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giovedì 31 dicembre 2009

Ricerche e Soggeti per tesi di Laurea

Nota
La Biblioteca dispone di sufficente documetazione per svolgere la ricerca o un tsi di laurea triennale sul tema sotto riportato.
Testo base di riferimento: Gerhard Schreuber, I Militari Italiani Internati nei campi di cncentramento del terzo reich 1943, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio Storico, 1992
INTERNATI
Militari Italiani in Germania
dall'8 settembre 1943 all'8 maggio 1945


di Massimo Coltrinari
(massimo.coltrinari@uniroma1.it)


(relazione di di sintesi per il Convegno Esercito e Popoli 1999, Roma)
Il tema che mi è stato assegnato per questo incontro riguarda la prigionia, nella sua forma di internamento, dei militari italiani all'indomani della firma dell'armistizio con le potenze Alleate da parte dell'Italia.
Le vicende sono note: Vittorio Emanuele III, dopo aver colto l'occasione del voto contrario a Mussolini del Gran Consiglio del Fascismo, di esonerare dalle responsbailità di governo Mussolini, affidò al Meresciallo badoglio l'incarico di formare un governo che trovasse una soluzione accettabile per uscire dalla guerra dichiarata il 10 giugno 1940 alla Francia ed all'Inghilterra e dalla stragrande maggioranza degli italiani, nell'estate del 1943, considerata ormai perduta.
Il Maresciallo Badoglio, dopo tentativi più o meno infruttuosi, risce a prendere contatti con gli Alleati e a gingere alla firma di un Armnistizio tra l'Italia e le potenze anglosassoni. Questo Armistizio viene siglato il 3 settembre 1943 in un uliveto nella piana di Cassibile.
La notizia di tale firma viene data dagli Alleati, all'insaputa di badoglio la sera dell'8 settembre, con lo scopo primario di agevolare lo sbarco nel golfo di Salerno previsto nella notte tra l'8 settembre ed il 9. Il governo badoglio non riesce a padroneggiare la situazione e praticamente lascia le Forze Armate in balia di se stesse. La pronta reazione tedesca, agevolata dal fatto che Berlino, dalla caduta di Mussolini, aveva sempre piuù diffidato dell'atteggiamento italiano, nel breve volgere di qualche giorno disarma ed annienta tutte le forze armate italiane sia in Italia che all'estero, determinando l'inizio della tragica odissea degli Internati Militari Italiani in Germania

La Consistenza delgi Internati Militari Italiani

Secondo studi recenti[1] l'Italia schierava, alla data dell'armistizio oltre 1 milione e mezzo di uomini; complessivamente ne sono stati disarmati 1006730, mentre i rimanenti 493.000 sono riuscite a sfuggire alla cattura tedesca, o a raggiungere la montagna, o le proprie case oppure, se all'estero, i movimenti di resistenza già attivi contro la coalizione antihitleriana.

Secondo le stesse fonti i 10076780 militari italiani catturati dai tedesci, sono stati presi dai seguenti reparti germanici: Comando gruppo Armate B, Rommel, in Italia, 415.682, Comando 19° Armata, in Francia, 58722, Comando Sud Italia, Kesserling, 102.342, Comdando gruppo Armate Est, Grecia ed Egeo, 265.000 e Comando 2a Armata Corazzata, Balcani, 164.986.

La stessa fonte offre il seguente quadro generale di situazione sui militari italiaani internati in Geermania:
- militari italiani alle armi, oltre 1.500.000
- militari italiani sfuggiti alla cattura, 493.000
- militari italianicatturati, 1006.780
- militari italia sfuggiti ai tedeschi dopo la cattura, 190.000
- militari italiani internati, 725.000
- militari italiani che hanno aderito alla RSI dopo l'ingresso nei lager, 114.5oo
- militari italianiconsiderati prigionieri ed inviatial fronte dell'est come ausiliari, 12000
- militari italiani internati nei lagr del III Reich e territori occupato, 598.000

Da questo riepilogo emerge che il 19% ( 190.000) del totale di 1.006730 militari disarmati sono sfuggiti ai tedeschi o col loro consenso o per abilità personale, mentre circa il 20% hanno collaborato con i tedeschi sia la momento del disarmo (90.000) sia con le successive adesioni dall'ottobre 1943 al gennaio 1944 (114.500), cifra che rappresenta il 16% degli italiani internati nei campi di concentramento (725.000).

I dati che sono stati riuportati presentano discrepanze dell'ordine dell1% e quindi dovrebbero corrispondere o essere quanto meno piuttosto vicine alla relatà storica.

