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lunedì 16 maggio 2016

20 MAggio 2016 ore 21. Mediateca Polverigi (Acona)

CAPIRE LA GRANDE GUERRA

1916 
DALLA SPEDIZIONE PUNITIVA
 ALLA CONQUISTA DI GORIZIA


 (Conferenza di Massimo Coltrinari)

Terminata la stasi invernale , il 1916  vede come prima grnde azione la 5 Battaglia dellIsonzo, una azione decisa a Chantilly, nel dicembre 1915, al Consiglio Interalleato. Se i tedeschi avessero attaccato in Francia, tutti gi alleati dovevano prener l’offessiva. E’ una grossa dimostrazione di forza che impegna gli Austriaci. Tutte e tre le Armete italiane, la 4a, le forze in Carnia, la 2° e la 3° sono impegate. La   5° battaglia dell’isonzo (9 -17 marzo 1916) è svolta soratutto con l’impiego delle armi a Tiro teso, con l’obiettivo strategico di impedire agli Austriaci di inviare rinforzi in Francia sul fronte di Verdum.  L’obiettivo viene conseguito, anche se l’ofensiva sul terreno non fa conquistare al Regio Esercito tratti di terreno notevoli, come si sperava.

In aprile occorre segnale ‘episodio del Col di ana. Sul fronte montano, si combatteva una particolare guerra quelle delle mine. IL 17 aprile 1916 viene fatta brillare la mina al Col di Lana, ma, sebbene si riesca a conquistare la cima del monte, i risultati strategici non vengono conseguiti. Gli Austriaci fermano gli Italiani nelle linee arretrate e la guerra in quel settore è attanagliata sempre più dallo stallo tattico.

Una delle idee persistenti del capo di Stato Maggiore Imperiale, Franz Conrad von Hotzendorf, era quella di lanciare una offensiva contro l’Italia, con piani già pronti dal 1908, rinnovati nel 1912 e 1913, e finalmente riesce a prenderlo in considerazone nel 1916.Chiede ai tedeschi di inviare sul fronte Russo 9 divisioni, in sostituzione di quelle autriache che dovrebbero essere ritirate per l’azione in Italia.. Il Capo di Stato Maggiore tedesco von Falkenhayen si dimostrò contrario, in quanto era convinto ce per dare un colpo verametne serio al Regio esercito sarebbero accorsi 25 divisioni che non c’erano per questa esigenza, non potendo paralizzare tutti gli altri fornti, e le preventivate 16 divisioni nn sarebbero state sufficienti. Inoltre era ancora più convinto che l’Italia, dipendente dagli Alleati per i rifornimenti, non avrebbero chiesto la pace separata, cone von Korad sperava, anche dopo un grave sconfitta  ed in ogni caso le altre potenze dell’Intesa avrebbero continuato la guerra anche senza l’Italia.

Falkenhayen, per prevenire una offesinva franco-inglese, prevista per primavera, preferiva impegnare tutte le forze in una offensiva contro Verdun, cosa che attuò il 21 febbraio 1915, che fece scattare l’impegno di una offensiva sul Carso, che è la etta 5a battaglia dell’Isonzo.

Von Korad procedette da solo e formò la 11a Armata nel Trentino forte di 14 divisioni, in parte tole dal fronte dell’Isonzo in parte dal fronte russo.

Cadorna non credeva in una offesiva massiccia nel Trentino da parte austriacia sia perche la pensava come Falkenhyen  in quanto una battaglia vinta dagli austriaci contro l’Italia non avrebbe risolto la guerra europea; inoltre i russi stavano per lanciare una grande offesinva in Galizia e gli Austriaci non avrebbero assolutamente sottratto forze dal loro fronte orientale.  Il suo interesse era una offensiva ontro la testa di ponte di Gorizia, in modo tale da oltrepassare l’Isonzo.

Konrad era risoluto nella sua azioe. Al comano dell’arciduca Eugenio, fu lanciata la strafexpedition la spedizione punitiva che scattò il 15 maggio 1916, cogliendo del tutto impreparata la I Armata italiana del generale Brusatti. Tale armata aveva assunto con i mesi di guerra un atteggiamento troppo offensivo ed aveva raggiunto posizioni che sarebbero state ideali per un attacco ma assolutamente difficili da difendere se gli austriaci s fossero mossi in avanti. E così avvenne.

