennio fascista condanne inappellabili per 18.000 anni di carcere? Ce lo immaginiamo un partito fascista che dopo qualche anno, trasforma con decreto legge la Camera dei Deputati in Camera dei Fasci e delle Corporazioni? Un partito che diventa Parlamento? Ce lo immaginiamo un regime avviato a diventare quasi uno Stato assoluto e che poi, negli anni successivi, coinvolgerà l’Italia in sette guerre in sei anni (dal 1935 al 1941: guerra in Etiopia, intervento unilaterale in Spagna, guerra contro GB e Francia, guerra contro la Grecia, guerra contro la Jugoslavia, guerra contro la Russia e contro gli USA) vincolando il Paese all’alleanza aggressiva col regime nazista del genocidio, responsabile di Auschwitz, dello sterminio degli israeliti e di una guerra con 50 milioni di morti? Un regime fascista in cui il Duce aveva proclamato gli ebrei un pericolo grave per la razza ariana da cui difendersi con le leggi repressive del 1938?
Ma già subito dopo il delitto Matteotti di cui Mussolini disse che il Governo si assumeva tutte le responsabilità, Lauro e altri uomini liberi come Giovanni Amendola, Piero Gobetti e più tardi i fratelli Rosselli, tutti martiri anch’essi per la libertà, avevano denunciato le leggi fascistissime - come le chiamò Mussolini – fra cui il giuramento di fedeltà cui ho accennato, e che solo undici professori universitari ordinari, quasi tutti amici ed estimatori di Lauro, rifiutarono di compiere.
Si è parlato superficialmente di Lauro come di un idealista romantico. Ma domandiamoci seriemente chi aveva ragione? Uno scrittore che lanciava, così come poteva, un avvertimento e un allarme sul crollo della democrazia parlamentare e sull’inizio della dittatura – come farà poi il premio Nobel Thomas Mann denunciando il nazismo – oppure gli scaltri pubblicisti e uomini di cultura che accettarono ed esaltarono il fascismo che condusse poi gradualmente l’Italia alla più grave sconfitta della nostra storia unitaria?
Oggi c’è chi distingue tra fascismo come male assoluto o relativo, come se si potesse parlare di male a tempo pieno o part-time. Ma io mi contento della definizione di Sandro Pertini sulla tirannide fascista. Una tirannide il cui motto era “credere, obbedire, combattere”, imperativi che venivano recitati a scuola dai balilla in camicia nera nelle adunate del sabato fascista quando dovevano giurare, a dieci-dodici anni di età, assoluta fedeltà al Duce del fascismo.
Il gesto di Lauro, la sua sfida, ebbe il valore di un “certificato di esistenza in vita” della libertà italiana non ancora spenta del tutto, di un’Italia di minoranza come la chiamò Spadolini. E così apparve all’intera stampa europea ad americana che pubblicarono e commentarono, quasi con un sospiro di sollievo, “Storia della mia morte” scritta da Lauro prima di decollare da Marsiglia verso Roma. Lo stesso Spadolini, storico insigne e poi Presidente del Consiglio, definì l’Alleanza Nazionale per la libertà come l’anello di congiunzione tra resistenza inerme e poi resistenza partigiana e guerra di liberazione, ossia tra la tentata coalizione dei resti dei partiti antifascisti, voluta da Giovanni Amendola e i Comitati Nazionali di Liberazione nati dopo l’8 settembre 1943.
Siamo dunque con lui e con quei pochi nel Secondo Risorgimento. Il Primo, col suo trinomio Libertà, Unità, Indipendenza era stato tradito da Mussolini, come ricordato dal Presidente Ciampi. Il Secondo ci ha dato una Costituzione voluta da popolo e non concessa dal Re, per la quale oggi il Presidente Napolitano invoca un po’ di “patriottismo costituzionale” da parte nostra.
Sì, la figura di Lauro è sempre viva da noi. Ma anche in America si parla di lui: nella più celebre Università degli USA, quella di Harvard ove esiste dal 1934 una cattedra di civiltà italiana intitolata al suo nome e che fu tenuta per anni da Gaetano Salvemini, esule antifascista. Fu un’iniziativa della compagna di Lauro, Ruth Draper, che volle ricordarne la memoria dopo il volo senza ritorno facendo risaltare così, con questa cattedra, l’interdipendenza culturale tra Stati Uniti e Italia.
Vorrei concludere ricordando ai giovani studenti che, come disse un celebre scrittore “il futuro ha un cuore antico”. Il gesto di Lauro non è antico.
Comunque il suo esempio, assieme a quello dei combattenti per la liberazione, potrà forse aiutare i giovani in avvenire a orientare la loro coscienza morale di cittadini italiani ed europei nelle scelte patriottiche da affrontare nella loro vita. Grazie.