[1] Schreiber G., I Militari Italiani Internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943 -1945, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio Storico, Roma, 1992

mercoledì 30 dicembre 2009

Massimo Coltrinari
(ricerca23@libero.it)


La fine della guerra e l’avvio della ricostruzione.
Il ritorno a casa: aspetti quantitativi e qualitativi



Il tema del ritorno

Il tema del ritorno che qui affrontiamo è legato, in modo classico, alla figura mitica di Ulisse. Dopo la guerra, vinta, oltre dieci anni di peripezie per arrivare a casa; e qui trova una situazione non certo facile, che richiede ulteriori impegni e cimenti per raggiungere sostanzialmente quella pace, quella serenità, quella normalità, che era stata lasciata oltre venti anni prima. Alla figura poliedrica di Ulisse, alla sua “odissea, a questa figura poliedrica ha fatto e fa riferimento il memorialismo dell’ultimo conflitto mondiale, un memorialismo che non è basato sul marciare dei soldati, sulle grandi offensive, sulle vittorie sul campo, ma sempre originante da tragedie, da sconfitte, da situazioni tragiche in cui colui che vuole ritornare a casa, il nostro “odisseo”, è protagonista.
Con la fine della guerra inizia la reale possibilità del ritorno a casa. E’ il momento in cui si materializza l’ultimo segmento delle odissee in corso, almeno di coloro che non sono Caduti o morti e che ancora nutrono la speranza di rivedere la loro casa. In questo sforzo il ritorno a casa di tutti coloro che sono stati travolti dalla guerra, rappresenta un momento fondamentale e qualificante. Significa ripristinare la normale vita familiare, dare una dimensione utile alla famiglia, in cui, dopo le paure, gli orrori, i lutti e le crudeltà della guerra, si ricompongono gli affetti e la voglia di vivre ed affrontare il futuro.

Non è chiaro quando è finita la guerra perché le date che si citano e che sono sui libri di storia sono solo date di riferimento. Abbiano dedicato un ampio saggio a questo aspetto[1] cercando di individuare il termine ultimo del secondo conflitto mondiale; per brevità qui accettiamo il dato che in Italia la guerra è finita il 25 aprile 1945 e in Europa l’8 maggio dello stesso anno,.[2] Ma in realtà giuridicamente è finita il 10 Febbraio 1947 con la firma del Trattato di Pace di Parigi.
Ma se è difficile individuare quando è finita, ancora più difficile stabilire quando è cominciata.[3] Per brevità noi italiani vediamo nel 10 giugno 1940 l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, data della dichiarazione di guerra alla Gran Bretagna ed alla Francia. Ma è un approccio che stiamo abbandonando a favore di uno più ampio.
In pratica l’Italia è stata in guerra dal 1935, al momento della dichiarazione di guerra all’Etiopia, e poi ininterrottamente, fino al 1945, al termine delle quali, essendo stati sconfitti su tutti i fronti, gli italiani sono “ritornati a casa”, qualunque fosse il loro ruolo e compito.
Questo ampio arco di tempo, due lustri, può essere diviso in due parti: le guerre italiane del Duce, capo del Fascismo, che sono di conquista, di imperio, che ha portato l’Italia ad essere il campo di battaglia fra Alleati e la Coalizione Hitleriana, dopo il nostro Armistizio dell’8 settembre 1943 ( la campagna d’Italia) e la guerra di liberazione. Le Guerre Italiane del Duce si possono dividere in due parti: quelle facili fino al 1940 e quelle difficili fino al 1943, in un arco che va appunto dall’Etiopia all’armistizio con questa cadenza:1936: La Guerra d’Etiopia. L’Impero;1936: La Guerra di Spagna; 1939: L’invasione dell’Albania; 1940: La Guerra parallela, che poi diviene la Guerra Subalterna 1940: La Guerra alla Francia; 1940: La Guerra alla Gran Bretagna;1940: La Guerra alla Grecia;1941: La Guerra alla Jugoslavia;1941: La Guerra alla URSS, che aveva un accordo di non aggressione con la Germania fino al 21 giugno 1941; 1941: La Guerra agli Stati Uniti. Queste le nazioni principali: in più vi sono tutti i loro alleati. In pratica l’11 dicembre 1941 eravamo in guerra con tutto il mondo, tranne pochi paesi neutrali. Con l’8 settembre i nostri nemici divennero non nemici, mentre i nostri alleati, divennero feroci nemici. Quindi dal 8 settembre 1943 L’Italia e gli Italiani erano nemici/ex nemici, alleati/ex alleati, con tutti, in pratica in posizione di inferiorità morale e materiale con tutti.