Gli austriaci, che misro in campo anche 2000 cannoni dei quali 600 di medio e grosso calibro, contro i 851 schierati dagli Italiani che svilupparono concentrazioni di fuoco mai visti sulla fronte italiana , ottennero successi iniziali con la conquista di Asiago ed Arsiero, avuta tra il 27 ed il 28 maggio.

Cadorna reagì in modo determinato. L’offensiva venne prima arginata e poi bloccata da rinforzi italiani fatti affluire dal Comando Supremo dal fronte dell’isonzo. Cadorna, per prevenire lo sbocco in pianura costituì la 5 Armata nell’area di Padova Treviso, Cittadella, Vicenza, tra l’Adige ed il Brenta consistente in 10a divisioni. La manovra riusci in quanto l’Esercito Italiano disponeva finalmente di una deguato parco automezzi. Sarà proprio in questa occasione ceh nasce il Servizio Atomobilistico dell’Esercito Italiano. Avrebbe dovuto attaccare gli austro-ungarici se fossero arrivati in pianura.

Ai primi di giugno  le truppe di Konrad si trovarono di fronte divisione italiane sempre più rafforzate e rinfrancate, mentre erano state logorate da continui attacchi. I Russi il 4 giugno sferravano una potente offensiva ed avanzarono su un fronte di circa 350 chilometri e occorreva contenerli.

Conrad tentò atri attachi in val d’Astico  sull’altipiano di Asiago, ma l’esigenza di inviare truppe sul fronte russo e laforte resistenza degli Italiani. Il 16 giugno prese la decisione di sospendere l’offensiva, tiununciando a proseguire. 6 giorni prima Cadorna aveva ordinato una controoffensiva che si stava sviluppando sull’Altipiano di Asiago. Gli Austriaci ottenero un cuneo di 12 chilomentri che fu l’unico risultato tangibile della spedizione punitiva, pagata con perdite pesanti e col grave scacco raccolto sul fronte orientale. Le perdite furono consisteti 100.000 Caduti da una parte e dall’altra.

Per quanto riguarda l’Italia furono commessi errori di sottovalutazione gravi da parte di Cadorna, che furono però recuperati con la determinazione e la’zione di recupero. Sul piano interno ebbe ripercussioni politiche, ovvero la caduta del governo Salandra con il Governo  a più larghe intese, di Boselli.

(coltrinari2011@libero.it) 



mercoledì 11 maggio 2016

21 Maggio 2016 Rimini. Azioni sul Monte Piana nel 1915

 Conferenza
MONTE PIANA MONTE PIANO 
 LUOGHI FATTI E PERSONAGGI
1915 -1917

Dopo una rapidissima introduzione in cui si farà cenno ai protagonisti della Grande Guerra, ai Comandanti ed al Piano Cadorna erede della pianificazione operativa offensiva del confine orientale, si indicheranno le fonti e le referenze

Si passerà alla analisi delle forze contrapposte con la esplicazione dello schieramento italiano e austriaco attraverso l’ausilio di cartine illustrative

Descritti i mesi di preparazione e il mese di giugno 1915 in forma sintetica, si passerà alla espisione degli attacchi italiani dal 15  al 20 luglio in forma analitica. Questo attraverso le operazioni della Brigata “Marche” i cui reparti furono protagonisti sul Monte Piana.

Lasciata le sedi stanziali, il 55° Reggimento fanteria di Treviso ed il 56° reggimento fanteria di Belluno ed allo scoppio della guerra è in Cadore nelle Valli del Boite dell’Ansiei e del Padola.
Il primo sbalzo in avanti Porta la Brigata alla occupazione non ostacolata dal nemico, della fronte Forca-Tre Croci lembo orientale del Piano della Bigontina. Qui riceve l’ordine di assestarsi e per tutto giugno alterna l’impegno operativo con lavori di rafforzamento e con l’inviare pattuglie e ricognizioni in Val Rimbianco, Valle Popena Bassa e Val Grande.  Il bero impegno operativo inizia a metà di luglio contro le difese austriache del confine militare.

La Brigata Marche” con i suoi reparti fu protagonista delle azioni principali per la conquista di Monte Piana.  Mario Spada così ha ricostruito le azioni principali per la conquista di questo Monte, che vanno dal 15 luglio ai primi di agosto 1915.

