lunedì 30 maggio 2016
domenica 29 maggio 2016
sabato 28 maggio 2016
lunedì 16 maggio 2016
20 MAggio 2016 ore 21. Mediateca Polverigi (Acona)
CAPIRE LA GRANDE GUERRA
1916
DALLA SPEDIZIONE PUNITIVA
ALLA CONQUISTA DI GORIZIA
Terminata la stasi invernale , il 1916
vede come prima grnde azione la 5 Battaglia dellIsonzo, una azione decisa a
Chantilly, nel dicembre 1915, al Consiglio Interalleato. Se i tedeschi avessero
attaccato in Francia, tutti gi alleati dovevano prener l’offessiva. E’ una
grossa dimostrazione di forza che impegna gli Austriaci. Tutte e tre le Armete
italiane, la 4a, le forze in Carnia, la 2° e la 3° sono impegate. La 5° battaglia dell’isonzo (9 -17 marzo 1916)
è svolta soratutto con l’impiego delle armi a Tiro teso, con l’obiettivo
strategico di impedire agli Austriaci di inviare rinforzi in Francia sul fronte
di Verdum. L’obiettivo viene conseguito,
anche se l’ofensiva sul terreno non fa conquistare al Regio Esercito tratti di
terreno notevoli, come si sperava.
In aprile occorre segnale ‘episodio del Col di ana. Sul fronte montano, si
combatteva una particolare guerra quelle delle mine. IL 17 aprile 1916 viene
fatta brillare la mina al Col di Lana, ma, sebbene si riesca a conquistare la
cima del monte, i risultati strategici non vengono conseguiti. Gli Austriaci
fermano gli Italiani nelle linee arretrate e la guerra in quel settore è
attanagliata sempre più dallo stallo tattico.
Una delle idee persistenti del capo di Stato Maggiore Imperiale, Franz
Conrad von Hotzendorf, era quella di lanciare una offensiva contro l’Italia,
con piani già pronti dal 1908, rinnovati nel 1912 e 1913, e finalmente riesce a
prenderlo in considerazone nel 1916.Chiede ai tedeschi di inviare sul fronte
Russo 9 divisioni, in sostituzione di quelle autriache che dovrebbero essere
ritirate per l’azione in Italia.. Il Capo di Stato Maggiore tedesco von
Falkenhayen si dimostrò contrario, in quanto era convinto ce per dare un colpo
verametne serio al Regio esercito sarebbero accorsi 25 divisioni che non
c’erano per questa esigenza, non potendo paralizzare tutti gli altri fornti, e
le preventivate 16 divisioni nn sarebbero state sufficienti. Inoltre era ancora
più convinto che l’Italia, dipendente dagli Alleati per i rifornimenti, non
avrebbero chiesto la pace separata, cone von Korad sperava, anche dopo un grave
sconfitta ed in ogni caso le altre
potenze dell’Intesa avrebbero continuato la guerra anche senza l’Italia.
Falkenhayen, per prevenire una offesinva franco-inglese, prevista per
primavera, preferiva impegnare tutte le forze in una offensiva contro Verdun,
cosa che attuò il 21 febbraio 1915, che fece scattare l’impegno di una
offensiva sul Carso, che è la etta 5a battaglia dell’Isonzo.
Von Korad procedette da solo e formò la 11a Armata nel Trentino forte di 14
divisioni, in parte tole dal fronte dell’Isonzo in parte dal fronte russo.
Cadorna non credeva in una offesiva massiccia nel Trentino da parte austriacia
sia perche la pensava come Falkenhyen in
quanto una battaglia vinta dagli austriaci contro l’Italia non avrebbe risolto
la guerra europea; inoltre i russi stavano per lanciare una grande offesinva in
Galizia e gli Austriaci non avrebbero assolutamente sottratto forze dal loro
fronte orientale. Il suo interesse era
una offensiva ontro la testa di ponte di Gorizia, in modo tale da oltrepassare
l’Isonzo.