Nel momento in cui la guerra finisce inizia per tutti il desiderio di ritornare a casa, di ritornare alla normalità, dopo 10 anni di un crescendo guerresco ed imperiale che ha portato solo lutti, morti e distruzioni.

Si può dare un profilo qualitativo e quantitativo di questo ritorno, individuando le categorie di italiani coinvolti tenendo presente il ciclo che abbiamo descritto delle Guerre Italiane: dal 1935 al 1945, suddividendo il “ritorno” in due periodi

1935 1943 – Le Guerre Italiane del Duce, capo del fascismo, con un “ritorno” che colpisce, da una parte, le comunità italiane ed i cittadini italiani espulsi dai territori conquistati ed invasi, anche se presenti da prima della guerra, da una parte; e dall’altra i soldati che sono caduti in mano al nemico, cioè i prigionieri.
1935-1945 - La Guerra di Liberazione, intesa come un tutto uno nella quale il popolo italiano su più “fronti” ha combattuto il nazifascismo e la coalizione hitleriana per avere la possibilità di scegliere il suo futuro. La Guerra di Liberazione 1943 -1945 è, quindi, concepita come una guerra su cinque fronti, che sono: Il I Fronte: il Sud, con il Governo Regio che rappresenta la continuità dello Stato Italiano, con la sua partecipazione alla Campagna d’Italia degli Alleati con il I Raggruppamento Motorizzato, il Corpo Italiano di Liberazione, i Gruppi di Combattimento, le Divisioni Ausiliare. Il II Fronte: il Nord, con il movimento partigiano guidato dal CLNAI, Il III Fronte: l’Internamento in Germania, ovvero la Resistenza del filo spinato, in cui si inserisce il contesto degli italiani oggetto di internamento razziale, politico, sociale, etnico, di sicurezza, occasionale. Il IV Fronte: La Resistenza dei militari italiani all’estero, con la partecipazione ai Movimenti di Liberazione Nazionali.
Il V Fronte: la prigionia di guerra, la partecipazione indiretta alla guerra totale con le forme di cooperazione e cobelligeranza. (Italian Service Units per gli USA; BTU per la Gran Bretagna).
Senza dimenticare il ritorno del Fronte Nemico: la coalizione Hitleriana, di cui la Repubblica Sociale Italiana è una componente, dove si avvierà anche qui “il ritorno” a casa con il reinserimento nel tessuto sociale degli ex aderenti alla Alleanza Hitleriana inquadrati nell’esercito tedesco sotto varie forme, ai volontari in Germania per lavoro, ed ai ex appartenenti alla RSI.





L’Organizzazione per l’Assistenza ai Reduci 1944-1947

Con il trattato di pace firmato il 10 febbraio 1947 a Parigi l’Italia chiudeva definitivamente la difficile pagina aperta nel 1935 con la politica di conquista e rafforzata con la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940 Il 25 aprile 1945, , hanno termine i combattimenti e praticamente la guerra con la sconfitta dell’Esercito tedesco in Italia e la dissoluzione della R:S.I. e del suo apparato politico-amministrativo. Da quella data si cerca, fra difficoltà di ogni sorta, di riprendere, al nord, una vita normale, innestandosi nelle problematiche delle regioni centrali e meridionali già liberate. Una situazione che rimarrà incerta dal punto di vista della sovranità nazionale fino al citato trattato di Pace del 10 febbraio 1947. In questo ampio contesto instabile, si cerca, come Stato di dare vita ad una organizzazione per l’Assistenza a chi ritorna e chi vuole ritornare alla propria famiglia.
Sin dai primi mesi del 1944, il Governo del Sud, in relazione al problema dei profughi civili, e poi dei prigionieri di guerra, aveva istituito:
L’Alto Commissariato per i Prigionieri di Guerra, con decreto-legge 6 aprile 1944, che doveva sovrintendere allo stato, trattamento impiego ed assistenza dei prigionieri di guerra “sino all’atto del loro rimpatrio”
L’Alto Commissariato per l’Assistenza dei Profughi di Guerra, con decreto-legge 29 maggio 1944, che era destinato a trattate le materie “nei confronti dei civili profughi di guerra internati e deportati in conseguenza di eventi bellici.
L’Alto Commissariato per i Reduci, con decreto-legge 1 marzo 1945 n. 110, per occuparsi dei reduci al momento del loro collocamento in congedo.