Azione del 15 Luglio 1915
Alle ore 05.00 iniziò il tiro di distruzione dell’artiglieria italiana sulle posizioni austriache, fuoco che durò fino quasi alle 09.00. Alle 09.00 precise, come disposto dal Col. Parigi, un razzo sparato nel cielo da Villa Loero, situata su una altura fra il Lago di Misurina e il Paludetto, dette il via all’azione. I fanti del I Battaglione raggiunsero d’impeto la linea della Piramide Carducci che trovarono sgomberata dagli austriaci che, senza essere notati dagli osservatori italiani, si erano ritirati su Monte Piano, più adatto per la difesa. Contemporaneamente vennero investiti dal fuoco delle artiglierie austriache che sparavano da Prato Piazza, Monte Specie, Landro e Monte Rudo. Non potevano né avanzare né ripiegare: furono costretti a cercare riparo su un terreno esposto, scavando con le vanghette la poca terra, tra le rocce, ricoveri di fortuna. Anche il III battaglione non potè progredire nell’avanzata, conseguentemente non supportò l’azione della 96ma compagnia alpini che dovette, pertanto, ripiegare anch’essa dal Fosso Alpino alle postazioni di partenza. Passò così l’intera giornata del 15 luglio”[1]

 La valutazione tra gli Ufficiali italiani della azione era negativa. Via telefono il col. Parisi sollecitava la ripresa dell’azione per una progressione reale. Nella baracca Comando, situata ove sorge oggi il Rifugio Bosi si discusse i termini dell’azione ed alla fine il Magg. Bosi avallò la soluzione che per conquistare il Monte Piana si doveva procedere dalla Piramide Carducci verso la Forcella dei Castrati.

All’azione avrebbero partecipato la 9a la 10a, la 11a, la 12a compagnia. Senza copertura dell’artiglieria, la 9a e la 10a uscirono dalla trincea sul Pianoro di Monte Piana ed iniziarono a procedere velocemente verso la Forcella dei Castrati, fortemente ostacolate dal tiro delle artiglierie austriache provenienti dalle quote circostanti. Quando raggiunsero la Forcella avevano subito sensibili perdite. Ma successe l’imprevedibile, progressivamente, forse per esaurimento dei proiettili, le artigliere austriache cessarono il fuoco, tanto che la 10a e la 12a compagnia riuscirono a raggiungere sulla Forcella dei castrati le prime due senza subire perdite. Il cap. Gregori, che si delega del magg. Bosi dirigeva l’azione, non ebbe però la prontezza operativa di approfittare della situazione inaspettativamente favorevole e procedere all’assalto risolutivo dell’ormai vicine linee nemiche, anzi dette l’ordine di rafforzarsi sulle posizioni raggiunte, per trascorrervi ivi la notte, in attesa dell’alba.”[2]

 L’azione non aveva dato i frutti sperati e nuovamente il magg. Bosi convocò al suo Comando gli ufficiali responsabili, compreso il cap. Rossi, comandante la 96a compagni alpini. Fu deciso un nuovo attacco per l’indomani, alle prime luci dell’alba, condotto da cap. Gregori.
All’ora convenuta, la 9a e la 10a compagnia superarono la Forcella dei Castrati addossandosi in posizione defilata al tiro nemico sul saliente di Monte Piano, La 10a e la 11a compagnia, con il Comando di battaglione, rimasero pronte all’intervenire schierate sul versante opposto, sul ciglione di Monte Piana dominante la Forcella. Questo fu un grave errore tattico commesso da un ufficiale d’esperienza quale era il cap. Gregori: infatti questi fanti, con il chiarore del giorno, rimasero esposti ed immobilizzati dal tiro austriaco.

In questo frangente cadeva ucciso da tiro di un cecchino il magg. Bosi[3] che fu sostituito nel comando dell’azione dal magg. Gavagnin.

 …(l’’azione della 9a compagnia) fallì per il mancato concorso sulla sua destra, della 96a compagnia alpini che dal Fossato Alpini doveva sorprendere sul fianco la posizione austriaca, eliminandone la resistenza. A quel punto, erano le ore 07.00 il magg. Gavagnin ordinò al cap. Gregori di far attraversare all’11a compagnia la Forcella, cosa che le sarebbe risultata impossibile se non fosse sopraggiunta improvvisa una insolita e fitta nebbia. Così riuscì nel movimento senza subire perdite, andando a rinforzare la 12a ed i resti della 9a compagnia. Ritornato il sereno il cap. Rossi, comandante della 96a compagnia, temendo di essere preso tra due fuochi qualora degli austriaci fossero risaliti per le Forcellette, chiese che quella posizione, dominante sia Val Rimbianco che la Rienza Bassa, venisse prontamente occupata da una compagnia tenuta in riserva. Il magg. Gavagnin, alle ore 11 ordinò al cap. Gregori di procedere in tal concorso con la 10a compagnia. Bisognava però attraversare la Forcella, su terreno esposto dal tiro austriaco: era impresa quasi impossibile tanto che il cap. Gregori ed altri suoi fanti furono fulminati dal fuoco nemico. Sopraggiunta la sera e con essa anche la pioggia. Tre delle cinque compagnie duramente provate furono sostituite da altre due del I Battaglione del 55° Fanteria e dalla 7a compagnia del 56° reggimento”[4]