Konrad era risoluto nella sua azioe. Al comano dell’arciduca Eugenio, fu
lanciata la strafexpedition la spedizione punitiva che scattò il 15 maggio
1916, cogliendo del tutto impreparata la I Armata italiana del generale Brusatti. Tale
armata aveva assunto con i mesi di guerra un atteggiamento troppo offensivo ed
aveva raggiunto posizioni che sarebbero state ideali per un attacco ma
assolutamente difficili da difendere se gli austriaci s fossero mossi in
avanti. E così avvenne.
Gli austriaci, che misro in campo anche 2000 cannoni dei quali 600 di medio
e grosso calibro, contro i 851 schierati dagli Italiani che svilupparono
concentrazioni di fuoco mai visti sulla fronte italiana , ottennero successi
iniziali con la conquista di Asiago ed Arsiero, avuta tra il 27 ed il 28
maggio.
Cadorna reagì in modo determinato. L’offensiva venne prima arginata e poi
bloccata da rinforzi italiani fatti affluire dal Comando Supremo dal fronte
dell’isonzo. Cadorna, per prevenire lo sbocco in pianura costituì la 5 Armata nell’area di
Padova Treviso, Cittadella, Vicenza, tra l’Adige ed il Brenta consistente in
10a divisioni. La manovra riusci in quanto l’Esercito Italiano disponeva
finalmente di una deguato parco automezzi. Sarà proprio in questa occasione ceh
nasce il Servizio Atomobilistico dell’Esercito Italiano. Avrebbe dovuto
attaccare gli austro-ungarici se fossero arrivati in pianura.
Ai primi di giugno le truppe di
Konrad si trovarono di fronte divisione italiane sempre più rafforzate e
rinfrancate, mentre erano state logorate da continui attacchi. I Russi il 4
giugno sferravano una potente offensiva ed avanzarono su un fronte di circa 350 chilometri e
occorreva contenerli.
Conrad tentò atri attachi in val d’Astico
sull’altipiano di Asiago, ma l’esigenza di inviare truppe sul fronte
russo e laforte resistenza degli Italiani. Il 16 giugno prese la decisione di
sospendere l’offensiva, tiununciando a proseguire. 6 giorni prima Cadorna aveva
ordinato una controoffensiva che si stava sviluppando sull’Altipiano di Asiago.
Gli Austriaci ottenero un cuneo di 12 chilomentri che fu l’unico risultato
tangibile della spedizione punitiva, pagata con perdite pesanti e col grave
scacco raccolto sul fronte orientale. Le perdite furono consisteti 100.000
Caduti da una parte e dall’altra.
Per quanto riguarda l’Italia furono commessi errori di sottovalutazione
gravi da parte di Cadorna, che furono però recuperati con la determinazione e
la’zione di recupero. Sul piano interno ebbe ripercussioni politiche, ovvero la
caduta del governo Salandra con il Governo
a più larghe intese, di Boselli.
(coltrinari2011@libero.it)
mercoledì 11 maggio 2016
21 Maggio 2016 Rimini. Azioni sul Monte Piana nel 1915
Conferenza
MONTE PIANA
MONTE PIANO
LUOGHI FATTI E PERSONAGGI
1915 -1917
Dopo una
rapidissima introduzione in cui si farà cenno ai protagonisti della Grande
Guerra, ai Comandanti ed al Piano Cadorna erede della pianificazione operativa
offensiva del confine orientale, si indicheranno le fonti e le referenze
Si passerà
alla analisi delle forze contrapposte con la esplicazione dello schieramento
italiano e austriaco attraverso l’ausilio di cartine illustrative
Descritti i
mesi di preparazione e il mese di giugno 1915 in forma sintetica, si
passerà alla espisione degli attacchi italiani dal 15 al 20 luglio in forma analitica. Questo
attraverso le operazioni della Brigata “Marche” i cui reparti furono
protagonisti sul Monte Piana.