Nell’ottobre 1944, allorché l’andamento della guerra stava autorizzando a pensare che si poteva profilare un inizio di rientro dei militari reduci dalla Prigionia e dall’Internamento, si affrontò il tema di come mettere sul campo le attrezzature necessarie e chi vi dovesse provvedere.La Presidenza del Consiglio, preso atto che gli Alleati intendevano che l’Esercito si dovesse disinteressare a questo problema, in quanto gli Alleati non intendevano distrarre dalla loro organizzazione logistica e in parte operativa, alcun elemento italiano, decise di dare mandato al Sottosegretario alla Guerra di predisporre un piano per l’accoglimento dei Reduci, in accorto con i due Alti Commissariati esistenti.

Da tale piano emerse e fu costituito l’Ufficio Autonomo Reduci da prigionia di Guerra e Rimpatriati ( Decreto Ministeriale del 9 novembre 1944 n. 4300). I reduci, a mano a mano che venivano restituiti alla vita civile entravano nella sfera di competenza del Ministero dell’Assistenza post-bellica, istituto con Decreto Legge del 21 giugno 1945 n. 380 e del 31 luglio 1945 n. 425. Questo Ministero sostituì ed assunse le attribuzioni dei tre Alti Commissariati istituti nel 1944. Chiunque rientrava in Italia veniva, per quanto possibile, assistito. Questa assistenza era incentrata sui seguenti aspetti:
- assistenza sanitaria
- servizio vettovagliamento
- posti di ristoro
- distribuzione di vestiario
- assistenza igienica
- determinazione e corresponsione delle competenze, se dovute
- determinazione del comportamento dei singoli di fronte al nemico ed alla situazione politica del paese
- trasporti ed avvio al proprio domicilio
- statistica e circolazione delle comunicazioni ed informazioni




Chi ritorna?

I Reduci.
I Combattenti. I Soldati dei Gruppi di Combattimento
I Combattenti Volontari per la Libertà. CVL
I Soldati Combattenti all’Estero

I Prigionieri,
coloro che sono sotto la convenzione di Ginevra, che sono in mano alle potenze nostre nemiche fino al 1943; nonostante l’armistizio dell’8 settembre1943 non vengono rilasciati e non possono ritornare in Italia fino al 1945, tranne eccezioni.

Gli Internati
Internati Civili 1940- 1943 nei paesi in guerra: Francia, in Gran Bretagna, Negli Stati Uniti,
Internati Civili 1943-1945 nei paesi neutrali. Svizzera, ecc,
Internati nei Paesi ex Alleati: Giappone, e alleati alla Germania
Internati Militari Italiani In Germania
Deportati Civili
Deportati Politici
Internati per ragioni Etniche, Razziali, di Sicurezza, Occasionali

Gli appartenenti alla Coalizione Hitleriana
Soldati nelle Forze Armate della Germania
Appartenenti alla Repubblica Sociale Italiana

Espulsione di cittadini Italiani nei Paesi ex occupati: Jugoslavia, Albania.
Espulsione di cittadini Italiani



Il Ritorno dei Reduci
Partigiani
Soldati dei Gruppi di Combattimento.
Militari Combattenti all’estero
I

La fine della Guerra e la resa tedesca, avvia la smobilitazione delle forze combattenti. Gli Eserciti Alleati rimarranno sul suolo nazionale fino agli inizi del 1947, poi anche l’ultimo soldato Alleato torna a casa.
La smobilitazione delle formazioni partigiane viene svolto nell’estate del 1945 in un clima di esaltazione collettiva, di euforia, di voglia di guardare al futuro. Il Partigiano, si sente il vincitore morale, ed anche materiale, della guerra di liberazione, e questo fa da contrappeso, anche negativo, ai Reduci della Prigionia e dell’Internamento. Ha tutta l’attenzione delle autorità ed è presente, con ruolo centrali, in tutte le cerimonie. Il suo ritorno a casa, ove anche lui trova lutti e miserie, è però permeato dalla considerazione collettiva e dall’autostima, dalla convinzione che il suo impegno ha liberato l’Italia dall’idra nazifasciste e che ora vi è la concreta possibilità di avere un Italia migliore. Il suo affatto spirituale, adesso che ha deposto le armi, viene riversato nell’impegno politico, ideologico, civile, con la partecipazione alla vita democratica, attraverso i partiti politici.