Una riflessione attenta sugli insuccessi degli attacchi portati nei giorni precedente fecero concludere che la causa di questi insuccessi si doveva ricercare nel fatto che gli attacchi erano portati di giorno. Pertanto si decise di attaccare di notte

Fra le 24.00 e le 3.00 (del 20 luglio, n.d.a) dei genieri della 20a compagnia minatorie della 14a compagnia zappatori collocarono dei tubi di gelatina esplosiva per praticare dei varchi nei reticolati. Nel settore della 96a compagnia alpini, fu lo stesso cap. Rossi, accompagnato da alcuni alpini, a collocare i tubi di gelatina. Dopo il brillamento dei tubi e praticati i varchi nel reticolato nemico, il più ampio di circa 8 metri, due plotoni della 96a compagnia e il plotone Allievi Ufficiali del  55° Reggimento, sostenuti sulla sinistra dalla 6a compagna del 56° Reggimento e da un plotone esploratori del I Battaglione del 55° Reggimento e sulla destra dalla 12a compagnia, riuscirono a penetrare nella prima linea austriaca facendo prigionieri gli occupanti. Si tentò allora di conquistare tutte le posizioni austriache di Monte Piano. Attaccarono sulla sinistra dello schieramento la 1a compagnia, sulla destra la 10a compagnia che provvedeva con un plotone anche alla copertura difensiva in concorso alla 2a compagnia tutte e tre del 55° reggimento. Con le prime luci dell’alba entrarono in azione le batterie austriache di Prato Piazza, di Monte Specie, di Landro, di Monte Rudo e dell’Alpe Mattina. A questo si aggiunse il tiro della “pettegola” che sparava con alzo zero da una distanza inferiore a 300 metri, rendendo impossibile agli Italiani mantenere la posizione conquista con tanto sacrificio. Alle ore 06,30 iniziò il disimpegno ordinato da Monte Piano con ripiegamento sulle posizione di partenza.”.[5]

 Dopo il 20 luglio le azioni ebbero una pausa. Si constato che, nonostante le perdite ed sacrifici, anche coronati da successo, le posizioni di Monte Piano una volte conquistate non si potevano mantenere per via del fatto che erano sotto il tiro delle fortificazioni poste nelle montagne circostanti. 
 Ai primi di agosto i fanti della Brigata “Marche” furono affiancati da quelli della Brigata “Umbria, che svolsero azioni  con il 54° Reggimento dal 3 al 4 agosto in concorso alle azioni di attacco a Monte Rosso ed al Pinedo, ad oriente del Monte Croce di Comelico ove era impiegata la Brigata “Ancona”.

Si palesa ai Comandi italiani che ormai si stava asodando il cosidetto Stallo Tattico, ovvero l’impossibilita dell’attaccante di variarela situazione e la decisione dela difesa di non prendere iniziative. Questa situaizone si manterrà per tuti i mesi successvi fino all’ottobre 1917 quando le truppe italiane si ritireranno per effetto della azone su Caporetto.

IL 23 ottobre arriva l’ordine, per tutta la 10a Divisione di trasferirsi sulla fronte isontina. La permanenza della Brigata “Marche” sul fronte cadorino merita qualche considerazione

