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venerdì 27 maggio 2011

La Guerra nei Balcani

Il Cossovo nel 1999

Pristina Luglio 1999
Gli avvenimenti in Jugoslavia hanno posto drasticamente alla attenzione internazionale il problema delle etnie balcaniche, soggette, per vari motivi, a quello che in termini giornalistici e geopolitici si chiama "pulizia etnica". In particolare questa pulizia riguarda, da una parte la componente albano-cossovara del Cossovo, e dall’altra la parte serbo-cossovara dello stesso Cossovo. Tutto ebbe inizio con la frantumazione della Repubblica Federale Jugoslava, nata dalla guerra di resistenza condotta dal Maresciallo Tito, prima con in Croazia, Poi in Bosnia ed infine in Cossovo e che ultimamente ha raggiunto aspetti inquietanti ed allarmanti. I vari aspetti e i diversi gradi di attuazione di questa politica, con particolare riferimento al Cossovo, con le sue motivazioni ed implicazioni sono oggetto di questa nota.



Un problema dalle origini lontane



Il venerdì di Pasqua del 1939 l'Italia invade l'Albania. Nei circoli diplomatici europei, a commento di questa notizia, circolava la battuta " è la stessa cosa di un marito che rapisce la propria moglie", battuta che voleva sottolineare la forte influenza che l'Italia aveva nel paese Schipetaro. Mussolini e Ciano, però, volevano aggiungere un altro alloro alla Corona d'Italia: infatti diedero vita alla Unione del Regno d'Albania al Regno d'Italia, nella persona di Vittorio Emanuele III. Scopo ultimo di questa azione era quello di creare in Albania il Nuovo Modello di Stato del Nuovo Ordine Europeo. Un progetto che rimase in gran parte sulla carta, ma che assorbì gran parte delle scarse risorse strategiche italiane. La presenza italiana in Albania fu improntata a puro imperialismo, anche se marcato di una vena di paternalismo latino-mediterraneo che contenne l'occupazione negli alvei della normalità.

Un duro colpo al prestigio italiano venne dalla campagna di Grecia, quando il nostro Esercito, dopo aver attaccato il 28 ottobre la Grecia, fu costretto alla difensiva e nel dicembre del 1940 rischiò di essere ributtato in mare. La propaganda italiana per questa guerra si era incentrata sulla volontà di Roma di strappare alla Grecia la Ciamuria, regione a presenza albanese nonché parte della Macedonia, da annettere alla Albania. Questo progetto della Grande Albania vedeva i nazionalisti albanesi entusiasti: finalmente il loro sogno, anche se con il concorso di un paese straniero si stava avverando. In molti pensavano che aver puntato sull'Italia abbandonando Re Zogu I era stata una scelta felice. La campagna di Grecia, e la sua conclusione, ovvero l'intervento tedesco che in tre settimane sconfisse la Jugoslavia e la Grecia, pose agli albanesi molti interrogativi. Era palese che l'Italia non era la grande potenza che voleva apparire; la vera potenza era la Germania. Questo si rilevò ancor più al tavolo delle spartizioni. Alla Albania furono annessi territori, ovvero fu annesso il Cossovo, ma la Ciamuria rimase Grecia, mentre parte della Macedonia passo alla Bulgaria. Se da una parte ci si rallegrava della annessione del Cossovo dall'altra il sogno di realizzare la Grande Albania era rimandato. Negli anni 1941 –1943, la presenza italiana in Albania era tollerata: gli albanesi si erano convinti, anche per l'andamento della guerra, che avevano scelto l'alleato più debole. Nonostante gli sforzi di Roma per migliorare la situazione, ormai il prestigio italiano era molto basso. Sul finire del 1942 si hanno le prime sporadiche ribellioni e attacchi alle caserme dei Carabinieri.

Con la primavera del 1943, si sviluppa in Albania l’opposizione a Roma, con evidenti simpatie per la Germania. Nel luglio 1943, dopo la caduta del fascismo, il fronte della Resistenza, che comprende nazionalisti, zoghisti, indipendentisti, socialisti e comunisti, si rafforza, anche se non riesce a svolgere azioni armate consistenti. Da notare che i tedeschi, in Albania erano completamente assenti, tranne poche centinaia di uomini della contraerea fino all'agosto del 1943.