Lasciata le sedi stanziali, il 55° Reggimento fanteria
di Treviso ed il 56° reggimento fanteria di Belluno ed allo scoppio della
guerra è in Cadore nelle Valli del Boite dell’Ansiei e del Padola.
Il primo sbalzo in avanti Porta la Brigata alla occupazione
non ostacolata dal nemico, della fronte Forca-Tre Croci lembo orientale del
Piano della Bigontina. Qui riceve l’ordine di assestarsi e per tutto giugno
alterna l’impegno operativo con lavori di rafforzamento e con l’inviare
pattuglie e ricognizioni in Val Rimbianco, Valle Popena Bassa e Val
Grande. Il bero impegno operativo inizia
a metà di luglio contro le difese austriache del confine militare.
Azione del 15 Luglio 1915
“ Alle ore 05.00
iniziò il tiro di distruzione dell’artiglieria italiana sulle posizioni
austriache, fuoco che durò fino quasi alle 09.00. Alle 09.00 precise, come
disposto dal Col. Parigi, un razzo sparato nel cielo da Villa Loero, situata su
una altura fra il Lago di Misurina e il Paludetto, dette il via all’azione. I
fanti del I Battaglione raggiunsero d’impeto la linea della Piramide Carducci
che trovarono sgomberata dagli austriaci che, senza essere notati dagli
osservatori italiani, si erano ritirati su Monte Piano, più adatto per la difesa.
Contemporaneamente vennero investiti dal fuoco delle artiglierie
austriache che sparavano da Prato Piazza, Monte Specie, Landro e Monte Rudo.
Non potevano né avanzare né ripiegare: furono costretti a cercare riparo su un
terreno esposto, scavando con le vanghette la poca terra, tra le rocce, ricoveri
di fortuna. Anche il III battaglione non potè progredire nell’avanzata,
conseguentemente non supportò l’azione della 96ma compagnia alpini che dovette,
pertanto, ripiegare anch’essa dal Fosso Alpino alle postazioni di partenza.
Passò così l’intera giornata del 15 luglio”[1]
La valutazione
tra gli Ufficiali italiani della azione era negativa. Via telefono il col.
Parisi sollecitava la ripresa dell’azione per una progressione reale. Nella
baracca Comando, situata ove sorge oggi il Rifugio Bosi si discusse i termini
dell’azione ed alla fine il Magg. Bosi avallò la soluzione che per conquistare
il Monte Piana si doveva procedere dalla Piramide Carducci verso la Forcella
dei Castrati.
“All’azione
avrebbero partecipato la 9a la 10a, la 11a, la 12a compagnia. Senza copertura
dell’artiglieria, la 9a e la 10a uscirono dalla trincea sul Pianoro di Monte
Piana ed iniziarono a procedere velocemente verso la Forcella dei Castrati,
fortemente ostacolate dal tiro delle artiglierie austriache provenienti dalle
quote circostanti. Quando raggiunsero la Forcella avevano subito sensibili
perdite. Ma successe l’imprevedibile, progressivamente, forse per esaurimento
dei proiettili, le artigliere austriache cessarono il fuoco, tanto che la 10a e
la 12a compagnia riuscirono a raggiungere sulla Forcella dei castrati le prime
due senza subire perdite. Il cap. Gregori, che si delega del magg. Bosi
dirigeva l’azione, non ebbe però la prontezza operativa di approfittare della
situazione inaspettativamente favorevole e procedere all’assalto risolutivo
dell’ormai vicine linee nemiche, anzi dette l’ordine di rafforzarsi sulle
posizioni raggiunte, per trascorrervi ivi la notte, in attesa dell’alba.”[2]
L’azione non
aveva dato i frutti sperati e nuovamente il magg. Bosi convocò al suo Comando
gli ufficiali responsabili, compreso il cap. Rossi, comandante la 96a compagni
alpini. Fu deciso un nuovo attacco per l’indomani, alle prime luci dell’alba,
condotto da cap. Gregori.