La smobilitazione dei soldati dei gruppi di Combattimento è una smobilitazione parziale. I Gruppi di Combattimento, raggiunti i confini alpini nelle ultime fasi dei combattimenti, sono l’ossatura sul terreno di quello che sarà ed è l’esercito Italiano, quello che poi si definirà di transizione, e che sarà la base delle Forze Armate della repubblica. Vengono congedate le classi più anziane ed immesse le nuovi classi di leva, mentre si assorbono coloro che, combattuta la guerra come “prigionieri-cooperatori” con americani e inglesi, sono in grado di gestire il materiale, armi ed equipaggiamenti, che gli Alleati lasciano in Italia. Particolare significativo il Ritorno a casa dei soldati del nord Italia, che sorpresi al sud dell’Armistizio, riescono a rivedere le loro famiglie dopo anni di lontananza



Il Ritorno dei Prigionieri di Guerra. L’Inizio dell’oblio e dell’indifferenza
Soldati Italiani dietro i reticolati. Nel Momento in cui si possono prendere queste fotografie, voleva dire che era giunto il momento della Liberazione ed iniziava la fase del rimpatrio. Il momento a lungo atteso durante i lunghi mesi di prigionia. Per alcuni essa si protrasse per oltre un lustro prima di essere rilasciati e rientrare in Patria.

Carta della Organizzazione dei centri alloggi nel periodo maggio-settembre 1945. In genere i prigionieri di guerra rientravano in Italia dai porti meridionali; Internati e deportati dai centri di alloggio del nord Italia.

Una fotografia simbolica circa il rimpatrio dei prigionieri di guerra: prigionieri italiani appena liberati ospiti di una famiglia di italo-americani al farewell party prima del rientro in Italia. L’accoglienza e il rientro in famiglia rappresenta il primo passo verso il totale inserimento nel tessuto sociale dopo l’esperienza della prigionia.

Con l’Armistizio dell’8 settembre 1943, in linea teorica tutti i prigionieri di guerra italiani in mano alle potenze alleate dovevano essere rilasciati ed avviati in Italia. Così non fu. Il rilascio dei prigionieri iniziò già in Sicilia nell’estate del 1943 ( ne furono rilasciati sulla parola 65.000) ma i veri e propri rimpatri iniziarono nell’estate del 1945.

I prigionieri in mano agli Stati Uniti ammontavano a 124.000, in campi di concentramento in Nord Africa, negli Stati Uniti e nelle Haway; in mano alla Gran Bretagna 408 500, in campi di concentramento in Nord Africa, in Medio Oriente, in Kenya, in Sud Africa, in India, a Cylon, in Australia e nello stesso territorio metropolitano, in Gran Bretagna; in mano alla Unione Sovietica si supponeva un numero di 80-100 Uomini, tutti provenienti dall’ARMIR, In mano alla Francia Libera, circa 37.000. Il totale dei prigionieri di guerra assommava, secondo le stime del 1945, a circa 591.000

Nel periodo novembre 1944 – gennaio 1945, per i centri di Accoglienza di Castellana, Oria, Trifase, rientrarono circa 26.800 ex militari dalla Grecia e dalla Balcania, e circa 4.400 prigionieri dal Medio Oriente, dall’India e dall’Africa orientale. Attraverso il Centro di Napoli, circa 12.150 prigionieri, in mano a Francesi, Inglesi ed Americani. Nel periodo febbraio. Aprile 1945, dai centri di alloggio pugliesi transitarono 15600 reduci dalla Grecia e dalla Balcania, e 7.200 prigionieri di guerra in mano inglese. Da Napoli circa 3900 prigionieri con la medesima provenienza.
Nel periodo maggio-settembre 1945, sempre attraverso i centri meridionali, rientrano oltre 40.000 reduci dai Balcani e dalla Grecia, mentre furono messi in libertà dalle autorità Anglo-americare circa 38.000 prigionieri cooperatori che avevano prestato il loro servizio nelle Italian Service Units (ISU) Statunitensi e Britanniche. A poche migliaia ammontano i prigionieri in mano alleata.
Nel periodo ottobre dicembre 1945 rientra la gran parte dei soldati che sono nei Balcani e dalla Grecia, oltre 204.200, mentre iniziano a rientrar quelli in dagli Stati Units (22.800) dalle colonie Inglesi (21.300) .Nel trimestre successivo rientrano oltre 137.000 prigionieri in mano britannica, e dagli Stati Uniti. Da Aprile a luglio 1946 rientrano oltre 283.950 prigionieri di guerra, di cui 126.000 dall’Inghilterra (che sono sostituiti nelle loro mansioni soprattutto in agricoltura, da prigionieri tedeschi) e dal resto dell’Impero, e dagli Stati Uniti (26000). Si completano i rientri dal Nord Africa dei prigionieri in mano francese,mentre rientrano 10030 prigionieri in Mano alla URSS. In realtà dall’Unione Sovietica giugno oltre 21000 prigionieri, ma solo 10300 erano gli appartenenti all’ARMIR. Si accendono su questi rientri polemiche violentissime in quanto mancano all’appello oltre 60-70.000 soldati che si presuppone essere ancora in mano alla URSS. Si accusa la URSS di non voler restituire i prigionieri per motivi ideologici. In realtà la URSS non può restituire i soldati italiani in quanto questi sono periti durante i tragici mesi della primavera del 1943, nella più grande tragedia, la ritirata di Russia, a cui è andato incontro l’Esercito Italiano.
Con la fine del 46 e il febbraio 1947 sono stati portati a termine i rimpatri dei prigionieri dall’Inghilterra, dal medio oriente, dal Sud Africa, dal Kenya, dall’Africa Orientale e dall’Australia. Rimangono 63 ufficiali e 1115 soldati da rimpatriare dall’Jugoslavia.