Con l’armistizio del 8 settembre, i tedeschi entrano in Albania, catturano gli italiani e danno vita ad un governo nazionalista che asseconda i loro scopi. Nel contempo il fronte della Resistenza si spacca e mentre i zoghisti e i monarchici rimangono neutrali, il Balli Kombetar (Fronte Nazionale) passa a collaborare. I comunisti di Hohxa danno vita alla resistenza armata, anche con l’aiuto dei soldati italiani saliti in montagna. In questa guerra i kosovari, che subito si erano alleati ai tedeschi , si distinguono per la loro intransigenza. Saranno loro che garantiranno per i tedeschi l’ordine in Albania, nel quadro generale del nazionalismo albanese e della Grande Albania. La lotta è contro le formazioni partigiane di Hohxa che riescono però a condurre azioni sempre più in profondità. Hohxa deve anche tenere in evidenza i rapporti con il potere vicino di Tito e con l’influenza dei jugoslavi nelle sue azioni. Le formazioni Cossovare sono la punta di diamante delle forze nazionaliste e si impegnano a fondo contro i partigiani. Sarà questo atteggiamento, sostenuto dalla nobiltà terriera e dalla dirigenza cossovara che peserà molto nelle decisioni del dopoguerra.

Nella conferenza di Mukje (1943), Tito si oppone decisamente a che, nella sistemazione a vittoria conseguita, il Cossovo rimanga nell’Albania. E’ uno dei contrasti che dividono Hohxa e Tito, ma in nome del socialismo non si giunse ad una rottura. Il Cossovo, peraltro, nella costituita Repubblica di Jugoslavia non ottiene lo Status di Repubblica, come invece è accaduto ad altre comunità linguistico-culturali quali i Croati, i Serbi, gli Sloveni. In seguito al Cossovo è stato concesso lo Status di provincia autonoma, sempre però nell’ambito della Repubblica di Serbia.

La costituzione del 1974 conferma ai kosovari di partecipare alle principali Istituzioni Federali es. Parlamento, Presidenza della Repubblica ed ampliava la sfera dell’autonomia : Assemblea Parlamentare, uso della lingua albanese, pubblica istituzione, sistema bancario, polizia, Corte di Giustizia e tributari, mass-media in lingua albanese. Ma non venne riconosciuto, al pari delle altre repubbliche della Federazione, il diritto alla autodeterminazione, ovvero alla possibilità di uscire dalla Federazione Jugoslava.

La morte di Tito diede il via ad una serie di rivolte verso il potere centrale.

Nel 1986 si ha la presa del potere di Slobadan Milosevic e per il Cossovo si attenua la sua fisionomia di provincia autonoma. Il 23 marzo 1989 l’assemblea della Repubblica di Serbia appone emendamenti alla costituzione che nella sostanza si traducono in restrinzioni alla autonomia alla provincia. Con la loro formale istituzione nel 1990, in pratica si ha l’abolizione dello Status della provincia autonoma, con la abolizione di tutti gli organi regionali, legislativi, esecutivi e giudiziari. Questi provvedimenti furono presi con la giustificazione di evitare ulteriori abusi da parte degli organi regionali kosovari.

La Costituzione serba, del 1990, prevedeva il Cossovo ancora come “Regione autonoma” (art. 108 e 112), con le facoltà di emanare un proprio “statuto” ed il riconoscimento di specifiche competenze nei settori culturale, dell’istruzione, sanità, della protezione sociale e dello sviluppo economico, senza, peraltro, poteri legislativi tranne in specifici casi di delega da parte del Parlamento serbo. Gli organi di autonomia regionale erano e sono tuttora il Parlamento ed il Consiglio Esecutivo. Tutto questo, non trova attuazione dalla parte albano-cossovara, in segno di protesta contro emendamenti apportati al governo serbo.

Inoltre gli albano-kosovari diedero vita (dicembre 1989) alla “Lega Democratica del Cossovo” (Lidjha Democratike e Kosoves – LDK), che rappresentava il Partito della identificazione etnica degli Albanesi. Ibrahim Rugova, un intellettuale, Presidente dell’Unione degli Scrittori, divenne il leader carismatico della nuova formazione politica. Il 17 settembre 1990 e delegati dell’Assemblea Parlamentare albano-cossovara, riunitisi clandestinamente a Kacanic, proclamarono la Costituzione della Repubblica del Cossovo, con l’intento di costruire un’etnia indipendente. AL fine di concretizzare tale iniziativa gli albano-kosovari costituiscono istituzioni “parallele”.

Nel 1991 fu tenuto in Cossovo un referendum cui partecipò l’87% degli aventi diritto (i Serbi hanno boicottato il voto) ed il 99,87% dei votanti si espresse a favore dell’adozione della Costituzione; il 19 ottobre 1991, l’Assemblea Parlamentare albano-cossovara proclamava il Cossovo Stato sovrano ed Indipendente.