“All’ora
convenuta, la 9a e la 10a compagnia superarono la Forcella dei Castrati
addossandosi in posizione defilata al tiro nemico sul saliente di Monte Piano,
La 10a e la 11a compagnia, con il Comando di battaglione, rimasero pronte
all’intervenire schierate sul versante opposto, sul ciglione di Monte Piana
dominante la
Forcella. Questo fu un grave errore tattico commesso da un
ufficiale d’esperienza quale era il cap. Gregori: infatti questi fanti, con il
chiarore del giorno, rimasero esposti ed immobilizzati dal tiro austriaco.
In questo frangente cadeva ucciso da tiro di un
cecchino il magg. Bosi[3]
che fu sostituito nel comando dell’azione dal magg. Gavagnin.
…(l’’azione
della 9a compagnia) fallì per il mancato
concorso sulla sua destra, della 96a compagnia alpini che dal Fossato Alpini
doveva sorprendere sul fianco la posizione austriaca, eliminandone la resistenza. A quel
punto, erano le ore 07.00 il magg. Gavagnin ordinò al cap. Gregori di far attraversare
all’11a compagnia la Forcella, cosa che le sarebbe risultata impossibile se non
fosse sopraggiunta improvvisa una insolita e fitta nebbia. Così riuscì nel
movimento senza subire perdite, andando a rinforzare la 12a ed i resti della 9a
compagnia. Ritornato il sereno il cap. Rossi, comandante della 96a compagnia,
temendo di essere preso tra due fuochi qualora degli austriaci fossero risaliti
per le Forcellette, chiese che quella posizione, dominante sia Val Rimbianco
che la Rienza Bassa ,
venisse prontamente occupata da una compagnia tenuta in riserva. Il magg.
Gavagnin, alle ore 11 ordinò al cap. Gregori di procedere in tal concorso con
la 10a compagnia. Bisognava però attraversare la Forcella, su terreno esposto
dal tiro austriaco: era impresa quasi impossibile tanto che il cap. Gregori ed
altri suoi fanti furono fulminati dal fuoco nemico. Sopraggiunta la sera e con
essa anche la pioggia.
Tre delle cinque compagnie duramente provate furono
sostituite da altre due del I Battaglione del 55° Fanteria e dalla 7a compagnia
del 56° reggimento”[4]
Una riflessione attenta sugli insuccessi degli
attacchi portati nei giorni precedente fecero concludere che la causa di questi
insuccessi si doveva ricercare nel fatto che gli attacchi erano portati di
giorno. Pertanto si decise di attaccare di notte
“Fra le 24.00 e
le 3.00 (del 20 luglio, n.d.a) dei
genieri della 20a compagnia minatorie della 14a compagnia zappatori collocarono
dei tubi di gelatina esplosiva per praticare dei varchi nei reticolati. Nel
settore della 96a compagnia alpini, fu lo stesso cap. Rossi, accompagnato da
alcuni alpini, a collocare i tubi di gelatina. Dopo il brillamento dei tubi e
praticati i varchi nel reticolato nemico, il più ampio di circa 8 metri , due plotoni della
96a compagnia e il plotone Allievi Ufficiali del 55° Reggimento, sostenuti sulla sinistra
dalla 6a compagna del 56° Reggimento e da un plotone esploratori del I
Battaglione del 55° Reggimento e sulla destra dalla 12a compagnia, riuscirono a
penetrare nella prima linea austriaca facendo prigionieri gli occupanti. Si
tentò allora di conquistare tutte le posizioni austriache di Monte Piano. Attaccarono
sulla sinistra dello schieramento la 1a compagnia, sulla destra la 10a
compagnia che provvedeva con un plotone anche alla copertura difensiva in
concorso alla 2a compagnia tutte e tre del 55° reggimento. Con le prime luci
dell’alba entrarono in azione le batterie austriache di Prato Piazza, di Monte
Specie, di Landro, di Monte Rudo e dell’Alpe Mattina. A questo si aggiunse il
tiro della “pettegola” che sparava con alzo zero da una distanza inferiore a 300 metri , rendendo
impossibile agli Italiani mantenere la posizione conquista con tanto
sacrificio. Alle ore 06,30 iniziò il disimpegno ordinato da Monte Piano con
ripiegamento sulle posizione di partenza.”.[5]
Dopo il 20
luglio le azioni ebbero una pausa. Si constato che, nonostante le perdite ed
sacrifici, anche coronati da successo, le posizioni di Monte Piano una volte
conquistate non si potevano mantenere per via del fatto che erano sotto il tiro
delle fortificazioni poste nelle montagne circostanti.