Il Ritorno degli Internati dalla delusione al silenzio

Gli Internati
Internati Civili 1940- 1943 nei paesi in guerra: Francia, in Gran Bretagna, Negli Stati Uniti,
Internati Civili 1943-1945 nei paesi neutrali. Svizzera, ecc,
Internati nei Paesi ex Alleati: Giappone, e alleati alla Germania
Internati Militari Italiani In Germania
Deportati Civili
Deportati Politici
Internati per ragioni Etniche, Razziali, di Sicurezza, Occasionali





Internati Militari Italiani :

Secondo lo storico tedesco Gherard Schreiber nel suo volume I Militari Italiani Internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943 -1945, l'Italia schierava, alla data dell'armistizio oltre 1 milione e mezzo di uomini; complessivamente ne sono stati disarmati 1006730, mentre i rimanenti 493.000 sono riuscite a sfuggire alla cattura tedesca, o a raggiungere la montagna, o le proprie case oppure, se all'estero, i movimenti di resistenza già attivi contro la coalizione antihitleriana.
Lo stesso Schreiber offre il seguente quadro generale di situazione sui militari italiani internati in Germania: militari italiani alle armi, oltre 1.500.000; militari italiani sfuggiti alla cattura, 493.000; militari italiani catturati, 1006.780; militari italiani sfuggiti ai tedeschi dopo la cattura, 190.000; militari italiani internati, 725.000; militari italiani che hanno aderito alla RSI dopo l'ingresso nei lager, 114.500; militari italiani considerati prigionieri ed inviati al fronte dell'est come ausiliari, 12000;militari italiani internati nei lager del III Reich e territori occupato, 598.000

La Massa degli Internati Militari in Germania rientra in Italia dal maggio al settembre 1945. In totale ammontano per questo periodo 404.500, includendo anche gli Internati, sia civili che militari, in Svizzera. Nel trimestre successivo, da ottobre al dicembre 1945 ne rientrano altri 204.600 : Nel 1946 rientrano dalla Germania a più riprese circa 25.000 Internati e con l’inizio dell’estate del 1946 si può dire che tutti gli Internati Militari Italiani in Germania sono rientrati in Patria.

Gli Internati Militari provarono una fortissima delusione al ritorno in Patria, non solo per le mancate accoglienze, ma soprattutto per un mondo ideale, quello della Patria e della famiglia, sognato nei lunghi mesi di prigionia, che alla luce della realtà, svanisce e lascia tanta amarezza.
La prima delusione è la famiglia, in quanto non gli si riconosco le sue sofferenze ( anche noi abbiamo patito tanta fame, pericoli e crudeltà); La seconda delusione sono le Autorità, che trascurano i Reduci dall’Internamento non per cattiva volontà, ma perché assillati da tantissimi problemi.
L’ex Internato si sente dimenticato da tutti quelli che lo circondano. E si rifugia in un silenzio che ancora dura. Il silenzio degli Internati ha origine negli animi: hanno vissuto una vicenda troppo lunga in condizioni di abbruttimento tali da mortificare la dignità umana. Ognuno è attanagniato dalla paura di non essere capito. Nel Lager era abbandonato da tutti: Croce Rossa Internazionale, Governo di Salò, Governo del Sud, la cui voce non viene mai avvertita. Ritornato in Patria, è ancora più solo, in un Italia, che non lo riconosce e non lo capisce.