La “Repubblica del Cossovo”, fatta eccezione per l’Albania (1992), non venne riconosciuta dalla Comunità Internazionale, preoccupata di salvaguardare il principio dell’inviolabilità delle frontiere sancito dalla Carta di Helsinki.

Nel maggio 1992, si svolsero nella Provincia le prime “elezioni parallele generali” che sancirono la nomina di Ibrahim Rugova alla carica di Presidente dell’autoproclamata Repubblica nonché la costituzione di un “Parlamento” albano-kosovaro. Seguì la formazione di un “Governo” guidato dal Primo Ministro Bujar Bukoshi, in esilio in Germania, costituito da esponenti dei vari Partiti rappresentativi della comunità albano-cossovara.



Una provincia sfruttata.



Il Cossovo è povero ed aveva, fino a metà degli anni ottanta, una disoccupazione diffusa; una struttura sociale arretrata, con ancora la presenza di famiglie patriarcali, che nel 1981 aumentavano a 9.000 con circa 15 membri e 300 con altri 20 membri, ed una popolazione per 2/3 rurale.

La regione, peraltro è ricca di minerali e di risorse energetiche, tra le più fertili del sud della Jugoslavia; esistono adeguate infrastrutture per uno sviluppo costante ed adeguato.

Il territorio è ricco di metalli non ferrosi, come bauxite, piombo, zinco e nichelio. Le risorse di bauxite ad esempio sono stimate in 9,7 milioni di tonnellate, a fronte di una produzione di 110-120 tonnellate annua. Le risorse di piombo e di zinco sono circa 53 milioni di tonnellate anche se la produzione è in declino. Le risorse di nichel sono circa 24 milioni di tonnellate. Le risorse energetiche sono la lignite e soprattutto la produzione di energia elettrica.

L’agricoltura è la risorsa naturale più importate. Il 53,6% del territorio (1.088.000 ha.) pari a 590.000 ha è dedicato all’agricoltura, di cui il 70% è coltivabile ed il restante 30% a pascolo. Le foreste sono sul 41,8% del territorio, pari a 447,456 ha. La densità della popolazione è, peraltro, un fattore frenante in quanto il rapporto tra ha e persona nel Cossovo è di 0,25, mentre nel resto d’Europa è dello 0,25(?).

L’industria presenta miniere di carbone, due centrali elettriche con una capacità di 79Mw, ed altri impianti minori.

Il potenziale economico del Cossovo non è stato a fondo sfruttato in quanto il modello di sviluppo imposto da Belgrado ne ha limitato lo sviluppo stesso. Le risorse del Cossovo, in pratica venivano destinate al resto della Federazione, con lo sviluppo della sola industria di base a scapito della trasformazione strutturale e tecnologica con sviluppo della media e piccola industria e del turismo. Questo sta a significare che mentre il Cossovo con i suoi prodotti (metallurgici ed energetici) contribuiva a livello nazionale alla creazione del 45% del prodotto industriale, del 35% dei posti di lavoro, e del 60% del capitale fisso, in effetti la sua partecipazione al P:I.L. era solo del 2%.

Questa situazione fece si che nella etnia albano-cossovara fosse persistente la certezza che il resto della Federazione sfruttava la Provincia. Il Kossovo dava molto, ma riceveva poco

Dopo il 1990, la situazione si è ulteriormente aggravata e si può dire che la sovranità economica del Cossovo è scomparsa e quindi si è avuta la riduzione delle attività produttive ed industriali, il blocco degli investimenti, la cattiva gestione delle imprese pubbliche, la perdita dei mercati monetari.

In tabella I gli indicatori di sviluppo sociale del Cossovo in relazione a quelli della Repubblica Federale di Jugoslavia.



La etnia albano-cossovara e la popolazione del Kossovo



Il Cossovo ha una precisa identità etnica. Secondo le stime del Provincial Istitut of Statistics di Prestina, i cui dati sono stati rilevati dall’UNICEF, nel 1998 il Cossovo aveva una popolazione di 2.150.000, di cui due milioni, pari al 90%, si dichiarava di nazionalità albanese. Su queste cifre si è molto discusso, in quanto non tutti le accettano. Secondo l’ultimo censimento ufficiale della Repubblica Federale di Jugoslavia, del 1981, nel Cossovo, la popolazione era di 1.584.440 abitanti, di cui 1.226.736 albanesi, pari al 77,4%, con un densità di 145,3 abitanti per Kmq.

I dati del 1991 non sono disponibili o non sono completi, avendo l’etnia albanese di tutto il territorio federale jugoslavo, boicottato il censimento, denunciando le scarse condizioni per una corretta realizzazione. In ogni caso tutti gli osservatori concordano nell’individuare in circa 1.800.000 albanesi gli abitanti del Cossovo.