Ai primi di
agosto i fanti della Brigata “Marche” furono affiancati da quelli della Brigata
“Umbria, che svolsero azioni con il 54°
Reggimento dal 3 al 4 agosto in concorso alle azioni di attacco a Monte Rosso
ed al Pinedo, ad oriente del Monte Croce di Comelico ove era impiegata la
Brigata “Ancona”.
Si palesa ai
Comandi italiani che ormai si stava asodando il cosidetto Stallo Tattico,
ovvero l’impossibilita dell’attaccante di variarela situazione e la decisione
dela difesa di non prendere iniziative. Questa situaizone si manterrà per tuti
i mesi successvi fino all’ottobre 1917 quando le truppe italiane si ritireranno
per effetto della azone su Caporetto.
IL 23 ottobre arriva l’ordine, per tutta la 10a
Divisione di trasferirsi sulla fronte isontina. La permanenza della Brigata
“Marche” sul fronte cadorino merita qualche considerazione
La Brigata “Marche” fu protagonista delle azioni del
luglio-agosto 1915, o sul Monte Piana. L’analisi della sue azioni rileva i
gravi errori commessi dai Comandi superiori italiani sul fronte dolomitico. In
primo luogo si manifesta l’errore strategico, ovvero la impreparazione
materiale, soprattutto la carenza di artiglierie. Di seguito l’errore
concettuale, ovvero la non risolutezza
nello spingersi avanti, frutto questo non di imperizia o di mancanza di
coraggio, ma di totale assenza di un piano offensivo necessario ed utile, dato
che era l’Italia che aveva l’iniziativa tattica. Le azioni della Brigata “Marche”
entrano nel vivo solo a due mesi dalla dichiarazione di guerra, ovvero a metà
luglio 1915. I risultati sono quindi discendenti da questo. Il Comando Brigata
ha avuto in sei mesi quattro comandanti, in cui si alterna l’eroismo e la
destituzione; i comandanti di reggimento e di Battaglione sono sulla stessa
Linea, con una successione veramente impressionate, anche qui alternanza di
destituzioni ed eroismo. Negli anni successivi questo si stabilizzarà e si
avranno periodi di comando normali, sull’ordine dei dodici-quindici mesi.
In realtà sia la Brigata Marche che la Brigata Ancona , che
agiva a fianco, sul fronte del Comelico superiore sono vittime di erroi
strategici e tattici di vaste dimensioni e, nonostante il loro eroismo, la cui
figura del Magg. Bosi è emblematica, non conseguono alcun risultato.
Le
conclusioni saranno tratta sulla base della esposizione
[1]
Spada M., Monte Piana 1915-1917. Guida
storica ed escursionistica, Bassano del Grappa, Itinera Progetti, 2010, pag.
52.