La Brigata “Marche” fu protagonista delle azioni del luglio-agosto 1915, o sul Monte Piana. L’analisi della sue azioni rileva i gravi errori commessi dai Comandi superiori italiani sul fronte dolomitico. In primo luogo si manifesta l’errore strategico, ovvero la impreparazione materiale, soprattutto la carenza di artiglierie. Di seguito l’errore concettuale, ovvero la non  risolutezza nello spingersi avanti, frutto questo non di imperizia o di mancanza di coraggio, ma di totale assenza di un piano offensivo necessario ed utile, dato che era l’Italia che aveva l’iniziativa tattica. Le azioni della Brigata “Marche” entrano nel vivo solo a due mesi dalla dichiarazione di guerra, ovvero a metà luglio 1915. I risultati sono quindi discendenti da questo. Il Comando Brigata ha avuto in sei mesi quattro comandanti, in cui si alterna l’eroismo e la destituzione; i comandanti di reggimento e di Battaglione sono sulla stessa Linea, con una successione veramente impressionate, anche qui alternanza di destituzioni ed eroismo. Negli anni successivi questo si stabilizzarà e si avranno periodi di comando normali, sull’ordine dei dodici-quindici mesi.
In realtà sia la Brigata Marche che la Brigata Ancona, che agiva a fianco, sul fronte del Comelico superiore sono vittime di erroi strategici e tattici di vaste dimensioni e, nonostante il loro eroismo, la cui figura del Magg. Bosi è emblematica, non conseguono alcun risultato.

Le conclusioni saranno tratta sulla base della esposizione



[1] Spada M., Monte Piana 1915-1917. Guida storica ed escursionistica, Bassano del Grappa, Itinera Progetti, 2010, pag. 52.
[2] Ibidem, pag. 55
[3] Varie sono le versioni della morte del magg. Bosi. Con un approccio tutto ottocentesco, il magg. Bosi, al chiarore dell’alba, e quindi ben visibile al tiro nemico, consapevole del pericolo a cui si esponeva, ma per dare un esempio ai suoi fanti che si stavano impegnando in una ardua azione, poche decine di metri a valle della Piramide Carducci, si era messo, di fronte alle posizioni austriache, in posizione eretta, con il binocolo in mano, per meglio osservare l’andamento dell’azione e dirigere l’azione. Un colpo preciso sparato da un cecchino lo colpi al cuore e subito risultò vano ogni soccorso portato dal suo attendente e dal portaordini che le erano a fianco. Una descrizione più dettagliata si trova in Fornari A., Piccolo frutto rosso, frammento di pace. Nelle trincee del Monte Piana, la storia di un uomo, magg. Bosi Cav. Angelo, S. Vito di Cadore, Edizioni Grafica Sanvitese, 2008
[4] Ibidem, pag. 57
[5] Ibidem, pag, 58

venerdì 6 maggio 2016

Prigionia di Guerra in Unione Sovietica. Ricerca

Ungharische Gefangene in der Sowjetunion[1]

Tomas Stark

Aus Kriegen resultieren immer Gefangene , und Kriegsgefangene erleiden immer Ernnie und Not. Doch trotzaller Harte debeutet Gefangenschaft fur den Soldaten das Ende des Kriegs und im Endeffkt Leben. Im Zweiten Weltkrieg lag der Fall anders. Die von der Roten Armee Gefangengenommenen standen dem Tod oft naher als dem Leben.

Es war allgemein bkannt, dass die Rote Armee in Ungarn Zivilisten wie Soldaten aufgriff und sie in die Sowjetunion abtransportiererte. In Ungarn sind Bruchstucke der Geschichte ihrer Gefangenschaft bekannt, aber die volle Wahrheit uber das Schicksal der Hunder ttausenden Kriegsgefangenen und Deportierten ist noch immer unklar. Man wird wohl nie genau in Erfahrung bringen konnen, wie viele Ung stucke derrm des Sowiets in die Hande fielen.

Der noch intakte Verwaltungsapparat der ungarischen Armee registrierte bis November 1944 circa 70.000 Kriegsgefangene.

Die ungarischen Truppen zogen sich erst ab dem Spatherbst 1944 in Richtung Deutschland zuruck, eine Operation, die bis in den April 1945 andauerte. Knapp eine Million Ungarn suchte vorubergehend Zuflucht vor der Roten Armee auf detschen Territorium. Durunter befanden sich ungefahr 580.000 Soldaten der ungarischen Armee, die mit letzter Anstrengung die von den Westmachten zu besetzenden Zonen zu erreichen suchten. Nach spateren Aufzeichnungen des Verteidigumgsministeriums sollen 300 000 von ihnen tatachlich von den Briten, Amerikanen oder Frazosen gefangengenommen word sein.[2] Der Rest wurde von der Roten Armee in den Osten verbracht.