Se vogliamo vedere i gruppi etnici, il 90% è il gruppo etnico albanese, il 7% quello serbo, lo 0,5% montenegrino, il restante 2,5% di altre etnie, tra cui una consistente colonia turca.

I serbi nel Cossovo, secondo il censimento del 1981 erano 209.000; 194.000 nel 1991, nel 1997 180.000, mentre attualmente sono 175.000. Questa popolazione serba si divide in popolazione indigena serba, serbi residenti per motivi di lavoro prevalentemente forze di sicurezza e forze armate, rifugiati provenienti dalla Croazia e dalla Bosnia Erzegovina. La popolazione montenegrina nel 1991 era di circa 20.365 abitanti, nel 1993 era scesa a 10.000 persone.

I due gruppi etnici albanese e serbo, dominanti nel Cossovo sono diversi per religione, lingua ed alfabeto.

Gli albano-kosovari, sono di religione prevalentemente musulmana; la lingua è un idioma simile a quella utilizzata nel nord dell’Albania. Era usanza fino ai primi degli anni ’90 che gli albano-kosovari parlassero il serbo, almeno nelle città del Cossovo. Questa usanza è decaduta con la separazione totale del sistema scolastico avvenuto dopo gli anni ’90, un’intera generazione di albano-kosovari ha frequentato la scuola senza avere avuto l’opportunità di studiare la lingua serba.

I serbi sono di religione cristiano-ortodossa, usano la lingua serba ed usano l’alfabeto cirillico; da notare che l’alfabeto latino era usato fino alla disgregazione della Repubblica Federale di Jugoslavia.

L’etnia cossovara è vitale. L’età media della popolazione di questa etnia è sui 24 anni; oltre il 45% è sotto l’età di 18 anni, ed il 70% sotto quella dei trenta. Nel Cossovo si registra il tasso di mortalità più basso d’Europa, pari al 23,1%, a cui fa riscontro il più alto di mortalità infantile che è del 27,8% nati vivi.

Il censimento nel 1981 rilevava che la donna dedita ai lavori agrari ha in media 6,7 figli ed è interessante leggere la tabella II con le altre percentuali. Il tasso di occupazione della donna in Cossovo (censimento del 1981) era del 15% del totale degli albano-kosovari occupati; il tasso di analfabetizzazione femminile è del 26,3%, e supera il 35% nelle donne col oltre 35 anni. Da sottolineare che il rapporto tra il tasso di crescita della popolazione albano-cossovara e quella serba è di 16 a 1.

Di conseguenza si può stimare che con l’attuale tasso di crescita e quindi l’attuale progressione, nel 2020 la popolazione serba diventerà una minoranza. Nell’ambito della Serbia, la distribuzione degli albanesi in genere, nella regione balcanica è data dalla tabella II, e questa crescita della popolazione e albanese e albano-cossovara è un altro motivo di instabilità della regione.



Le prime minacce: la situazione sanitaria



L’aspetto sanitario della popolazione presenta dati interessanti; nel 1989 nella regione erano operanti 57 ospedali e cliniche. Il personale sanitario era composto da 8.547 unità, di cui 1897 medici, 414 dentisti, e 192 farmacisti. Il numero dei posti letto/ospedale era di 3,1 per mille abitanti; un dato estremamente significativo se lo si pone in relazione a quello della Serbia, che era più del doppio 6,1.

Dal 1989 è operante nel Cossovo la cosiddetta “Serbizzazione” politica voluta da Belgrado e volta a equilibrare il rapporto etnico tra serbi e kosovari nella regione. In questa ottica il personale medico sanitario di etnia albanese che operava nelle strutture sanitarie pubbliche venne via via sostituito da personale serbo.

Non poteva non esserci la reazione cossovara : infatti gli albanesi attuarono il boicottaggio del sistema sanitario nazionale e , di pari passo, fu avviata la creazione di una parallela struttura sanitaria autonoma.

Tale situazione, nonostante l’impegno, ha determinato una inadeguatezza delle infrastrutture e della strumentazione disponibile, come conseguenza si è osservato un aumento, nei primi anni ’90 delle malattie, soprattutto infantili, che potrebbero sfociare in un diffondersi di epidemie. La situazione sanitaria si è ulteriormente aggravata in questi ultimi anni. Si è calcolato che un terzo della popolazione cossovara sia colpita da scabbia e/o tubercolosi; inoltre sono in aumento i focolai di tubercolosi e di molte altre malattie infettive; ancor più allarmante è il dato che molte malattie, che si erano considerate debellate, (tetano, poliomelite, febbre emorragica) sono ricomparse.