“Per questa generazione non v’e congedo” scrisse un tipografo partigiano di Cuneo in un proclama da lui stampato ed affisso il 29 aprile 1945. Edmond Michelet che era stato a Dachau ha scritto “L’esperienza che abbiamo vissuto è indelebile. Ci ha segnati per il resto dei nostri giorni . Ne abbiamo ancora le cicatrici, non tutte visibili… Abbiamo sondato gli abissi, in noi e negli altri.” Secondo Vittorio Emanuele Giuntella “Il reticolato è restato dentro di noi nel profondo. Per questo non ci piace e lo detestiamo, anche quando indica soltanto un termine.”


Il Ritorno degli Ebrei
Si può parlare di Ritorno da parte di coloro che furono oggetto e soggetti di sistematico sterminio in tutta Europa? Le cifre dello sterminio sono eloquenti: 800.000 morti nei ghetti; 1.300.000 morti per le azioni dei Einsatzgruppen e fucilati; 2.700.000 assassinati nei centri di sterminio; 300.000 nei lager. Su un totale di 9.142.000 ebrei presenti in Europa, a seconda dei diversi criteri di calcolo, si ritiene che siano stati uccisi circa 5.100.000 ebrei, per un calcolo prudente, e 5.860.000, per un calcolo meno prudente, in una percentuale che oscilla tra il 56 e il 64% degli Ebrei presenti in Europa nel 1939.
I sopravissuti non ebbero nemmeno la gioia di ritornare in una ambiente familiare, in una propria città, nella propria comunità, essendo queste totalmente distrutte. I Italia questo fenomeno, comune all’Europa occupata dia Nazisti, si attenua. Le comunità ebraiche in Italia, nonostante le Leggi Razziali del 1938 e l’occupazione tedesca e l’azione della R.S.I., riescono a non essere distrutte, anche se la loro sopravvivenza è stata spesso legata ad un filo. Degli oltre 49.000 ebrei presenti in Italia alla vigilia del conflitto, ne periscono 8.500 nell’immane tragedia dell’Olocausto.
La comunità più colpita, forse, è quella romana, che subisce il rastrellamento el 16 ottobre 1943. degli oltre 1089 ebrei deportati, solo una dozzina riescono a ritornare. Ma sarà un ritorno amaro, che per molti significa impossibilità, dopo tutto quello che si è passato, a vivere con gli altri e per gli altri. Molti, subito dopo il ritorno o anche a distanza di tempo, come per Primo Levy e, più recentemente per Di Veroli (2006, ad 82 anni), uno dei due ultimi sopravissuti ebrei romani di Auschwitz, si suicidano. La volontà di ricordare, di non lasciare cadere nell’oblio tutto quanto è stato, rappresenta per molti un’ancora di salvezza e di volontà di vivere, che è uno dei patrimoni più ampi da conservare, per evitare il rinnovarsi degli orrori dell’Olocausto.


Il Ritorno dei Deportati Civili – Le Conseguenze dell’Internamento e della Prigionia
Durante il periodo 1943—1945 i deportati italiani furono oltre 40000 e solamente il 10% di loro, cioè 4000 riuscirono a ritornare a casa dai campi di internamento in Germania. I Deportati Civili furono gli oppositori politici, i partigiani che non venivano uccisi sul posto, i sospettati, i semplici rastrellati per avere manodopera a basso costo necessaria allo sforzo bellico tedesco, altre persone che non possono ascriversi a categorie, che subirono l’Internamento per le più svariate cause. Il ritorno a casa fu accolto per lo più con atteggiamenti non positivi. Come esempio si può portare il ritorno a casa delle popolazioni contadine dell’altomodenese, che rastrellate e internate in Germania,in funzione antipartigiana, vissero l’Internamento come un’onta, come se fossero dei criminali, ed il ritorno vissuto con sentimenti di vergogna.

La liberazione, per i Prigionieri di guerra gli Internati Militari e i Deportati, in moltissimi casi, non fu l’anticamera del ritorno a casa. Moltissimi di loro dovettero sobbarcarsi anni di ospedale e sanatori Alleati posti in Germania, prima e poi, con il migliorare delle condizioni di salute, in Italia; in ogni caso il ritorno a casa avvenne parecchi anni dopo la fine della guerra. In molti casi il ricovero per le malattie contratte significava, nonostante le cure e le attenzioni dei medici, non farcela e morire dopo aver provato la gioia della liberazione. Comune a tutti coloro che subirono la Prigionia, l’Internamento, e la Deportazione nel decennio successivo alla liberazione, malattie cardiache, arteriosclerosi precoce, con lesioni infartuati e morti improvvise, molto più frequenti in confronto alla popolazione normale. Questi processi, nel ventennio successivo, si accentuano con invecchiamento precoce, manifestazioni neuropschiche con perdita della memoria, irritabilità, neurostemia, con notevole anticipo sul normale invecchiamento fisiologico. E’ il retaggio nel tessuto sociale che il Reduce porta con se e che non ebbe il giusto riconoscimento.