[2]
Ibidem, pag. 55
[3]
Varie sono le versioni della morte del magg. Bosi. Con un approccio tutto
ottocentesco, il magg. Bosi, al chiarore dell’alba, e quindi ben visibile al
tiro nemico, consapevole del pericolo a cui si esponeva, ma per dare un esempio
ai suoi fanti che si stavano impegnando in una ardua azione, poche decine di
metri a valle della Piramide Carducci, si era messo, di fronte alle posizioni
austriache, in posizione eretta, con il binocolo in mano, per meglio osservare
l’andamento dell’azione e dirigere l’azione. Un colpo preciso sparato da un
cecchino lo colpi al cuore e subito risultò vano ogni soccorso portato dal suo
attendente e dal portaordini che le erano a fianco. Una descrizione più
dettagliata si trova in Fornari A., Piccolo
frutto rosso, frammento di pace. Nelle trincee del Monte Piana, la storia di un
uomo, magg. Bosi Cav. Angelo, S. Vito di Cadore, Edizioni Grafica
Sanvitese, 2008
[4]
Ibidem, pag. 57
[5]
Ibidem, pag, 58
venerdì 6 maggio 2016
Prigionia di Guerra in Unione Sovietica. Ricerca
Tomas Stark
Aus Kriegen resultieren immer Gefangene , und
Kriegsgefangene erleiden immer Ernnie und Not. Doch trotzaller Harte debeutet
Gefangenschaft fur den Soldaten das Ende des Kriegs und im Endeffkt Leben. Im Zweiten
Weltkrieg lag der Fall anders. Die von der Roten Armee Gefangengenommenen
standen dem Tod oft naher als dem Leben.
Es war allgemein bkannt, dass die Rote Armee in
Ungarn Zivilisten wie Soldaten aufgriff und sie in die Sowjetunion
abtransportiererte. In Ungarn sind Bruchstucke der Geschichte ihrer Gefangenschaft
bekannt, aber die volle Wahrheit uber das Schicksal der Hunder ttausenden
Kriegsgefangenen und Deportierten ist noch immer unklar. Man wird wohl nie
genau in Erfahrung bringen konnen, wie viele Ung stucke derrm des Sowiets in
die Hande fielen.
Der noch intakte Verwaltungsapparat der
ungarischen Armee registrierte bis November 1944 circa 70.000 Kriegsgefangene.
Die ungarischen Truppen zogen sich erst ab dem
Spatherbst 1944 in
Richtung Deutschland zuruck, eine Operation, die bis in den April 1945
andauerte. Knapp eine Million Ungarn suchte vorubergehend Zuflucht vor der
Roten Armee auf detschen Territorium. Durunter befanden sich ungefahr 580.000
Soldaten der ungarischen Armee, die mit letzter Anstrengung die von den
Westmachten zu besetzenden Zonen zu erreichen suchten. Nach spateren
Aufzeichnungen des Verteidigumgsministeriums sollen 300 000 von ihnen
tatachlich von den Briten, Amerikanen oder Frazosen gefangengenommen word sein.[2] Der Rest
wurde von der Roten Armee in den Osten verbracht.
Nach dem Uberschreiten des ungarischen Grenze
begannen die Spezialeinheiten der Sowietarmee (SMERS) mit der Zusammenfassung
und Deportation von Ungarn, gleichgultig ob Zivilisten oder Soldaten. Die Azhl
dieser zwischen Oktober 1944 under april 1945 in Ungarn
Gefangengenommenen ist nur indirekt uberliefert. Gemass den Ergebnissen
ukrainish-ungarischer Forscher wurden im
November 1944 ca. 40000 Personen aus der 1938-1944 zu Ungarn gehorenden
Karpato-Ukraine in die Sowietunion abtranssporttiert. Ausserdem existiert ein
Berich des ungarischen statistischen Zentralburos fur den Sommer 1945, der die
Basiszakl fur die Schatzung der in Ungarn gefassten Kriegsgefangenen und
Zivilisten liefert.Den nach wurnach au dem
Ungarn in den heutigen Grenzen (Budapest ausgenommen) 179608 Personen
deportiert[3]
Die fehlende Angabe fur Budapest (dort hatte das
Zentrallubro keinen zu Zugang zu Daten) kann aus der Siegesnachricht der Roten
Armee vorm 13 Februrar 1945 erschlossen werden, demzufolge die sowjetischen
Streitkrafte wahrend der Schlacht un die Haup 110000 Soldaten gefangennahmen.[4] Diese
Angabe scheint uberhoht, diente,sie doch General Malinovskij gegen Stalin als
Rechtfertigung fur die verzogerte Einnahme von Budapest. Die Azhl der in
Budapest eingekreisten deutshen Soldaten betrug maximal 30000. Somit waren
zumindest 80000 der 110000 Kriegsgefangenen Ungarn.Insgesamt durften demnach
meher als 600000 Ungarn in sowjetische Lager gebracht worden sein.