Sono stati registrati casi di epatite di tipo B. La situazione è sempre più precaria, soprattutto tra gli sfollati e i profughi, ove si considera l’alto tasso di promiscuità, la carenza di acqua potabile, l’assenza di medicine e generi alimentari, soprattutto tra coloro che si sono rifugiati in aree impervie.

In pratica la situazione sanitaria è estremamente precaria, con la ridotta capacità di posti letto, che in virtù delle due strutture sanitarie parallele esistenti è scesa (dato 1998) a 2,6 posti letto per 1.000 abitanti.





Il dramma della etnia albano-cossovara, di quella serbo-cossovara e la Comunità internazionale.



Abbiamo visto sopra le origini recenti del conflitto tra le autorità di Belgrado e la popolazione del Cossovo.. Gli ultimi avvenimenti (1998-1999) sono tali che portano a considerare realistica l’idea che detta etnia (albano-cossovara) possa essere eliminata o dispersa. La Comunità internazionale non poteva di fronte a questo rimanere inerte.

Il 6 ottobre 1998 il Consiglio dell’ONU aveva approvato la Risoluzione 1199 con la quale chiedeva alla Jugoslavia di cessare ogni azione condotta dalle sue forze di sicurezza contro la popolazione civile e di ordinare il ritiro delle unità di sicurezza utilizzate nella repressione, per rendere possibile un controllo internazionale del Cossovo.

Il Consiglio decideva di considerare “una azione ulteriore e misure aggiuntive”. Non erano specificati i termini di queste misure, in quanto se si fosse fatto indicando un intervento armato, la Russia e la Cina avrebbero opposto il loro voto.

Questa risoluzione faceva seguito ad una precisa azione messa in atto da parte dell’Esercito e della popolazione jugoslava (circa 65.000 uomini) che si era sviluppata per riprendere il controllo di aree controllate dai partigiani di etnia albanese organizzati nell’Armata di liberazione del Cossovo. Questa azione inviata nel luglio del 1998 si protrasse per tutta l’estate fino a settembre e causò la morte di un migliaio di civili kosovari (morti spesso violente con gole tagliate, colpi di pistola alla nuca, villaggi dati alle fiamme). Come se tutto ciò non bastasse, si calcola che oltre 300.000 persone, per lo più donne, vecchi e bambini, sono stati sradicati dalle loro case e vaganti in cerca di sicurezza. L’inverno 1998/99 fu terribile per la popolazione. Secondo dati ONU, su 25.000 abitazioni controllate da funzionari dell’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati, il 60% risultarono distrutte o gravemente danneggiate, ridotte a ruderi, danneggiati, con finestre chiuse con teloni di plastica.

Nel gennaio ’99 si ha l’eccidio di Racak, (45 civili recessi con un colpo alla nuca), a cui seguì un'altra strage di 23 kosovari trovati in un cortile in pozzi di sangue e letame. Ciò a significare che la popolazione Cossovara era in balia degli eventi. Falliti gli accordi di Rambouillet ( ) in cui gli albano kosovari erano lacerati dall’accettazione dell’autonomia con la rinuncia all’indipendenza, la parola passò alla guerra. Il 25 marzo 1999, falliti tutti gli ultimi tentativi, la Nato, con il consenso dei 19 paesi membri, decise di dare all’intervento militare, con l’obiettivo di salvare il salvabile in Cossovo.



Un genocidio in atto?



Secondo l’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati, il numero dei kosovari che hanno abbandonato la regione, dopo l’inizio della crisi nel marzo dello scorso anno fino alla metà di aprile 1999 era di 630.000 persone. Queste erano così ripartite.

Albania 310.000, delle quali 19 giunte prima dello scoppio della guerra; in Fyron (Macedonia) 119.400, delle quali 16.000 prima del 24 marzo 1999; in Montenegro 61.000, delle quali 25.000 prima del 24 marzo ultimo scorso. Negli altri paesi si erano rifugiate 140.000 persone tra il marzo 1998 e il marzo 1999, infine 50.000 persone si sono rifugiate in Serbia. I dati dell’Alto Commissariato non comprendono il numero dei kosovari costretti ad abbandonare le loro case accolti presso parenti ed amici o tuttora vaganti nella regione, in cerca di un rifugio temporaneo che li metta al riparo dalle violenze dei para-militari serbi. Di fronte a questa situazione il 24 aprile 1999 la Commissione dell’ONU per la tutela dei diritti umani, con una risoluzione approvata con 46 voti a favore e uno contrario (quello della Russia) e 6 astensioni, ha manifestato “grave preoccupazione per la pulizia etnica ed i crimini di guerra contro l’umanità perpretati in Cossovo.