Il Ritorno delle Donne dall’Internamento
Se l’Internamento e la Deportazione è per tutti l’introduzione in un modo ignoto e capovolto rispetto a quello che di norma si conosce, l’sconvolgimento e il rovesciamento risultano totali quando ad esserne afferrato è un destino di donna. Nella nostra società alla vigilia della seconda guerra mondiale si esaltava per la donna le virtù “quotidiane”. Nessuno considerava possibile una esperienza come quella concentrazionaria, fatta di promiscuità e esposizione di corpi, di sradicamento da persone e luoghi familiari, abbruttimento e annientamento di tutto quello che può essere femminile, per le donne. Nemmeno per la donna ebrea, che proveniva da una antica storia di persecuzioni.
La liberazione dai campi di concentramento con l’inizio del ritorno fa iniziare il processo inverso di inserimento nel tessuto sociale. Chi aveva affrontato la cattura, il viaggio e il lager con uno o più familiari, malati, fragili, per l’età troppo avanzata o troppo precoce, vedendoli scomparire, si ritrova al ritorno senza altre persone amate, senza casa, senza lavoro, senza beni di fortuna. Un ritorno che è la continuazione della tragedia appena vissuta. Chi invece fu Internata o Deportata da sola, sapendo i propri cari a casa e relativamente al sicuro, ha la fortuna di rientrare nel calore degli affetti e di una esistenza sociale protetta, e per lei il ritorno è l’inizio di una nuova fase della vita più facile. In tutte, però, si alza il muro della comunicazione. Se si prova a raccontare, gli altri preferiscono che non si parli, o quanto lo permettono, mettono sullo stesso piano la propria esperienza e quella di chi ha conosciuto il lager: non capiscono, fraintendono, dubitano della veridicità, pensano a esagerazioni malate o a incubi più che a fatti reali, con sospetti e congetture che le accompagneranno per il resto della loro vita. Sono donne, quelle sopravissute che ritornano, giovani per lo più, perché le vecchie sono perite, catturate da uomini e internate in campi dirette da uomini: il corto circuito tra Internamento femminile e stupro o complicità nella violenza o cedimenti, è inevitabile. Tutto è travisato, nel ritorno, e la vera esperienza, quella effettiva non è capita da nessuno. Un ritorno che non è una liberazione, ma che per le donne sarà ancora più duro e difficile di quello degli uomini, per gli anni a venire. Ogni occasione (vedi film come”La casa delle bambole”, o “Il portiere di notte”) è buona, con favorire la nascita di sensi di colpa e di vergogna irreali, per esacerbare ulteriormente il dolore del Lager.

[1] M Coltrinari, Quando finì la Seconda Guerra Mondiale, in “Il Secondo Risorgimento d’Italia”, Anno XV, I/2005, pag. 89-103; M Coltrinari, Quando fini la Seconda Guerra Mondiale, in “Il Secondo Risorgimento d’Italia”, Anno XV, II/2005, pag. 91-102
[2] Sono date che ultimamente sono state molto contestate, in particolare il 25 Aprile, questa per la connotazione estremamente politica che ha assunto negli anni ’70. La volontà del Partito Comunista Italiano e dei loro aderenti, che nel retaggio di aver contributo ad una parte notevole nella Resistenza, di dare una connotazione di parte a questa data, quasi che fosse una vittoria solamente partigiana, e quindi comunista, ha suscitato reazioni uguale e contrarie fino ad alimentare il negazionismo, strisciante o palese, rimettendo in discussione le conquiste della Guerra di Liberazione. Così si avanza l’ipotesi di individuare nel 2 maggio 1945 la fine della Guerra in Italia. Con questa ipotesi si cancella con un tratto di penna tutta la Guerra di Liberazione, essendo il 2 maggio la pubblicazione degli accordi di resa sottoscritti da Alleati a Tedeschi il 29 Aprile 1945 alla Reggia di Caserta, in cui noi Italiani siamo stati volutamente esclusi. Il 2 maggio ha termine la Campagna d’Italia, combattuta da Alleati e Tedeschi sul suolo italiano.
[3] Il saggio sopra citato parte da questa necessità: individuare quando è cominciata la seconda guerra mondiale, tenendo presente gli approcci di tutti i Paesi coinvolti: ad esempio per il Giappone, forte è l’approccio che la Guerra contro gli Stati Uniti e la Gran Bretagna è iniziata nel 1931 e finita il 23 settembre 1945.