Nach dem Uberschreiten des ungarischen Grenze begannen die Spezialeinheiten der Sowietarmee (SMERS) mit der Zusammenfassung und Deportation von Ungarn, gleichgultig ob Zivilisten oder Soldaten. Die Azhl dieser zwischen Oktober 1944 under april 1945 in Ungarn Gefangengenommenen ist nur indirekt uberliefert. Gemass den Ergebnissen ukrainish-ungarischer Forscher  wurden im November 1944 ca. 40000 Personen aus der 1938-1944 zu Ungarn gehorenden Karpato-Ukraine in die Sowietunion abtranssporttiert. Ausserdem existiert ein Berich des ungarischen statistischen Zentralburos fur den Sommer 1945, der die Basiszakl fur die Schatzung der in Ungarn gefassten Kriegsgefangenen und Zivilisten liefert.Den nach wurnach au  dem Ungarn in den heutigen Grenzen (Budapest ausgenommen) 179608 Personen deportiert[3]
Die fehlende Angabe fur Budapest (dort hatte das Zentrallubro keinen zu Zugang zu Daten) kann aus der Siegesnachricht der Roten Armee vorm 13 Februrar 1945 erschlossen werden, demzufolge die sowjetischen Streitkrafte wahrend der Schlacht un die Haup 110000 Soldaten gefangennahmen.[4] Diese Angabe scheint uberhoht, diente,sie doch General Malinovskij gegen Stalin als Rechtfertigung fur die verzogerte Einnahme von Budapest. Die Azhl der in Budapest eingekreisten deutshen Soldaten betrug maximal 30000. Somit waren zumindest 80000 der 110000 Kriegsgefangenen Ungarn.Insgesamt durften demnach meher als 600000 Ungarn in sowjetische Lager gebracht worden sein.

Weder die sowietische Regierung noch der Generalstab haben jemais einen authentischen oder auch nur plausiblen Bericht daruber vorgelegt wie viele Personnen die Rote Armee oder die Sicherheitspolizie gefangengenomen hat. Seit dem Jahr 1991 zuganglice sowjetische Dokumente belengen nun, dass in den Lagen ausfurliche Berichte uber Anzal, Nationalitat  und Qualifikationen der Gefangenen angefertigt wurden. Dataillierte Informationen wurden an jene Speziallabteilung des NKVD weitergeleitet, die fur Kriegsgefangene und Internierte zustandig (GUPVI)[5]

Diese riese Orgasation seichnete fur alle Gefangenen verantwortlich. Der Umgang mit dem Zahlenmaterial der Dokumente gestaltet sich schwierig, da Gefangene aus Ungam als  „ungarische Staatsburger“, Ungarm und ungarische Soldaten registriert sind. Die Angaben fur die letztgenannte Gruppe betragen   526604  Personen – eine Aussage, die sich von den bereits angegebenen ungarischen Schatzungen unterscheidet[6] 




[1] Wir bedanken uns deim International Committee for the Hostory of the Secondo World War fur die freundiliche Erlaubis des Wiederabdrucks. Der Erstadruck erfolgte unter dem Titel: Ungarian Prisoners in the Soviet Union (1941-1945), in Bulletin di Comitè international d’histoire de la Deuxieme Guerre mondiale, no 27/28 (1995)
[2] Berich an die Allierte Kontrollkommission 21.6.1945, Budapest, Archiv fur Militargeschichte (Hadtortenelmi Levèltar) Bidapest, HM 1945 eln. 29055; Archiv fur Militargeschichte, HM Karton 2, A, 94/4766
[3] Benedeck,Arnas S., Nepek es nemzetisegek a Kapatalijan (Volker und Nationalitaten in der Karpato.Ukuaine), in Iskolakultura, nr.12-13 (1994), S. 32-36;
Tajekoztato gyrsfelvetela korksegek, varosok koserdeku viszonyairol (Eine informative Kurzubersicht der Offentlich-keitsarbeit in Dorfen und Stadten), in Mayar Statiszikai Szemie, Nr. 1-6 (1946) S. 12f
[4] Ustinov, Dimistr, F., A masodik vilaghaboru tortenete (Die geschichte des Zweiten  Weltkrieges) Ungarische Ausgabe, Budapest, 1981, Bd, 10, S, 216f,
[5] NKVD = Norod nyi kommissariat vnutrennych del SSR ( Volkskommissariat fur  Innere Angelegenheiten der UdSSR
GUPVI = Glavone upravienie po delam voennoplennych i internirovannuch.
[6] Galickij, Vladimir Prochorovic Vengerskie voennoplennis v SSSR (Ungarische Kriegsgefangene in der Sowietunion) in Voenno Istoriceskij Jurnal  (MilitargeschichtlicheMittleilungen) Nr 10 (1991) p.44-54 hier p.45