La situazione a metà maggio, nonostante tutto, non è migliorata, anzi, per la popolazione cossovara è decisamente peggiorata.

Secondo fonti della Croce Rossa Internazionale i profughi dal Cossovo alla data del 1 maggio 1999 sono circa 969.000. Di questi, 50 mila ( di cui 40.000 di etnia serba)in Serbia; 64 mila in Montenegro; 148 mila ( di cui 17.000 già trasferiti in vari paesi europei) in Macedonia ( Fyrom); 35 Mila ( di cui 24.000 nell'area di Serajevo – sostenuti dalle forze Nato ivi presenti) in Bosnia Erzegovina; 10 Milain Bosnia Repubblica Srpska; 20 mila in Croazia; 8 Mila in Slovenia; 3 mila in Bulgaria; 4 mila in Turchia, circa 175 Mila nella Unione Europea e 367 Mila in Albania.

Da una parte le autorità di Belgrado ed i diplomatici jugoslavi occidentali all’estero continuano a negare che in Cossovo fosse in atto una pulizia etnica ad opera dell’Esercito e delle unità para-militari serbe; si asserisce inoltre, che la fuga dei kosovari albanesi verso la Macedonia, l’Albania, ed il Montenegro era causata dai bombardamenti Nato.

In occidente, e soprattutto l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati, si pensa, invece, a raccogliere prove documentate di eccidi e di fosse comuni di civili ad opera dei serbi. Gli osservatori, peraltro, sostengono che la strategia di Belgrado sia quella di ridurre in poche migliaia i kosovari albanesi residenti sul territorio della provincia “Cossovo” mantenendola sotto la propria sovranità. Di conseguenza, le autorità jugoslave mirano a subire i bombardamenti della Nato fino a quando il programma di pulizia etnica nel Cossovo sarà portato a termine; attuato ciò, ammorbidita la propria intransigenza attraverso la mediazione dell’ONU e della Russia a contrattare con la Nato la cessazione delle ostilità.

Sia in questa ipotesi, sia nell’altra egualmente verosimile, ovvero del rientro in Cossovo dei rifugiati, occorre che la Comunità Internazionale predisponga le misure per “alloggiare e far vivere” questi due milioni di persone.



La Comunità Internazionale di fronte al dramma umanitario ha reagito mettendo in atto operazioni il cui scopo è quello di dare immediata assistenza ai rifugiati ed i profughi cossovari, in secondo tempo creare le promesse per ripristinare la normalità nella regione.

La Risoluzione 1203 del 24 ottobre 1998 e con gli accordi di Belgrado del 16 ottobre 1998, firmati dal Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Federale di Jugoslavia e del Rappresentante della Organizzazione della Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OCSE), e gli accordi firmati il 15 ottobre 1998 dal Capo di Stato Maggiore della Difesa della Repubblica Federale di Jugoslavia ed il Comandante supremo delle Forze Nato in Europa (Saceur) il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha autorizzato le missioni per la verifica del rispetto delle risoluzioni 1160 (del 31 marzo 1998) e 1199 (23 settembre 1998). Queste risoluzioni, come noto, sottolineano la volontà del Consiglio di Sicurezza di agevolare una risoluzione pacifica del problema del Cossovo che tenesse conto della integrità della Repubblica Federale di Jugoslavia e della esigenza di autodeterminazione della etnia albano-cossovara. Con tali richiami si era dato l’ordine di porre termine ad ogni conflitto e di agevolare al massimo il ritorno dei rifugiati nelle loro case. Con questo l’OCSE mise in atto una missione di verifica in Cossovo, che prese il nome di Missione di Verifica in Cossovo (KVM). La Nato, in base a questi accordi formulò un piano per coordinare il sostegno agli uomini dell’OCSE. Questi agivano in sicurezza, godendo dello “Status Diplomatico” e la Federazione Jugoslava si incaricò di garantire la loro missione. Nella ipotesi che gli uomini OSCE dovessero essere, per una qualsiasi evenienza, recuperati, la Nato mise in atto un piano per il loro recupero. Nel momento in cui si sarebbe verificata l’ipotesi di un recupero degli Verificatori, la Nato doveva disporre di forze. Per questa ragione furono inviate in Macedonia forze, in cui erano rappresentati tutti i paesi della Alleanza Atlantica, che attualmente, rappresentano la struttura di supporto ed assistenza ai rifugiati kosovari in macedonia, paese che, altrimenti non sarebbe in grado di assisterli o accoglierli. Con il 20 marzo tutta l’operazione ebbe termine, e gli Osservatori raggiunsero la Macedonia, per rientrare nelle sedi nazionali. Una parte dei di questi osservatori, peraltro, è rimasta in Macedonia, come assistenti dell’Alto Commissariato per l’ONU ai rifugiati con compiti, dati la loro esperienza, di anagrafe ed assistenza ai profughi kosovari.