Weder die sowietische Regierung noch der
Generalstab haben jemais einen authentischen oder auch nur plausiblen Bericht
daruber vorgelegt wie viele Personnen die Rote Armee oder die
Sicherheitspolizie gefangengenomen hat. Seit dem Jahr 1991 zuganglice
sowjetische Dokumente belengen nun, dass in den Lagen ausfurliche Berichte uber
Anzal, Nationalitat und Qualifikationen
der Gefangenen angefertigt wurden. Dataillierte Informationen wurden an jene
Speziallabteilung des NKVD weitergeleitet, die fur Kriegsgefangene und
Internierte zustandig (GUPVI)[5]
Diese riese Orgasation seichnete fur alle
Gefangenen verantwortlich. Der Umgang mit dem Zahlenmaterial der Dokumente
gestaltet sich schwierig, da Gefangene aus Ungam als „ungarische Staatsburger“, Ungarm und ungarische
Soldaten registriert sind. Die Angaben fur die letztgenannte Gruppe
betragen 526604 Personen – eine Aussage, die sich von den
bereits angegebenen ungarischen Schatzungen unterscheidet[6]
[1] Wir bedanken uns deim International
Committee for the Hostory of the Secondo World War fur die freundiliche
Erlaubis des Wiederabdrucks. Der Erstadruck erfolgte unter dem Titel: Ungarian
Prisoners in the Soviet Union (1941-1945), in Bulletin di Comitè international
d’histoire de la
Deuxieme Guerre mondiale, no 27/28 (1995)
[2] Berich an die Allierte Kontrollkommission
21.6.1945, Budapest, Archiv fur Militargeschichte (Hadtortenelmi Levèltar)
Bidapest, HM 1945 eln. 29055; Archiv fur Militargeschichte, HM Karton 2, A , 94/4766
[3] Benedeck,Arnas S., Nepek es nemzetisegek
a Kapatalijan (Volker und Nationalitaten in der Karpato.Ukuaine), in Iskolakultura,
nr.12-13 (1994), S. 32-36;
Tajekoztato
gyrsfelvetela korksegek, varosok koserdeku viszonyairol (Eine informative
Kurzubersicht der Offentlich-keitsarbeit in Dorfen und Stadten), in Mayar
Statiszikai Szemie, Nr. 1-6 (1946) S. 12f
[4] Ustinov, Dimistr, F., A masodik
vilaghaboru tortenete (Die geschichte des Zweiten Weltkrieges) Ungarische Ausgabe, Budapest,
1981, Bd, 10, S, 216f ,
[5] NKVD = Norod nyi kommissariat vnutrennych
del SSR ( Volkskommissariat fur Innere
Angelegenheiten der UdSSR
GUPVI = Glavone upravienie po delam voennoplennych i
internirovannuch.
[6] Galickij, Vladimir Prochorovic Vengerskie
voennoplennis v SSSR (Ungarische Kriegsgefangene in der Sowietunion) in Voenno
Istoriceskij Jurnal (MilitargeschichtlicheMittleilungen)
Nr 10 (1991) p.44-54 hier p.45
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