E’ indubbio che qualora la situazione si sbloccasse, ed occorresse una presenza ONU nel Cossovo, l’attuazione di questa missione potrebbe essere di grande aiuto per un primo tentativo di riorganizzazione nella regione.

Altra operazione in atto, per assistenza ai rifugiati, è la “Allied Harbour”. Tale operazione consiste nel dispiegamento di una forza internazionale di circa 10.000 uomini da schierare in Albania per fornire solidarietà ed assistenza ai profughi del Cossovo, dando sostegno all’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati, alle agenzie umanitarie, alle Organizzazioni Non Governative (ONG), alle autorità civili e militari albanesi impegnate nella emergenza cossovara. Questa missione è estremamente vitale, in quanto in Albania l’ordine pubblico è ultimamente gravemente compromesso e la criminalità, sia singola che organizzata gode di ampio potere economico, appoggi e permissività oltre il limite di guardia, aggravata anche dal fatto che, date le condizioni di miseria della popolazione, la rapina, il furto ed altre forme di delinquenza comune sono ormai assurte a regola per sopravvivere. Questa operazione, la cui forza è denominata Albania Force (Afor) ha attivato numerosi campi di accoglienza, che riportiamo in tabella IV per i campi gestiti direttamente dall’Italia e in tabella V quelli dalle altre nazioni.

E’ il caso di sottolineare che l’Italia, oltre ad essere impegnata in Macedonia, ed anche nella SFOR in Bosnia Erzegovina) è presente massicciamente anche in questa operazione, con uomini e mezzi delle nostre Forze Armate.

Oltre a questa presenza, che è la più numerosa presenza di soldati italiani fuori dal territorio nazionale, il nostro paese ha dato avvio alla cosiddetta operazione Arcobaleno.

Arcobaleno si propone di dare assistenza immediata ed aiuto ad oltre 25.000 profughi e successivamente passarli all’Alto Commissariato dell'Onu per i Rifugiati (UNHCR.)

E’ un impegno notevole che vede impegnato in prima linea tutto il nostro volontariato nelle sue varie organizzazioni. Mettendo in atto accordi in essere., si è costituita la DIE, Delegazione Italiana Esperti al fine di individuare esperti autorevoli in loco al fine di far giungere nel posto ferito al momento giusto quanto necessario ai rifugiati; nel contempo dare tutto il supporto alle ONG, che operano indipendentemente in Albania. L’Italia ha messo a disposizione un bilancio di 65 mld, come contributo governativo, 44 mld come contributo del Ministro degli Esteri, e 95 mld a mezzo di attività promozionali, come donazioni, iniziative di istituti, enti, fondazioni ed associazioni.

Tutte queste operazioni tendono ad alleviare le sofferenze di oltre 1.000.000 di kosovari che attualmente sono "in carico" alla Comunità Internazionale.

Ancor più grave è l'aspetto riferito alla criminalità organizzata che, approfittando della tragica situazione, non esitano ad organizzare viaggi della speranza o attraversamento clandestino dell'Adriatico per arrivare in Italia e quindi avere qualche possibilità in più per i rifugiati.

A questo coacervo di problemi non può aggiungersi alla grossa difficoltà in atto dell'afflusso degli aiuti. Il moto di simpatia in atto verso la popolazione cossovara a permesso di raccogliere notevoli aiuti; ma questi non possono giungere tempestivamente in Albania o lì dove c’è bisogno per via della scarsissima capacità di carico dei porti albanesi. Il principale dei quali, Durazzo, non può smistare al giorno che 20/25 containers, quando la necessità sarebbe di 100/150/ giorno. Da qui l'intasamento nei porti di imbarco in Italia e in Europa e nella stessa Durazzo. E' lo stesso problema che dovette affrontare l'Italia nel 1939, al momento della invasione dell'Albania e nel dicembre 1940, quando vi era da sostenere il traballante fronte albano-greco.



Raggiunto faticosamente un accordo, il 12 giugno 1999 le truppe Nato in Macedonia, presero a muovere verso il Cossovo. La regione era stata precedentemente divisa in cinque zone. Inglesi e francesi dovevano muovere per primi verso Pristina, successivamente italiani e tedeschi dovevano scavalcare le posizioni raggiunte e raggiungere i distretti settentrionali e occidentali. Agli italiani fu riservato il distretto di Peç, distretto che comprende i quattro santuari serbi di religione ortodossa.



L’operazione nel suo complesso si è svolta senza incidenti e in poco tempo le truppe della Nato hanno preso il pieno controllo di tutto il territorio del Cossovo. E’ pur vero che la Russia, con una sua iniziativa, si è ritagliata una fetta di territorio sotto la sua diretta responsbailità, m è un episodio marginale nel quadro dei rapporti tra gli Stati.



Ora rimane il difficile: ovvero gestire il post guerra. In pratica il Cossovo è un protettorato internazionale. L’intervento ella Nato ha circoscritto l’iniziativa di Belgrado e, pare, tutti i focolai di conflittualità sono sotto controllo. In Bosnia la presenza internazionale garantisce tranquillità. In Cossovo, passati i primi momenti, tutto è avviato alla tranquillità, anche se una tranquillità balcanica. Infatti alla pulizia etnica contro gli albano-cossovari si è assistito ad una contro pulizia etnica contro i serbo-cossovari. Questa contro-pulizia etnica è stata stroncata dalle forze Natoe limitata a pochi casi di vendetta personale. Occorre peraltro dire che alla prova dei fatti, nonostante le informazioni avute, la pulizia etnica contro i albano-cossovari si è rilevata sull’ordine delle centinaia di unità. Le temute fosse comuni sull’ordine delle migliaia di mori ciascuna non si sono trovate. I casi sono due o i serbi sono stati frenati dalla minaccia di punizioni internazionali e si sono astenuti dai loro propositi, oppure la questione della pulizia etnica è stata gonfiata ad arte da parte dell’Occidente.

UN obbiettivo è stato raggiunto: la conflittualità nei è contenuto; un altro obbiettivo ora tocca perseguire: il contenimento della criminalità organizzata. Questo elemento è forse il dato più inquietante. Si spera che l’intervento nei balcani, organizzato per portare la pace e la tranquillità, non si risolva in una sorta di protezione generale a bande criminali senza scrupoli, dedite al traffico internazionale di armi, droga e prostituzione.

L’Italia, allo stato attuale è il più esposto a questa minaccia. Le nostre mafie collaborano già da tempo con quelle balcaniche, che si stanno lentamente ma stabilmente installandosi nel nostro territorio, mentre oltre Adriatico si stanno “de facto” creando anche con il nostro concorso, miriade di statarelli etico-mafiosi. In pratica i virus balcanici si stanno annidandosi nella nostra penisola, come eredità diretta di questa guerra.

Ora, per aiutare e salvare le minoranza serbo- bisniache, serbo-cossovare e albani cossovare dalla pulizia etnica ci troviamo di fronte a problemi che non volevamo nemmeno immaginare e che dobiao affrontare, problemi che ci travolgeranno se non la smettiamo di affrontarli con quella patina di finto paternalismo, buonismo e assistenzialismo, che ci può portare, come è stato dimostrato, solo in un vicolo cieco.

martedì 17 maggio 2011

Pio Sodalizio dei Piceni a Roma

Festa di Santa Maria di Loreto dè i Marchigiani
e celebrazione del beato Giovanni Paolo II


Mercoledì 18 maggio 2011
Chiesa Basilica di San Salvatore in Lauro
Programma:
Ore 17,45 . Saluto di Giorgio Bizzarri, Presidente del Pio Sodalizio dei Piceni
Ore 18.00. Solenne Messa presieduta dal Cardinale Angelo Comastri
Ore 19.00 Concerto del Maestro Andrea Buccarella.

La Chiesa di proprietà del Pio Sodalizio dei Piceni denominata per un antico retaggio dei luoghi San Salvatore in Lauro è in verità intitolata alla Madonna di Loreto, patrona della nostra Regione. Il 10 dicembre è ricordata la Traslazione della Santa Casa e tutti i Sodali festeggiano tale ricorrenza, tanto che è tale data oramai considerata Festa istituzionale del Pio Sodalizio dei Piceni. Nel mese di maggio, mese della tradizione mariana, è sembrato opportuno al Consiglio di Amministrazione, a partire dal 2009, istituire una festa dedicata alla madonna di Loreto per riunire in spirito di fratellanza tutti i marchigiani a Roma, sodali e non sodali, nella nostra chiesa e per confermare la devozione alla nostra patrona.

venerdì 6 maggio 2011

IL PASSATO CHE NON PASSA

"Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un
popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo.

Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale.

La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto.
Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza,
offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.
Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare."

Elsa Morante

Qualunque cosa abbiate pensato, il testo, del 1945, si riferisce a Mussolini...